sabato 13 gennaio 2018

D'Annunzio, Notturno (1916)


Ho gli occhi bendati.
... E tremo davanti a questa prima linea che sto per tracciare nelle tenebre.
O arte, arte inseguita con tanta passione e intraveduta con tanto desiderio !
Disperato amore della parola incisa per i secoli!
Mistica ebrietà che talvolta della mia stessa carne e del mio sangue stesso faceva il verbo !
Fuoco dell′ispirazione che improvviso fondeva l′antico e il nuovo in una lega incognita!
... Nella rapidità guerriera il sangue inesausto si sparpaglia come grano ventilato.
Ogni fiotto si divide in miriadi, come la polvere della cascata scrosciante ove si crea l'arcobaleno. Non cola ma vola,non cade ma s'alza.
 ... Il pensiero sembra correre sopra un ponte che dietro di lui precipiti. L'arco poggiato alla riva è distrutto, sùbito crolla l'arco mediano. L'ansia raggiunge la riva opposta con uno sgomento di scampo, mentre il terzo arco cede e sparisce.
... Come il rapimento di una melodia che sorge improvvisa da un'orchestra profonda; come la rivelazione d'un verso che sveglia il suono segreto dell'anima; come ilmessaggio delvento che è la rapidità dell'infinito in cammino; con uno spirito senza riva, con un corpo senza forma, con un gaudio che sembra terrore, io sento l'idealità del mondo.
... Usciamo. Mastichiamo la nebbia.
La città è piena di fantasmi.
Gli uomini camminano senza rumore, fasciati di caligine.
I canali fumigano.
Dei ponti non si vede se non l′orlo di pietra bianca per ciascun gradino.
Qualche canto d′ubriaco, qualche vocìo, qualche schiamazzo.
I fanali azzurri nella fumea.
Il grido delle vedette aeree arrochito dalla nebbia.
Una città di sogno, una città d′oltre mondo, una città bagnata dal Lete o dall′Averno.
I fantasmi passano, sfiorano, si dileguano.
... Il sole vermiglio a fior d′acqua. Il cielo puro. Il sole giovine e forte, il sole che balza, che aspira al meriggio.
... C′è la zàgara. E il nome arabico che dà al fiore d′arancio la Sicilia saracena. L′appresi, adolescente, su la mia riva, dal mozzo d′una goletta. Tanto mi piace che, se nomino il nome, sento il profumo.
C′è la zàgara di serra: un gruppo di foglie che al tocco risuonano, e nel mezzo i bocciuoli duri. A uno a uno li sento. Qualcuno è chiuso, qualcuno è fenduto, qualcuno è mezzo aperto. Qualcuno è delicato e sensitivo come un capezzolo che teme la carezza. L′odore è candido, acerbo, infantile. Ma bisogna cercarlo con le narici in mezzo alle foglie diacce e stillanti che m′inumidiscono il mento e mi entrano in bocca.

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