venerdì 26 gennaio 2018

Vincitori senza futuro

La Grande Armée attraversa il Niemen

Qualcosa del genere è già avvenuto nella storia. Alla vigilia di uno scontro sembra esserci a volte un vincitore atteso, se non che il corso degli eventi muta inaspettatamente. In Italia nel 1994, per esempio, sembrava che la gioiosa macchina da guerra capeggiata dagli ex-comunisti fosse destinata a vincere le elezioni. Poi ci fu la novità di Berlusconi con Forza Italia e il quadro non fu più lo stesso. 
In Europa, nel 1812, pure sembrava esserci in un primo tempo un vincitore obbligato. Il 24 giugno di quell'anno, la Grande Armée, forte di 600mila uomini, attraversò il Niemen per addentrarsi nel territorio russo. Fino ad allora, Napoleone aveva sempre vinto negli scontri campali. Era come se non ci fosse stata scelta. La partita era già chiusa, secondo molti. Bastava che il vincitore designato facesse normalmente la sua parte. E il vincitore designato un po' ci credeva, andava in giro a distribuire sorrisi, riceveva omaggi inaspettati dai suoi sostenitori del momento. Poi arrivò la sorpresa. L'abilità di sempre nella manovra non funzionava e l'esito sperato non si produsse. 
Nella campagna per le elezioni del 4 marzo i pentastellati partivano favoriti. C'è poi stata una prima sorpresa, la ricomposizione della destra. La sorpresa più grande è venuta ancora dopo. In un primo tempo sembrava che le promesse fossero uno strumento utile per attrarre nuovi elettori. Attaccare i politici, promettere l'impossibile: la ricetta era facile, troppo facile. Non solo i pentastellati, anche i loro concorrenti abbondarono in concessioni future a carico del bilancio statale, senza calcolare le ricadute in termini fiscali. Il gioco era sporco e l'opinione pubblica non tardò a avvertire la presa in giro più o meno nascosta. La campagna elettorale si stava traducendo in una occasione per delegittimare ancora più gravemente che in passato l'intera classe politica, grillini compresi:
"Più di un sondaggio ha rilevato che solo il 25% degli italiani intervistati ritiene credibile che la mole di impegni e di annunci che sta caratterizzando questa campagna elettorale possa essere realizzata. Tre cittadini su quattro, al contrario, pensano che le tante promesse elencate non verranno mai mantenute. E da tale valutazione discende, naturalmente, un giudizio assai critico sul modo di agire e sul senso di responsabilità dei partiti in competizione" (Federico Geremicca).
C'è stata addirittura una denuncia dei vescovi che hanno definito immorale la pratica delle promesse a vuoto. Non che ci fosse bisogno di questo allarme per capire. I vescovi si sono uniti al coro dei cittadini indignati e hanno certificato l'errore commesso dai millantatori. 
Adesso, come nel gioco dell'oca, si torna alla casella di partenza. La partita rimane aperta, la percentuale degli astenuti prevedibili resta alta. Forse non suonerà proprio adesso l'ora della politica. Altre follie potranno scatenarsi prima che si arrivi alla fase del ragionamento pacato. Quando saranno resi noti i risultati, si scoprirà quello che gli osservatori più lucidi sanno già. Le elezioni non avranno un vincitore netto e l'incarico di formare il governo dovrebbe andare a una figura di mediatore. E nella misura del possibile sarà prescelto qualcuno che garantisca il mantenimento del legame europeo. Berlusconi lo sa e si sta attrezzando di conseguenza. Sembra poco probabile che il gioco finisca nelle mani dei pentastellati e della Lega. E se questo dovesse accadere, l'esperimento avrebbe una breve durata. Trump, certo, dimostra il contrario. Nel suo caso l'estremismo al potere dura. Non vuol dire. Gli Stati Uniti sono un continente, l'Italia potrebbe avere una politica estera più coraggiosa, non può certo permettersi una cavalcata solitaria con la zavorra di un debito pubblico reso più ampio dagli esercizi di finanza allegra. Esistono spazi di manovra. Chi dovesse tentare una inversione a U, finirebbe fuori strada in un tempo assai breve.
   



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