domenica 27 luglio 2014
Michael Walzer sulla guerra tra Israele e Hamas
intervista di Alix Van Buren
"Un conflitto folle per Israele, Hamas ne uscirà più forte"
la Repubblica, 26 luglio 2014
... Se c'è uno studioso acuto, in grado di misurarsi con le grandi questioni etiche e morali, quello è proprio Michael Walzer: il suo contributo forse più illustre di un'intera vita da filosofo, è l'aver ripescato il concetto di "guerra giusta" (Guerre giuste e ingiuste, [1977], 2006, trad. ital. di Fabio Armao 2009) senza cedere al pacifismo. Eppure stavolta Walzer, al telefono da Harvard, riguardo alla guerra di Gaza esita.
Professor Walzer, quali sono le sue perplessità? Perché, come altri intellettuali, lei finora non s'era espresso?
"Beh, io avrei preferito scrivere a guerra conclusa, quando il quadro si fosse chiarito. Ma per rispondere alla sua domanda, dietro all'esitazione c'è un insieme di sentimenti: ci sono lo sbigottimento di fronte a quel che accade, forse l'assuefazione all'infinito ripetersi del conflitto, l'imbarazzo nell'affrontare delicate questioni morali. Quanto a me, io sono terribilmente depresso. Il preludio della guerra resta fumoso, le spiegazioni offerte da Israele e da Hamas sono contrastanti. E poi, la condotta della guerra resta molto problematica".
A cosa si riferisce in particolare?
"Penso al quesito fondamentale: come si combatte un nemico che ha le caratteristiche di Hamas? Come si conduce una guerra che miete tante vittime civili, e nella quale ogni singola vittima civile si trasforma in una vittoria per Hamas e in una sconfitta per Israele? Un conflitto folle in cui più infliggi perdite al nemico, e più perdi? La soluzione non è facile. Israele deve rispondere a queste domande. Però, anche i critici di Israele devono indicare un'alternativa, ma la maggior parte di essi si sottrae".
Lei appunta delle responsabilità?
"Le appunto a entrambe le parti, sia a Hamas sia a Israele. A Hamas in primo luogo e gli addosso la colpa d'aver causato la morte di civili usati come scudi umani, d'aver lanciato razzi nei dintorni delle scuole. Ma tanti altri palestinesi sono rimasti uccisi nei combattimenti, senza che siano serviti da scudo. Perciò attribuisco la responsabilità in secondo luogo a Israele, che ha l'obbligo di ridurre al minimo le perdite fra i civili".
Israele ha lanciato tre operazioni, dal 2008 a oggi, per "spazzare via" Hamas, ognuna con un pesante costo in vite umane. Però nessuna è stata risolutiva. Lei vede una differenza nel conflitto in corso?
"È vero, Hamas resta al suo posto. L'unica differenza notevole è che a ogni cessate il fuoco Hamas si dota di nuovi tunnel, di razzi più numerosi e dalla gittata più lunga. Non resta quasi più angolo di Israele al riparo dai tiri. D'accordo, i razzi non sono particolarmente efficaci in termini balistici, ma se parliamo di tattica, sono estremamente efficienti nel terrorizzare un'intera popolazione, quella israeliana, costretta a correre verso i rifugi. Ma se parliamo di "spazzare via" Hamas, io non sono tanto sicuro che Netanyahu voglia davvero farlo".
Vale a dire?
"La presenza di Hamas regala a Netanyahu una scusa per non procedere alla creazione di uno Stato palestinese. La vera intenzione del primo ministro israeliano è quella di indebolire Hamas, non di sostituirlo. Infatti, chi governerebbe al suo posto a Gaza? Un movimento ancora più radicale? La Jihad islamica? o magari l'Isis (il gruppo jihadista Stato islamico in Iraq e Siria, ndr )? L'obiettivo di Netanyahu è più limitato: fiaccare Hamas quanto basta per ottenere un paio di anni di quiete".
Fino a due settimane fa Hamas s'era messo da sé alle corde. Isolato, già indebolito, privo di fondi, i suoi appelli ai palestinesi in vista di una terza intifada erano rimasti inascoltati. E adesso invece la sua popolarità aumenta, i palestinesi di Cisgiordania insorgono. Secondo lei, l'operazione di Netanyahu rischia di rivelarsi un boomerang?
"È proprio così: il premier israeliano sta ottenendo il contrario rispetto a quanto si era prefissato. Ora Hamas si è rafforzato, oltre a Gaza, anche in Cisgiordania. Mentre Fatah, che dovrebbe essere il primo interlocutore di Netanyahu, ne esce indebolito. In più, Israele sta perdendo la battaglia nell'arena dell'opinione pubblica internazionale. Fino a poco fa contava su un sostegno molto ampio. A ogni nuova vittima civile, quell'appoggio evapora".
Lei teme una nuova ondata di antisemitismo?
"In America, dove io mi trovo, questo rischio non c'è. Il sostegno a Israele è forte, per molti motivi. Il pericolo è invece più verosimile da voi, in Europa, dove resistono radici del passato. Nelle manifestazioni di questi giorni l'antisemitismo di vecchio stampo a volte si sovrappone alle proteste indirizzate a Israele. Già si vedono riemergere tracce di nazionalismi nazi-fascisti, o di antiche origini cristiane. Però, malgrado il rischio, io non generalizzerei. Ogni Paese in Europa è diverso dall'altro".
Che cosa teme, allora?
"Piuttosto, in cima alle mie preoccupazioni c'è qualcos'altro: la situazione immediata in Medio Oriente. Lì l'orizzonte è cupissimo, davvero, da qualsiasi angolo lo si osservi".
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su Michael Walzer
Tonino Cassarà
l'Unità, 2 giugno 2004
Al filosofo americano Michael Walzer è stato affidato il compito di iniziare le Lezioni Bobbio che andranno avanti per tutto l'autunno con gli interventi di Umberto Eco, Giovanni Sartori, Amartya Sen, Stefano Rodotà, Gustavo Zagrebelsky, Oscar Luigi Scalfaro e Giuliano Pontara. Che la conferenza di Walzer fosse considerata un evento da non perdere, lo dimostra il fatto che alcune centinaia di persone sono rimaste fuori dal Regio di Torino, perché i 1800 posti del teatro non sono bastati ad accogliere tutti coloro i quali avrebbero voluto assistere alla sua lezione su «I diritti dell'uomo. Oltre l'intervento umanitario: i diritti umani nella società globale». Il filosofo americano ha incrociato a più riprese i motivi dell'opera di Bobbio, proponendo un'articolata analisi sul futuro dei diritti dell'uomo e sulle condizioni di legittimità della guerra, sull'intervento umanitario e la sua possibile coerenza con una strategia universale di tutela dei diritti dell'uomo. Alla luce dei più recenti avvenimenti, l'autore di Guerre giuste e ingiuste [Laterza Bari 2009], nella sua lezione ha affrontato i problemi connessi all'intervento umanitario, inteso come modalità per l'affermazione dei diritti umani su scala globale che chiama in causa prima di tutto la protezione dallo sterminio di massa e dalla pulizia etnica. Secondo Walzer, «quando ci si trova di fronte ad atti che vanno ben oltre il concetto di barbarie ed inumanità, come la creazione di campi di lavoro coatto, gli omicidi di massa, o la pulizia etnica, se tutte le altre strade sono fallite, è possibile immaginare un intervento militare da parte di una forza internazionale che assicuri ad una corte internazionale chi perpetra tali crimini, che altro non sono se non violazioni dei diritti umani». Di fronte a questa considerazione preliminare è evidente che non possono essere perseguiti o giustificati interventi unilaterali che finiscono con l'indebolire il ruolo degli organismi internazionali il cui compito è quello di tutelare i diritti umani. Ma secondo Walzer, quando si parla di diritti umani, si corre il rischio di fare, come successe nel 1948, una lista troppo lunga. Per questo è necessario puntare sul «diritto ad avere diritti effettivi». Attraverso una concezione minimale dei diritti, fra i quali figurano «la vita, la libertà e pochi altri» è possibile anche stabilire «una descrizione approssimativa degli agenti responsabili della loro garanzia e della punizione e, infine, la disponibilità ad usare la forza come mezzo di coercizione». Fra gli agenti responsabili della garanzia vi è lo stato, e di conseguenza fra i diritti fondamentali vi è anche quello ad avere uno stato che dei diritti si faccia carico. Gli interventi internazionali, però, per poter avere una maggiore efficacia «dovrebbero anticipare il disastro e partire dalla prevenzione garantendo sì sicurezza, ma anche cibo, scuole, salute». Questa è una delle basi per «rendere i disastri meno frequenti e meno disastrosi», e partendo da questa base è anche possibile facilitare le relazioni fra gli stati che devono farsi garanti dei diritti dei propri cittadini, che non sono «solo contro massacri, fame e altri mali associati. Nell'ipotesi migliore, gli stati, provvedono ad una gamma di protezione e garanzia molto più ampia», che idealmente potrebbe coincidere con quella dei più convinti attivisti dei diritti umani. Secondo Walzer, il concetto di intervento umanitario, dopo l'Olocausto, parte da un patto universale che deve impedire il ripetersi di una cosa di quel genere, è per tale motivo che non si deve escludere a priori la possibilità degli interventi militari quando ci si trova di fronte a palesi e comprovate violazioni dei diritti umani, «perché esistono responsabilità morali che impongono l'intervento umanitario, volto però a difendere i diritti fondamentali: la vita, e le libertà individuali di pensiero, di parola, di religione». Il successo di questa prima Lezione Bobbio, è la conferma che vi sia ancora spazio e voglia di per esprimere valori che comportano indipendenza di giudizio e assunzione di responsabilità e anche per questo che il sindaco di Torino, Sergio Chiamparino, ha espresso l'auspicio che questa iniziativa si ripeta con cadenza periodica «perché la città possa continuare a riflettere sulle idee di Norberto Bobbio».
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