Nata
poverissima a Caspoli, frazione di Mignano Montelungo, nella
provincia di Terra di Lavoro, oggi in provincia di Caserta, Michelina
Di Cesare fu fin da piccola ribelle.
Secondo il biografo Maurizio Restivo che riporta la nota del sindaco di Mignano, Michelina Di Cesare assieme al fratello Giovanni si rese protagonista sin da piccola di piccoli furti ed abigeati nel circondario di Caspoli. Nel 1861 si sposa con Rocco Tanga, che morì l’anno dopo lasciandola vedova, mentre nel 1862 conosce Francesco Guerra, ex soldato borbonico e renitente alla leva indetta dal nuovo Stato…
Comunque sia, di questa banda Michelina divenne elemento di spicco e fu stretta collaboratrice del suo uomo e capobanda… La tattica di combattimento della banda era tipicamente di guerriglia, con azioni di piccoli gruppi che concluso l’attacco si disperdevano alla spicciolata, se del caso, per riunirsi in seguito in punti prestabiliti.
La banda di Michelina, talvolta singolarmente, talvolta in unione ad altre famose bande locali, corse parecchi anni (dal ’62 al ’68, come appare dalla nota del sindaco di cui sopra) il territorio tra le zone montuose di Mignano e i paesi circonvicini, compiendo assalti, grassazioni, ruberie e sequestri. Famoso è rimasto l’assalto al paese di Galluccio, con lo stratagemma di alcuni briganti travestiti da carabinieri che conducevano altri briganti nella loro foggia fintamente catturati. Le scorrerie non scemarono neppure quando dopo il 1865 in molte altre zone del Sud il brigantaggio era stato fortemente ridimensionato.
Da ultimo nel 1868 fu mandato in quelle zone il generale Emilio Pallavicini di Priola con pieni poteri per dare una stretta decisiva alle misure repressive. A tali misure e alle minacce il Pallavicini seppe efficacemente usare le ricompense per le delazioni e le spiate, e proprio una spiata fece cadere la sua banda in un agguato che perse Michelina e il suo uomo. I briganti vennero fucilati ed i loro corpi furono messi a nudo ed esposti nella piazza centrale di Mignano a monito della popolazione locale.
Secondo il biografo Maurizio Restivo che riporta la nota del sindaco di Mignano, Michelina Di Cesare assieme al fratello Giovanni si rese protagonista sin da piccola di piccoli furti ed abigeati nel circondario di Caspoli. Nel 1861 si sposa con Rocco Tanga, che morì l’anno dopo lasciandola vedova, mentre nel 1862 conosce Francesco Guerra, ex soldato borbonico e renitente alla leva indetta dal nuovo Stato…
Comunque sia, di questa banda Michelina divenne elemento di spicco e fu stretta collaboratrice del suo uomo e capobanda… La tattica di combattimento della banda era tipicamente di guerriglia, con azioni di piccoli gruppi che concluso l’attacco si disperdevano alla spicciolata, se del caso, per riunirsi in seguito in punti prestabiliti.
La banda di Michelina, talvolta singolarmente, talvolta in unione ad altre famose bande locali, corse parecchi anni (dal ’62 al ’68, come appare dalla nota del sindaco di cui sopra) il territorio tra le zone montuose di Mignano e i paesi circonvicini, compiendo assalti, grassazioni, ruberie e sequestri. Famoso è rimasto l’assalto al paese di Galluccio, con lo stratagemma di alcuni briganti travestiti da carabinieri che conducevano altri briganti nella loro foggia fintamente catturati. Le scorrerie non scemarono neppure quando dopo il 1865 in molte altre zone del Sud il brigantaggio era stato fortemente ridimensionato.
Da ultimo nel 1868 fu mandato in quelle zone il generale Emilio Pallavicini di Priola con pieni poteri per dare una stretta decisiva alle misure repressive. A tali misure e alle minacce il Pallavicini seppe efficacemente usare le ricompense per le delazioni e le spiate, e proprio una spiata fece cadere la sua banda in un agguato che perse Michelina e il suo uomo. I briganti vennero fucilati ed i loro corpi furono messi a nudo ed esposti nella piazza centrale di Mignano a monito della popolazione locale.
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... aveva un cuore di donna e della donna, per quel che poteva in quella vita randagia, assecondava qualche vanità. Le piaceva anche farsi fotografare. Portava con sé una foto che la ritraeva seduta su uno sgabello, con indosso l'abito tradizionale della sua terra, il fucile in una mano, il revolver nell'altra e un lungo pugnale alla cintola, ma con un viso che, pur serio, non aveva niente di barbaro o feroce, il viso grazioso e fresco di una ventenne che sembrava stesse recitando la parte della brigantessa al teatro della parrocchia. E ne aveva anche un'altra, scattata nella stessa occasione e con lo stesso abito, in cui se ne stava in piedi con un avambraccio appoggiato alla canna del fucile, l'altra mano su un fianco e il corpo atteggiato a sciantosa.
Silvino
Gonzato, Briganti romantici, Neri Pozza, Venezia 2014, p. 168
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