Elias Canetti, Masse und Macht,
Claassen Verlag, Hamburg 1960 tr. it. di F. Jesi, Massa e potere,
Adelphi, Milano 1981
Valentina Sperotto, Scheda di lettura, Giornale Critico di Storia delle Idee
Si chiude quindi la prima parte dedicata
alla massa e si apre la seconda in cui Canetti analizza il potere.
Questa seconda parte si apre riprendendo
nuovamente l’elemento iniziale del contatto e della paura che esso
suscita in quanto «il contatto provocato dal toccare preannuncia
l’assaggio», ovvero il contatto evoca i più antichi terrori dell’uomo.
Il rapporto di forze che si crea fra chi tocca e chi viene toccato fa si
che a seconda della durata della resistenza suscitata esso possa avere
diversi gradi. Diversi gradi del contatto sono i diversi gradi
dell’afferrare che può divenire anche schiacciare o sfracellare. Poiché
però il vero atto dell’incorporare inizia dalla bocca sono i denti «il
più evidente strumento di potere che uomini e moltissimi animali portano
in sé» tanto che essi «possono essere considerati come il primo
ordinamento, il quale esige formalmente un riconoscimento più generale;
un ordinamento che funge da minaccia verso l’esterno , che non è sempre
visibile, ma che appare alla vista ogniqualvolta la bocca si apre». La
minaccia dell’incorporazione è così la caratteristica fondamentale del
potere. Il potente, infatti, considera gli altri uomini come a sé
sottoposti, li considera alla stregua di animali, di un gregge, e il suo
scopo sarà quello di sfruttarli, incorporarli, anche quando egli negherà
di sfruttare e “digerire” i suoi sudditi.
L’afferrare e il mangiare sono le azioni
originarie del potere, ma l’istante della potenza vero e proprio è
l’istante del sopravvivere. A tale istante corrisponde una forza
incomparabile, la sensazione di essere un eletto, l’unico sopravvissuto
tra molti che hanno invece avuto un destino comune. La forza deriva
dalla consapevolezza di essere ancora vivi, e poiché il sopravvissuto è
l’unico ad esserlo tra molti, egli si sente in qualche modo migliore.
Alla sopravvivenza sono legati tutti i desideri d’immortalità, mentre
nella sua forma più semplice essa consiste nell’uccidere. Colui a cui
capita di sopravvivere più volte è considerato un eroe. Il
piacere di sopravvivere è tale che può persino divenire pericoloso e
insaziabile, una passione morbosa, quella che spesso muove gli eroi e i
condottieri. Ma non è sempre necessario che il singolo metta in pericolo
se stesso per sopravvivere: il comandante non sempre entra in battaglia,
spesso il suo compito è quello di prendere le decisioni da cui dipende
il suo esito; se la battaglia sarà vinta sarà il comandante ad
appropriarsi dell’esito della battaglia e dei morti.
La morte è il pericolo supremo e in
quanto tale il potente per eccellenza è colui che dispone del diritto di
vita e di morte sugli altri individui. La morte è certamente quella che
il sovrano infligge o può infliggere, generando terrore nei suoi
sudditi, ma il verso della paura si ribalta nel momento in cui qualcuno
si sottrae alla sentenza del sovrano: il potente è così immediatamente
in pericolo. Tale angoscia del pericolo aumenta man mano che i suoi
comandi vengono eseguiti poiché le sue vittime, anche se non si sono
apertamente schierate contro di lui, avrebbero potuto farlo. L’inganno
di ogni capo è così quello di farsi precedere dalla morte: «il capo
vuole sopravvivere, e perciò si rafforza. Quando egli ha dei nemici cui
sopravvivere tutto va bene; altrimenti, sopravvivrà alla sua stessa
gente. In ogni caso egli si serve degli uni e degli altri,
alternativamente o simultaneamente.»
Considerando la questione della
sopravvivenza dal punto di vista di colui cui viene già riconosciuto il
potere il sopravvivente gli è naturalmente avverso poiché guasta
l’immagine del potente come unico in grado di sopravvivere; inoltre nel
caso si tratti del successore (in linea dinastica), ovvero colui che gli
sopravvivrà, si instaura tra i due un aspro rapporto di odio, il più
giovane desidera infatti ardentemente la morte di colui che meno di
tutti vorrebbe morire.
La sopravvivenza va poi considerata nelle
sue diverse forme: come mito dell’origine in primis, la generazione di
una discendenza, effettivamente, presso moltissime culture dipende dalla
sopravvivenza ad un evento catastrofico di una sola coppia da cui avrà
origine l’intera stirpe.
In secondo luogo vanno considerate le
epidemie, queste producono lo stesso risultato finale di catastrofi come
un terremoto, ma il loro effetto, invece che essere immediato, è
cumulativo, esse durano nel tempo dando luogo a poco a poco
all’accumularsi dei cadaveri e rendendo gli uomini testimoni del
progredire della morte. Contrario all’epidemia è invece il suicidio di
massa in cui la morte è rivolta contro la propria gente affinché nessuno
cada nelle mani del nemico.
Vi è poi la sopravvivenza come timore dei
morti: i morti sono coloro cui altri sopravvivono, per questo i vivi
temono la loro invidia e da questo dipende spesso la formazione di mute
di lutto volte a placare risentimento del morto, in alcuni casi tali
mute si trasformano in vere e proprie forme di culto degli antenati.
Di fronte al mucchio di cadaveri, ai
morti sul campo di battaglia o alla schiera delle tombe in un cimitero
il sopravvissuto, unico a camminare tra coloro che giacciono defunti,
prova quello che Canetti definisce il sentimento del cimitero,
una soddisfazione segreta.
Alla fine di questa parte dedicata alla
sopravvivenza Canetti dedica un paragrafo alla scelta di Stendhal: lo
scrittore invece che mirare all’immortalità in forma di sopravvivenza
fisica preferì l’immortalità dei suoi scritti. In tal modo egli scelse
di appartenere alla schiera di «coloro che furono ne tempi trascorsi, e
la cui opera ancora vive – coloro che parlano ancora a qualcuno, e delle
cui opere ci si nutre.» Questo esempio che Canetti sceglie è volto a
mostrare come sia possibile concepire la sopravvivenza in un modo che
non comporti il sacrificio degli altri, che sopravvivere non sia la
situazione da cui uno trae vantaggio e che vede gli altri soccombere. La
sopravvivenza di Stendhal come degli altri grandi scrittori e pensatori
è volta a favore dei vivi.
Restano poi da analizzare alcuni elementi
del potere: la forza, la velocità, la domanda, il segreto, e le sentenze
di condanna o grazia. Per quanto riguarda la forza essa è più pressante
e immediata del potere (che rispetto ad essa è più generale e ampio), e
si trasforma in esso solo quando dura a lungo, d’altra parte nei momenti
decisivi il potere si trasforma nuovamente in forza.
[...] il nucleo più interno del
potere è il segreto, il potere del silenzio, mentre colui che viene
interrogato dal potente è obbligato a rispondere, pena la tortura, il
potente può tacere. Il silenzio isola, ancora una volta il potente è
unico e distaccato rispetto agli altri, la singolarità di colui che
detiene il segreto – o dei pochi che lo detengono – ha come conseguenza
la concentrazione (ossia il rapporto tra coloro che il segreto colpisce
e coloro che lo custodiscono) . Così «buona parte dell’autorità di cui
godono le dittature deriva dal fatto che si accorda loro la forza
concentrata del segreto, ripartita su molti ripartita su molti e
rarefatta nelle democrazie.» L’apoteosi e la glorificazione del
segreto ha luogo quando gli uomini sono disposti a fare e sopportare
molte cose se sono loro imposte con energia e in segreto, anche se
d’altra parte, i segreti sono destinati ad essere fatali tanto per chi
li detiene quanto per chi ne è colpito.
Il potere, come si è detto, corrisponde
anche alla facoltà di condannare o graziare gli altri, ma è anche e
innanzitutto potere di dare comandi. L’ordine è ciò che suscita
una determinata azione nell’istante in cui viene pronunciato.
All’origine del comando vi è qualche cosa di estraneo che dev’essere
considerato più forte da colui che obbedisce, vi è la paura, la paura
del tocco, poiché solo chi è in grado di vincere (sull’altro) comanda.
[L'azione di impartire un ordine comporta due aspetti, l'impulso e la spina. L'impulso costringe chi riceve il comamdo a eseguirlo, la spina permane in chi esegue il comando. Quest'ultimo] si imprime in colui che lo esegue in forma di spina e «la profondità e
la durezza con cui esso si imprime dipendono dall’energia con cui è
stato impartito, dalla forma che di volta in volta assume, dalla sua
preponderanza e anche dal suo contenuto. Esso perdura come qualche cosa
di isolato». Libero sarà allora solo l’uomo che ha imparato a non
eseguire gli ordini, colui che opponendosi all’impulso di eseguire il
comando evita anche la spina ad esso conseguente.
C’è però una situazione in cui al comando
non corrisponde una spina, ed è quando il comando viene rivolto alla
massa, poiché sulla massa si diffonde orizzontalmente (non verticalmente
come da comandante a sottoposto), l’angoscia, la paura, non è più quella
vissuta dal singolo, ma un’angoscia contagiosa che passa dall’uno
all’altro e che di dissolve al dissolversi della massa.
Canetti prende anche in considerazione un
aspetto generalmente poco studiato del potere: la metamorfosi. La
metamorfosi è invece un momento originario del potere, essa è quella che
gli ha procurato il potere sulle altre creature, ma anche per sfuggire
agli inseguitori. In particolare l’uomo attraverso le sue esperienze
mitiche quale animale ha imparato a usare gli animali come più gli
conviene e le sue metamorfosi a poco a poco sono diventate simulazioni,
l’uomo è diventato signore degli animali potendo diventare altro pur
continuando ad essere se stesso. Tuttavia a poco a poco la fluidità
delle figure della metamorfosi vanno irrigidendosi nella maschera. La
maschera stessa però che pone una distanza tra gli individui minaccia
l’altro con il segreto che si nasconde dietro di lei.
La metamorfosi, fluida e continua, è
determinata dall’influenza di un uomo sull’altro, nel momento in cui la
metamorfosi viene proibita, compresa la metamorfosi che ha luogo con il
mutar d’espressione del volto, il divieto deriva dalla necessità di
autonomia dell’uomo, che fa del proprio volto una maschera e che vieta a
tutti l’accesso – e dunque l’influsso – sul proprio animo.
Le relazioni di potere, e dunque
l’influsso che colui che lo detiene esercita sugli altri, sono evidenti
non solo dal mutamento originario dell’espressione del volto a causa
dell’emozione suscitata, ma anche dalla posizione del corpo. Le posture
del corpo non solo assumono un valore simbolico, ma Canetti mette in
evidenza come tale valore dipenda dalle caratteristiche della posizione
stessa (ad esempio lo stare in piedi è manifestazione di autonomia, lo
stare seduti di distinzione e così via). Coloro che adeguano anche la
propria posizione fisica al potente sono innanzitutto i componenti della
sua corte. La corte è un cristallo di massa costituito dalle
persone fedeli al potente che sempre lo circondano, ed è la corte che
orienta, anche fisicamente, tutti coloro che si avvicinano al sovrano.
A seconda del tipo di potere di cui si
tratta la corte e la massa manifesteranno nei suoi confronti diversi
tipi di atteggiamenti, colui che mira alla celebrità raccoglie
cori, vuole dunque solo essere gratificato dall’udire altri ripetere il
proprio nome; colui che mira alla ricchezza è interessato solo a
raccogliere mucchi e branchi, dunque non direttamente a suscitare
atteggiamenti nella massa, quanto piuttosto a poter comprare gli uomini;
in fine il potente, colui che ricerca il potere, raccoglie uomini
allo scopo di farsi precedere o accompagnare da essi nella morte e
poiché ciò che conta di più per ogni potere è di non passare, al potente
non importa di coloro che sono morti prima di lui o che devono ancora
nascere, ciò che conta è la propria sopravvivenza, la propria
immortalità.
Prima dell’Epilogo Canetti dedica
un capitolo al rapporto tra Sovranità e paranoia, a sua volta
legato al rapporto massa e paranoia che emerge in più momenti nel corso
dell’analisi. In particolare è fondamentale la sensazione di essere
circondati da una muta di nemici, evidente in particolare nelle visioni
di occhi, ma anche nelle visioni di masse d’insetti che caratterizzano
il delirio. L’elemento rilevante che accomuna paranoia e potere è «il
desiderio di sopprimere gli altri per essere l’unico, oppure, […] il
desiderio di servirsi degli altri per divenire l’unico con il loro
aiuto.» Questo è anche il punto cruciale del potere: il rapporto con
l’altro è quello esclusivo della sopravvivenza, dunque della negazione
dell’altro, così nella massa gli individui riescono a superare il
naturale timore del contatto con l’altro solo in quanto la molteplicità
dei corpi diviene un solo corpo. Il corpo della massa a sua volta mette
in atto un meccanismo comprensibile solo alla luce dello scopo stesso
per il quale essa si è formata (ovvero il potere della molteplicità
degli individui che ne fanno parte consente loro di conseguire scopi che
altrimenti il singolo non potrebbe raggiungere). Altrimenti è il timore
che l’altro suscita a dominare e con esso la distanza tra gli individui,
ma solo facendo i conti con il rapporto tra il potere del sopravvissuto
e la massa stessa, risultano chiari i meccanismi alla base del potere.
Canetti, dopo aver analizzato la massa e
il potere separatamente e l’uno in relazione all’altra osserva che
l’epoca delle mute del lamento sta tramontando insieme alla perdita
della presa delle grandi religioni, mentre, per quanto possano
continuare a originarsi guerre e conflitti armati, si è visto che è la
muta di accrescimento a essere schiacciante rispetto ad esse, tanto da
aver subordinato la tendenza alla guerra. Tuttavia è fondamentale, per
comprendere la nostra epoca, il fatto che se la smania di accrescimento
è certamente l’elemento dominante, non è per questo diminuito il valore
di ogni singolo. Anzi, il desiderio di indistruttibilità è divenuto
legittimo, ognuno è persuaso di non dover morire e ai propri stessi
occhi degno di lamento. Ciò che però cambia radicalmente rispetto al
passato è la situazione del sopravvissuto, questi, infatti, con le nuove
armi può sempre essere raggiunto, «i potenti oggi tremano in modo
diverso per la propria vita, come se fossero uguali agli altri
uomini». Così, se da una parte il potere che il sopravvissuto detiene
è decisamente più grande, oggi esso è anche più fuggevole. Le nuove armi
implicano d’altra parte che il potente sia più pericoloso, che con le
sue decisioni ne va della sopravvivenza di tutti, poiché egli, come il
paranoico, non si cura del resto dell’umanità, si sente piuttosto egli
solo contro tutto il mondo. La via che indica Canetti è dunque trovare
il punto debole del sopravvissuto, l’unico modo per essere liberi è di
togliere la spina al potente, essere in grado di scovarla per sottrarsi
all’angoscia, quell’angoscia che, dopo i conflitti mondiali, non
risparmia nemmeno il potente. Riuscire a scovare e sottrarre la spina a
chi detiene il potere poiché scegliere l’isolamento creativo resta
ancora, come ai tempi di Stendhal, una soluzione per pochi.
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