Giovanni Sartori
Una violazione macroscopica
Corriere della Sera, 6 novembre 2013
Beppe Grillo è un formidabile attore e demagogo.
Probabilmente anche Masaniello lo era nella Napoli del suo tempo, del
1600. Ma Masaniello non aveva l’elettricità (intendi: microfoni,
televisioni, Internet e bambini derivati). Masaniello arrivava a Napoli,
Grillo arriva a tutta l’Italia. Poteva essere fermato? Può ancora
essere fermato?
L’Italia pullula di giuristi e anche di giuristi
davvero insigni. Eppure a nessuno di loro è venuto in mente, a quanto
pare, l’articolo 67 della nostra Costituzione, per il quale «ogni membro
del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza
vincolo di mandato». Questa disattenzione è spiegabile? Forse sì,
perché le nostre facoltà di Giurisprudenza si sono chiuse in un
«formalismo» così introverso da ignorare una norma inserita in tutte le
costituzioni delle liberal democrazie europee sin da quando fu stabilita
dalla Rivoluzione Francese.
Nelle nostre facoltà di Legge si insegna storia
del diritto italiano (come è giusto che sia) ma non si insegna storia
del costituzionalismo. Incredibile ma vero. Il risultato è che ai nostri
costituzionalisti sfugge che il divieto del mandato imperativo
istituisce la rappresentanza politica dei moderni. Perché la
rappresentanza esisteva anche nel Medioevo e nell’antichità, ma era
appunto una rappresentanza assoggettata al vincolo del mandato
imperativo, e quindi di delegati o ambasciatori che presentavano al
Sovrano le richieste dei loro mandanti. Il divieto del mandato
imperativo è dunque vitale per un sistema di democrazia rappresentativa.
Se togli questo divieto la uccidi. E il grillismo costituisce di fatto
una violazione macroscopica di questo principio.
Non c’è dubbio che
il grillismo sia un movimento politico; e, secondo la dottrina, un
movimento che riesce a fare eleggere suoi candidati al Parlamento, è un
partito politico. Ma questi eletti hanno titolo per entrare e votare in
Parlamento? Secondo l’articolo 67 della Costituzione, no. Perché gli
eletti del Movimento 5 Stelle sono appunto vincolati da un mandato
imperativo di agire, parlare e votare solo su istruzioni di Grillo e del
suo guru; una sudditanza che li obbliga, senza istruzioni, al silenzio o
alla inazione.
Come ne usciamo? L’articolo 67 sopracitato suggerisce
- mi pare - che questi eletti non possono essere accolti in Parlamento
senza prima sottoscrivere uno ad uno il loro ripudio del mandato
imperativo. So immaginare gli strilli e i «vaffa» dei grillini e di chi
li vota. Il che non toglie che i giuristi della Corte costituzionale non
possano ignorare il problema e nemmeno lo dovrebbe ignorare, mi sembra,
il presidente della Repubblica. Perché Scalfari ha davvero ragione
quando, su la Repubblica di domenica scorsa, dice di temere, con il
grillismo, il definitivo sfascio di un Paese già sfasciatissimo.
Verrò ricoperto di «vaffa», ma poco male sarebbe un male minore. Non
posso invece dargli ragione sul rimedio del federalismo europeo. È
comprensibile che questa tesi sia cara a Barbara Spinelli, figlia di un
padre illustre che ne è stato grande animatore. Ma non si è mai visto un
sistema federale senza una lingua comune. Nemmeno l’India fa eccezione,
perché l’élite che la domina parla l’inglese. Ma vorrei vedere un
povero votante italiano al quale vengono sottoposti, per l’elezione
federale, candidati finlandesi (dei quali non saprebbe nemmeno
pronunziare il nome); e così per una diecina e passa di altri Paesi che
parlano per noi un linguaggio indecifrabile. Il federalismo di Bossi per
fortuna è morto; e potremmo senza danno (lo sussurro e basta)
sopprimere anche le Regioni.
Ma lo dico di sfuggita. Una scarica di «vaffa» alla volta .
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