Orlando furioso di Ludovico Ariosto raccontato da Italo Calvino
1970
Tra
gli intellettuali e le produzioni artistiche popolari c'è sempre stato (e c'è
più che mai nel
nostro secolo, con le moderne forme dì «cultura di massa» e soprattutto il cinema) un rapporto mutevole: dapprima di rifiuto, di sufficienza sdegnosa, poi d'interesse ironico, poi di scoperta di
valori che invano si cercano altrove. Finisce che l'uomo colto, il poeta raffinato s'appropria di
ciò che era divertimento ingenuo, e lo trasforma.
nostro secolo, con le moderne forme dì «cultura di massa» e soprattutto il cinema) un rapporto mutevole: dapprima di rifiuto, di sufficienza sdegnosa, poi d'interesse ironico, poi di scoperta di
valori che invano si cercano altrove. Finisce che l'uomo colto, il poeta raffinato s'appropria di
ciò che era divertimento ingenuo, e lo trasforma.
Cosi
fu della letteratura cavalleresca nel Rinascimento. Quasi contemporaneamente,
nella
seconda
metà del XV secolo, nelle due corti più raffinate d'Italia, quella dei Medici
di Firenze e
quella
degli Este di Ferrara, la fortuna delle storie di Orlando e di Rinaldo risalì
dalle piazze agli
ambienti
colti. A Firenze fu ancora un poeta un po' alla buona, Luigi Pulci (1432-84)
che (pare su
commissione
della madre di Lorenzo il Magnifico) mise in rima avventure già note ma con un
proposito
caricaturale. Tanto che il suo poema prese nome non dai paladini protagonisti,
ma da
una
delle grottesche figure di contorno, Margutte, un gigante vinto da Orlando e
diventato suo
scudiere.
A
Ferrara, un dignitario della corte estense, Matteo Maria Boiardo conte di
Scandiano (1441-94)
si
rivolse alla epopea cavalleresca con uno spirito distaccato anch'egli, ma
venato dalla
malinconica
nostalgia di chi, scontento del suo tempo, cerca di far rivivere i fantasmi del
passato.
Alla
corte dì Ferrara erano molto letti i romanzi del ciclo brètone, tutti
incantesimi, draghi, fate,
prove
solitarie di cavalieri erranti; la contaminazione tra queste vicende fiabesche
e l'epica
carolingia
era già avvenuta in qualche poema francese e in molti cantari italiani; in
Boiardo i due
filoni
hanno il loro primo incontro con la cultura umanistica che tende a
ricongiungersi, al di là
del
Medioevo, ai classici dell'antichità pagana. I mezzi tecnici del poeta sono
però ancora
primitivi,
la vitalità generosa che i suoi versi comunicano viene in gran parte dal loro
sapore
acerbo.
L'Orlando innamorato, lasciato incompiuto alla morte dell'autore, è un poema
dalla
versificazione
rozza, scritto in un italiano incerto e che sconfina di continuo nel dialetto.
La sua
fortuna
fu anche la sua sfortuna; l'amore che altri poeti gli tributarono fu tanto
carico di
sollecitudine
a portargli aiuto, come a creatura inadatta a vivere con le sue forze, che finì
per farlo
eclissare
e scomparire dalla circolazione. Nel Cinquecento, ristabilitosi il primato
dell'uso toscano
nella
lingua letteraria, il Berni riscrisse tutto l'Orlando innamorato in «buona
lingua», e per tre
secoli
il poema non fu ristampato se non in questo rifacimento, finché nell’ottocento
non fu
riscoperto
il testo autentico, il cui valore per noi sta proprio in ciò che i puristi
censuravano:
l'essere
un monumento dell'italiano diverso che nasceva dai dialetti della pianura
padana.
Ma
soprattutto l'Innamorato fu oscurato dal Furioso, cioè dalla continuazione che
Ludovico
Ariosto
intraprese a scrivere una decina d'anni dopo la morte del Boiardo, una
continuazione che
fu
subito tutt'altra cosa: dalla ruvida scorza quattrocentesca il Cinquecento
esplode come una
lussureggiante
vegetazione carica di fiori e di frutti.
Questa
fortuna-sfortuna continua: eccoci qui a parlare dell’Innamorato solo come d'un
«antefatto»
al Furioso, a sbrigarcene come in un «riassunto delle puntate precedenti».
Sappiamo
di
fare cosa sbagliata e ingiusta: i due poemi sono due mondi indipendenti; eppure
non possiamo
farne
a meno.
L'Orlando
della tradizione, come s'è detto, aveva tra i suoi pochi tratti psicologici
quello d'essere
casto
e inaccessibile alle tentazioni amorose. La «novità» del Boiardo fu di
presentare un Orlando
innamorato.
Per catturare i paladini cristiani, e soprattutto i due cugini campioni,
Orlando e
Rinaldo,
Galafrone re del Cataio (ossia della Cina) ha mandato a Parigi i suoi due
figli: Angelica,
bellissima
ed esperta nelle arti magiche, e Argalia, guerriero dalle armi fatate e dall'elmo
a prova
d'ogni
lama. Come se non bastasse hanno anche un anello che rende invisibili.
Argalia
lancia una sfida: chi riuscirà a disarcionarlo avrà sua sorella, e chi sarà
disarcionato da lui
diventerà
suo schiavo. Appena vedono Angelica, tutti i cavalieri presenti, cristiani e
infedeli (è la
tregua
di Pasqua e sono tutti convenuti a un torneo), s'innamorano; perfino re Carlo
perde la testa.
Argalia,
dopo una serie di duelli fortunati, viene ucciso dal saraceno Ferraù (qui
chiamato
Feraguto),
ma a contendere la bella preda al vincitore sopraggiunge Orlando. Angelica ne
approfitta
per fuggire, rendendosi invisibile, invano inseguita da Rinaldo (qui chiamato
Ranaldo o
Rainaldo).
Fuggendo, Angelica, assetata, beve a una fontana magica: è la fonte dell'amore;
la
bella
s'innamora di Rinaldo. Rinaldo beve anche lui a una fontana incantata, ma è
quella del
disamore:
da innamorato che era diventa nemico di Angelica e la sfugge. Angelica, che non
può
vivere
senza Rinaldo, lo fa rapire da una barca fatata, ma lui non ne vuoi sapere e
dopo varie
avventure
da un'isola all'altra riesce a sfuggirle. Ritiratasi nel Cataio, nella fortezza
di Albraca o
Albracà,
Angelica viene assediata da Agricane re dei Tartari e da Sacripante re dei
Circassi,
anch'essi
innamorati sfortunati. Il primo ha la meglio, ma in difesa di Angelica accorre
Orlando,
sempre
innamorato e sfuggito ad altri incantesimi. Duella un giorno e una notte con
Agricane e
l'uccide.
Questo duello (libro primo, canti XVIII-XIX) è giustamente l'episodio più
ammirato del
poema:
a un certo punto, stanchi di duellare i due campioni si sdraiano sull'erba a
guardare le
stelle:
Orlando parla di Dio ad Agricane che rimpiange d'esser sempre stato un grande
ignorante;
ripreso
il duello all'alba, Agricane ferito a morte chiederà il battesimo al suo
avversario.
Raccontare
le battaglie e i duelli attorno ad Albracà è difficile perché si sovrappongono
sempre
nuovi
eserciti e nuovi campioni, tra i quali Galafrone padre d'Angelica che vuoi
vendicare il
figlio
ucciso, Marfisa regina delle Indie che non si toglie mai le armi di dosso, e
combattono allo
stesso
tempo ognuno una sua guerra particolare, con frequenti scambi di nemici e
d'alleati. Arriva
anche
Rinaldo, odiando Angelica, per impedire al cugino Orlando di perdersi dietro
quella vana
passione.
Angelica si fa difendere da Orlando (il quale, da quel perfetto cavaliere che
è, si guarda
bene
dal toccarla), ma pensa solo a salvare la vita di Rinaldo dalla gelosia
(immotivata) di
Orlando.
Innumerevoli storie secondarie di fate e giganti e incantesimi si diramano
dalle vicende
principali:
per esempio Angelica riesce a distogliere Orlando dalla contesa contro Rinaldo
incaricandolo
della difficile impresa di sfatare un giardino incantato.
Mentre
i paladini scorazzano per l'Oriente, la Francia è insidiata da sempre nuove
invasioni.
Prima
era stato Gradasso re di Sericana che era riuscito a far prigioniero lo stesso
re Carlo, ed era
stato
poi sconfitto da Astolfo, entrato in possesso, senza darsene conto, della
lancia fatata del
defunto
Argalia. Poi è Agramante re d'Africa che fa sbarcare re Rodomonte (qui chiamato
Rodamonte)
in Provenza e fa scavalcare i Pirenei a re Marsilio (su istigazione del solito
Gano di
Maganza).
Rinaldo torna a dar man forte a Carlo in pericolo, e Angelica gli corre dietro
facendosi
seguire
da Orlando. Passano davanti alle due fontane incantate, e stavolta è Angelica
che beve
alla
fonte dell'odio e Rinaldo a quella dell'amore. Orlando e Rinaldo sono di nuovo
rivali; in un
momento
tanto grave per le armi cristiane i due cugini non pensano che alla loro
contesa.
Re
Carlo allora si propone come arbitro: Angelica sarà tenuta in custodia dal
vecchio duca Namo
di
Baviera e verrà assegnata a quello dei due campioni che avrà più valorosamente
combattuto
contro
gli infedeli. E' a Montalbano presso i Pirenei che avviene la battaglia
decisiva: decisiva
soprattutto
perché - sebbene il poema di Boiardo continui ancora per qualche canto narrando
l'assedio
di Parigi - è da questa battaglia che Ariosto prenderà le mosse del suo poema
riallacciando
le fila dei vari personaggi. E decisiva anche perché è in questa battaglia che
Ruggiero,
cavaliere saraceno discendente da Ettore di Troia, incontra la guerriera
cristiana
Bradamante
(qui chiamata Bradiamonte o Bradiamante o Brandimante o Brandiamante), sorella
di
Rinaldo, e da nemici che erano si ritrovano innamorati.
L'episodio
è importante perché era intento del Boiardo (pare su esplicita commissione di
Ercole I
d'Este)
convalidare la leggenda che la Casa d'Este traesse origine dalle nozze di
Ruggiero di Risa
e
Bradamante di Chiaromonte. A quel tempo una genealogia, anche se immaginaria,
aveva
grande
peso: i nemici degli Estensi avevano diffuso la diceria che i signori di
Ferrara
discendevano
dall'infame traditore Gano di Maganza; bisognava correre ai ripari. Boiardo
introdusse
questo motivo genealogico quando il suo poema era già molto avanti, e non ebbe
tempo
di svilupparlo; toccherà ad Ariosto portarlo a compimento. Ma nel frattempo a
Ercole I,
che
pareva ci tenesse molto, erano successi i figli, Alfonso I e il cardinale
Ippolito, che di queste
fantasie
poco si curavano. E Ariosto, del resto, non aveva certo lo spirito del
cortigiano adulatore;
pure
tenne fede al compito che s'era prefisso con scrupoloso impegno. Aveva le sue
buone ragioni
per
farlo. Primo, che era un motivo narrativo di prim'ordine: i due innamorati che
sono leali
combattenti
di due eserciti nemici e perciò non riescono mai a tradurre in realtà il
destino nuziale
che è
stato loro assegnato; e secondo, che questo lo portava a legare il tempo mitico
della
cavalleria
con le vicende contemporanee, col presente di Ferrara e dell'Italia.
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L'incipit dell'Orlando innamorato è questo:
Signori e cavallier che ve adunati
Per odir cose dilettose e nove,
Stati attenti e quïeti, ed ascoltati
La bella istoria che 'l mio canto muove;
E vedereti i gesti smisurati,
L'alta fatica e le mirabil prove
Che fece il franco Orlando per amore
Nel tempo del re Carlo imperatore.
Quello dell'Orlando furioso invece è il seguente:
Le donne, i cavallier, l'arme, gli amori,
le cortesie, l'audaci imprese io canto,
che furo al tempo che passaro i Mori
d'Africa il mare, e in Francia nocquer tanto,
seguendo l'ire e i giovenil furori
d'Agramante lor re, che si diè vanto
di vendicar la morte di Troiano
sopra re Carlo imperator romano.
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L'incipit dell'Orlando innamorato è questo:
Signori e cavallier che ve adunati
Per odir cose dilettose e nove,
Stati attenti e quïeti, ed ascoltati
La bella istoria che 'l mio canto muove;
E vedereti i gesti smisurati,
L'alta fatica e le mirabil prove
Che fece il franco Orlando per amore
Nel tempo del re Carlo imperatore.
Quello dell'Orlando furioso invece è il seguente:
Le donne, i cavallier, l'arme, gli amori,
le cortesie, l'audaci imprese io canto,
che furo al tempo che passaro i Mori
d'Africa il mare, e in Francia nocquer tanto,
seguendo l'ire e i giovenil furori
d'Agramante lor re, che si diè vanto
di vendicar la morte di Troiano
sopra re Carlo imperator romano.
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