Corrado Stajano
Ghezzi, la vita spezzata dall’utopia
La storia dell’anarchico lombardo inghiottito in un gulag
Corriere della Sera, 30 gennaio 2014
Che vita appassionata e tragica
quella dell’anarchico Francesco Ghezzi, dall’orto delle Visitandine, nel
cuore di Milano, alla Lubianka di Mosca a un gelido gulag in Siberia.
L’ha ripercorsa un secolo dopo, con affetto, con pena mascherata, ma con
il rigore dei documenti e il rispetto dei fatti, senza sposarne le
idee, un nipote, il noto sindacalista Carlo Ghezzi, già segretario della
Camera del lavoro di Milano, ora segretario della Fondazione Giuseppe
Di Vittorio. Ne è nato un libro, Francesco Ghezzi, un anarchico nella
nebbia (edizioni Zero in condotta).
Francesco, cugino del padre di
Carlo, nacque nel 1893 a Cusano sul Seveso in una famiglia numerosa di
contadini poveri, di rigida educazione cattolica. Nel 1900 la famiglia
si trasferisce a Milano, in via Santa Sofia 7. Il padre Giulio trova
lavoro come giardiniere all’Orticoltura Longoni e ottiene anche la
gestione della portineria di un istituto religioso della Curia del
cardinal Ferrari, allora arcivescovo di Milano. Il quartiere ha un
aspetto sereno, con i barconi carichi di merce che scivolano sull’acqua
dei Navigli.
Non è serena invece Milano, in quegli anni. Il
conflitto sociale è aspro, la crisi della fine dell’Ottocento si fa
sentire ancora, non si sono per nulla rimarginate le ferite del tragico
1898, quando il generale Fiorenzo Bava Beccaris sparò col cannone e con
la mitraglia contro gli operai in sciopero. Ufficialmente i morti furono
ottanta, pare invece che siano stati quattrocento.
Il ragazzo
Francesco, sveglio e intelligente, finite le elementari, lavora a
bottega, tornitore di lastre, poi cesellatore del bronzo, un artigiano
provetto. Forse è proprio l’ambiente un po’ codino della famiglia a far
di lui un ribelle. Carlo Ghezzi non è uno storico, ma conosce bene
politica e società e sa inserire la vicenda dell’anarchico nel clima che
incendia la città e l’intero Paese: tra la nascita delle organizzazioni
sindacali — la Confederazione generale del lavoro fondata proprio a
Milano nel 1906 —, gli scontri di piazza, la guerra di Libia del 1911.
Francesco
a sedici anni viene arrestato — è la sua prima volta — durante un
raduno di protesta. Frequenta un gruppo di anarchici, si definisce
anarchico individualista: un sovversivo, secondo i rapporti di polizia.
Prende parte a manifestazioni antimilitariste, aderisce all’Usi, la più
importante organizzazione sindacalista rivoluzionaria europea, conosce
nel 1913 Errico Malatesta, l’uomo di maggior prestigio del movimento
anarchico italiano, conosce anche il Mussolini socialista, che va a cena
più volte nella sua casa in via Santa Sofia. Poi la Grande guerra, con
le polemiche tra gli interventisti democratici, i neutralisti, i
sindacalisti rivoluzionari, gli anarchici schierati contro il conflitto
mondiale. Francesco è sempre in prima fila, grida «Abbasso la guerra,
viva l’Austria», viene arrestato più volte.
Chiamato alle armi,
fugge in Svizzera, disertore. Nel 1917 è a Zurigo nel corteo festante
che accompagna Lenin alla stazione da dove parte il famoso treno per
Mosca. Viene arrestato anche in Svizzera, espulso, si rifugia a Parigi,
può tornare in Italia solo nel 1920 dopo l’amnistia del governo Nitti.
La
bomba del Diana segnerà come un’ombra nera la vita di Ghezzi. È il 23
marzo 1921 quando 160 candelotti di gelatina nascosti in una cesta
esplodono alle 22,40 di quella sera: al teatro milanese è di scena
Mazurka blu , l’operetta di Franz Lehár. I morti sono ventuno, i feriti
ottanta. I sospettati sono subito gli anarchici che prendono le
distanze, sconfessano l’accaduto. Ma due di loro confessano: Giuseppe
Mariani, condannato all’ergastolo, Giuseppe Aguggini a trent’anni di
prigione. Su Francesco Ghezzi — non ci sono prove — viene posta una
taglia di cinquanta milioni. Scappa in Svizzera, poi a Berlino. Anni
dopo sarà condannato a sedici anni di reclusione per associazione a
delinquere.
La Russia è la grande madre, la patria del socialismo,
il sol dell’avvenire. Francesco arriva felice a Mosca, ma la realtà,
dopo un sereno periodo in Crimea, sarà cruda e amara. Dal 1924 Stalin è
il segretario generale del Partito comunista, Francesco Ghezzi lavora in
una gioielleria, tornitore di metalli preziosi. Mantiene i contatti con
i vecchi compagni fuorusciti come lui e questo lo perde. Nel 1929 viene
arrestato, condannato a tre anni di campo di lavoro per attività
controrivoluzionaria. Intellettuali e politici di tutto il mondo, da
Romain Rolland a Claude Autant-Lara, chiedono il suo rilascio, nel 1931
viene liberato. Lavora in fabbrica. Ha rapporti con Victor Serge,
rivoluzionario anarchico, poi bolscevico, oppositore di Stalin proprio
negli anni delle feroci purghe staliniane. Nel 1939 Ghezzi finisce alla
Lubianka, accusato di trotzkismo, di sovversivismo, ed è condannato a
otto anni di lavori forzati.
Tormentato dalla tubercolosi, viene
destinato a Vorkuta, a nord del Circolo polare artico. Non rinnega mai
la sua fede anarchica. Da allora non si sa più nulla di lui, scompare
nelle nebbie della piccola Storia. Muore nel 1942, sarà riabilitato
dalla Procura di Mosca solo nel 1994.
Un’altra vittima del tragico Novecento.
Il
libro di Carlo Ghezzi, «Francesco Ghezzi, un anarchico nella nebbia», è
pubblicato dalle edizioni Zero in condotta, pagine 123, e 10
....................................................... la scheda nel sito Gulag Italia
http://www.memorialitalia.it/archivio_mem/gulag/gulag/frameset_ita.html
Cognome:
Ghezzi
Nome:
Francesco
Figlio di:
Giulio
Luogo e data di nascita:
Nato a Cusano Milanino (Mi) il 4 ottobre 1893
Origine sociale e percorso politico prima dell'arrivo in URSS:
Di famiglia operaia, inizia a lavorare a 7 anni. Anarchico, subisce vari
processi e condanne per disfattismo, organizzazione di scioperi,
detenzione di esplosivi. Nel 1914 emigra in Francia per evitare
l'arresto, quindi in Svizzera. Tornato a Milano nel 1920, è coinvolto
nell'attentato al cinema Diana. Condannato in contumacia a 18 anni e 8
mesi di reclusione,viene inviato in URSS dall'organizzazione
anarco-sindacalista milanese, per il 1° congresso del Profintern
Data dell'arrivo in URSS:
1921
Percorso professionale/politico in URSS:
Tre mesi dopo l'arrivo a Mosca, si reca a Berlino al Congresso anarchico
internazionale, e qui viene arrestato nel 1922. Dopo 9 mesi di carcere,
è liberato e nel 1923 torna in URSS. Fino al 1926 vive a Jalta, dove
lavora in una comune agricola di emigrati politici anarchici. Quindi è
operaio alla "Labormetiz" di Mosca
Data, luogo e motivi dell'arresto:
Arrestato l'11 maggio 1929 a Mosca con l'accusa di "aver condotto, in
qualità di anarchico militante, propaganda controrivoluzionaria contro
il VKP(b) e le autorità sovietiche". Arrestato nuovamente il 5 novembre
1937 e rinchiuso nel carcere interno n. 1 dell'UNKVD di Mosca
Condanna:
Condannato a 3 anni di reclusione l'11 gennaio 1930 e inviato al carcere
politico di Suzdal'. Dopo il secondo arresto,condannato a 8 anni di
lager il 3 aprile 1939 dal PP dell'OSO dell'NKVD dell'URSS in base
all'art. 58-10 e inviato al Vorkutlag. Il 13 gennaio 1943 (quando era
già deceduto in lager) viene condannato alla pena di morte per
partecipazione a un'organizzazione antisovietica
Data, luogo e causa della morte:
Muore il 3 agosto 1942 al Vorkutlag
Liberazione:
Liberato nel 1931 grazie a una campagna internazionale a suo favore,
organizzata da Romain Rolland. Torna a Mosca, lavora nel reparto
riparazioni della "Labormetiz" fino al nuovo arresto nel 1937
Riabilitazione:
Riabilitato il 21 maggio 1956
Fonti archivistiche:
GARF f. 10035 op.1 d.P-27002;
RGASPI f.513 op.2 d.69; ACS, CPC, busta 2357
.......................................................................................................
Si può vedere inoltre
Barbara Ielasi Mikhail Tsovma,
'Un anarchico italiano a Vorkuta', Bollettino Archivio G. Pinelli (Milano), n. 27, luglio 2006,
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