Simonetta Fiori
a proposito di
Luisa Lama, Nilde Iotti. Una storia politica al femminile, Donzelli, Roma 2013
la Repubblica, 23 giugno 2013
La
voce di Togliatti è contenuta in uno scrigno intarsiato, di quelli
antichi dell’artigianato sorrentino. Non solo la sua voce, ma anche la
sua emotività, la scoperta di sé, il tempestoso viaggio interiore di un
uomo passato alla storia per la glaciale razionalità. Il mitico totus
politicus alle prese con un sentimento terrorizzante quale l’amore.
Quando credevamo di saper tutto di quella storia sentimentale, già
consegnata ai polverosi annali del comunismo, affiorano quaranta lettere
scambiate tra Palmiro e Nilde al principio della relazione. Il racconto
del primo anno di segreta passione, dall’incontro a Montecitorio
nell’estate del 1946 fino alla convivenza nell’abbaino di Botteghe
Oscure. Una vicenda che intreccia clandestinità, ostilità del partito e
nascita dell’Italia repubblicana.
Amore e politica, per la prima
volta parla Palmiro. E alla testimonianza di Nilde, arricchita negli
anni con riserbo, si affianca quella del compagno. La loro storia
sentimentale — gli affanni, il gioco e le gelosie, il lento scivolare
l’uno nel bisogno dell’altro — ci viene raccontata anche da lui, il gran
capo del comunismo italiano, allora ancora legato alla moglie Rita
Montagnana. Una confessione a tratti sorprendente che si può leggere
nella nuova e bellissima biografia Nilde Iotti. Una storia politica al
femminile scritta da Luisa Lama, che ha avuto accesso al carteggio
inedito ritrovato da Marisa Malagoli Togliatti, figlia adottiva della
coppia.
Tutto cominciò da una «piccola carezza » azzardata sui
capelli di Nilde, lungo lo scalone di Montecitorio. È il 30 luglio del
1946, da due settimane fervono a Roma i lavori per la nuova Carta
Costituzionale. Ma nel retrobottega della grande Storia sta maturando la
storia più minuta tra il mitico segretario comunista e la giovane
deputata di Reggio Emilia. Li separano ventisette anni — 53 lui, 26 lei —
e una gran quantità di cose: radici famigliari, formazione, status ed
esperienza. Però lei è brillante, colta, di naturale eleganza.
Chiacchierano di tutto, Ariosto, Boiardo e naturalmente politica. «Sei
come una striscia di sole in una stanza buia», la corteggia lui in una
delle prime lettere. Il tono è lieve, quasi allegro. Ma presto subentra
il «sentimento di vertigine, come davanti all’abisso». Uno sperdimento
che lo abbaglia, Palmiro se ne ritrae piacevolmente spaventato. Non
aveva mai provato quell’«impulso più forte della sua volontà», e teme di
perderne il controllo. Da Parigi — dove è volato in agosto per parlare
con Molotov del confine jugoslavo — arrivano i primi segni di resa. «Ho
abbandonato me stesso a te come mai avrei pensato». E ancora: «Nec tecum
vivere possum nec sine te». Né con te né senza di te. Pagine di block
notes e fogli dell’Assemblea Costituente vanno riempendosi di parole
d’amore, scritte a matita o a penna, mai con il leggendario inchiostro
verde usato per il partito. «Nina mia». «Non posso più vivere così». No,
questa è davvero un’altra storia.
L’aria
è particolarmente frizzante, in parlamento e nel Paese. Si costruisce
una nuova Italia, e i vecchi capi comunisti — quelli che avevano subito
le vessazioni del fascismo e temuto le purghe staliniane — cominciano ad
assaporare il gusto della libertà, anche il piacere delle comodità
borghesi. Non c’è più spazio mentale per le antiche compagne, quelle di
taglia forte e scarpa 41, che gli erano state accanto nelle tante
battaglie della clandestinità. Succede a Togliatti, ma anche a Longo e
Terracini. E nell’estate del 1946 i rapporti tra Palmiro e la moglie
sono incrinati da tempo, sin dagli anni del Comintern trascorsi a Mosca.
Li divide anche la grave condizione fisica e psichica del figlio Aldo,
che il padre fatica ad accettare. È in questa «situazione
intollerabile», come lui dice, che arriva il sorriso di Nilde.
Il
nuovo amore costringe Palmiro a un viaggio dentro di sé, lo stesso che
lo porterà a sfidare il partito e perfino il Cremlino. È tempo di bilanci
affettivi, che non lo soddisfano. Fino a quel momento è stato un uomo
in fuga dalle emozioni, «non sai tu quante immagini di donne ho respinto
dal mio cuore». Addirittura una volta, pur di resistere alla seduzione
femminile, aveva rischiato di morire per gli alti sentieri di montagna.
Lui, il gran capo temuto e adorato, che scappa davanti a un’amica
richiedente. Sempre a Parigi rivede Carmen, la comunista spagnola che
dieci anni prima l’aveva amato nelle traversie della Guerra civile.
Improvvidamente, rievocando l’antico sodalizio, vi fa cenno in una
lettera per Nilde: «È commovente come una donna possa amare senza
chiedere nulla». Poi ne straccia platealmente l’indirizzo, ma Nilde non è
un’amante gretta né sprovveduta: «Ho pensato con un po’ di compassione a
quella donna che certo ti ha amato. Quando non amerai più me, ti prego,
non cancellarmi così».
È una storia d’amore «dolce e terribile »,
quella tra il segretario e la giovane parlamentare. Incontri furtivi,
strette di mano in pubblico. Ma in novembre la stampa satirica comincia a
bersagliarli, ritraendoli sul divanetto di Montecitorio in pose
ridicole. A Botteghe Oscure i pettegolezzi si caricano di tinte
velenose. E certo non resta a guardare la “marquisa” Montagnana. Alla
Camera Nilde ne incrocia lo sguardo «duro, pieno di rancore e odio,
appena filtrato dalle palpebre socchiuse ». Ma il nemico più temibile è
il partito, un’entità entusiasmante e crudele che per mille motivi non
accetta questo amore irregolare. In un momentodi malinconia Togliatti
arriva a evocare «il povero Gramsci, anch’egli ha amato e voluto essere
amato, e ha cercato tramite l’amore di essere compreso ». Chissà quante
volte in passato la fragilità emotiva di Nino l’aveva indispettito. Ora
no, perfino l’antico amico- avversario gli appare
sentimentalmentevicino. Nel febbraio del 1947, una pausa inaspettata
rallenta l’intensità del carteggio. Palmiro non risponde alle lettere, e
Nilde scopre che è a casa ammalato, per giunta accudito dalla legittima
moglie. «Sono certa che tu guariresti prima se potessi curarti io»,
incalza Nilde con modi quasi infantili. Sembra disposta a tutto, perfino
a chiedere notizie all’autista-custode Armandino, che non le mostra
grande simpatia. «Solo allora ho rinunciato a venire a casa tua», scrive
a Palmiro in toni sommessamente minacciosi. In una lettera successiva
accenna anche a un desiderio di maternità, «a volte vorrei davvero che
qualche cosa di te restasse in me, forse allora capiresti ciò che sei
per me». Dopo qualche anno quel figlio desiderato sarebbe stato
concepito, ma il triste epilogo resta avvolto nel mistero.
In quegli
stessi mesi, in parlamento, le sinistre combattono per una famiglia
moderna, fondata sull’eguaglianza tra coniugi e sulla parità legale dei
figli, nati dentro e fuori del matrimonio. Fortificata dalla sua stessa
esperienza privata, Nilde resterà sul fronte a difendere i nuovi
diritti. E il divorzio? No, su quel terreno non può battersi. C’è il
rischio di una rottura con i cattolici, e Togliatti preferisce lasciar
cadere. Ma nel privato — come già Longo e Terracini— prova a ricorrere
alla “Sacra Rota Comunista”. Nel dicembre del 1953 fa domanda per
risiedere almeno un anno a San Marino, dove il divorzio è cosa lecita.
Ma sarà costretto a rinunciarvi, scoraggiato dal clamore mediatico che
colpisce Longo. Sono i paradossi della doppia morale.
Nell’album
della famiglia comunista, Nilde dovrà aspettare ancora molti anni prima
di trovare ufficialmente posto accanto a Palmiro. Accadde nell’agosto
del 1964. Ai funerali di Togliatti le viene concesso un ruolo d’onore,
prima fila dietro il feretro. Se come sposa era rimasta invisibile, in
qualità di vedova poteva ottenere l’agognato riconoscimento. La coppia,
finalmente, non c’era più. La morale del partito salva per sempre.
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