Laura Larcan
La doppia vita di Corot il grande precursore
Sulla mostra "Corot e l'arte moderna. Souvenirs et Impressions" 27 novembre 2009 - 7 marzo 2010 ospitata al Palazzo della Gran Guardia a Verona.
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L'Italia. Il primo lungo soggiorno italiano, fra il 1825 e il 1828 che
gli stimola uno stile precocemente realista, cercando nelle vedute di
Roma e nella campagna laziale, sempre di piccolo formato, di restituire
con efficacia sulla tela l'atmosfera limpida e cangiante con una tecnica
immediata basata su larghe masse di colore. E' qui che Corot scopre
l'essenza del paesaggio, ancora prima di aderire alla scuola di Barbizon
(quel gruppo di artisti francesi che decideranno tra il 1830 e il 1847)
di soggiornare presso la foresta di Fontainebleau per sperimentare la
pittura dal vero nel cuore della natura).
A Roma Corot non cerca la storia o
l'eco del passato, ma vuole la luce, quella chiarezza che accende i
colori trasformandoli in strumenti diretti della sua stesura pittorica. E
comincerà a dipingere secondo la sua sensibilità, en plein air, anche
se può impiegarci giorni e giorni per concludere la composizione. Ancora
un secondo soggiorno in Italia, nel 1834, viaggiando tra Firenze,
Genova, Venezia e i laghi lombardi, quando la sua arte si traduce tutta
nel registrare "impressioni" luminose di quei luoghi. Fino al terzo, nel
1843, tra Torino, Genova, Roma e dintorni, periodo di nuove intuizioni.
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Scorrendo le tele in mostra, che non perdono mai di vista i riferimenti
alla sua Italia come esperienze artistiche, si coglie un graduale
passaggio dalla chiarezza del primo soggiorno, che tanto piaceva a Emile
Zola, ad una modulazione più accentuata delle gamme cromatiche, mentre
le figure accentuano l'effetto atmosferico e i contorni appaiono sempre
più atmosferici e sgranati.
Soluzione stilistica che tanto amerà Renoir. Come riporta il curatore
Pomarède nel saggio del catalogo della mostra, nel rievocare il celebre
"Porto di La Rochelle" [...] invidiava ancora nel
1918 la maniera in cui Corot era riuscito a dare "il colore alla
pietra", definendolo "il grande genio del secolo" e "il più grande
paesaggista mai vissuto". Renoir, continua Pomarède, che ricordava i
consigli dispensati da Corot di "non essere mai sicuri di ciò che si fa
fuori" e di "rivedere sempre l'opera in studio", confidava d'altronde a
suo figlio, il cineasta Jean Renoir: "Ho capito subito che il più grande
era Corot. Lui non scomparirà mai. Si sottrae alle mode come Vermeer di
Delft".
la Repubblica, 24 novembre 2009
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