venerdì 8 aprile 2022

Il sentimento eroico della guerra

 


Lev Tolstoj, I racconti di Sebastopoli,

Sebastopoli nell'agosto dell'anno 1855 (1856), traduzione di Enrichetta Carafa Capecelatro, duchessa d'Andria, capitolo XXIII

 

In quel momento, una palla fischiò sulle teste di coloro che stavano discorrendo e cadde a un arscìn di distanza da Mèlnikov che si avvicinava lungo la trincea.
«Per un pelo non ha ucciso Mèlnikov», disse uno.
«Non mi ucciderà», rispose Mèlnikov.
«Eccoti la croce al valore», disse il giovane soldato, che aveva fatto la croce, dandola a Mèlnikov.
«No, fratello, qui, si sa, un mese conta come un anno per tutti, c’è stato un ordine», seguitava il discorso.
«Comunque sia, a pace fatta, ci sarà di sicuro unarivista imperiale a Varsavia, e se non andrò in pensione, avrò un congedo illimitato».
In quel momento una pallottola passò stridendo proprio sulle teste di coloro che chiacchieravano e batté su di una pietra.
«Bada, prima di stasera avrai un congedo definitivo»,
disse uno dei soldati.
Tutti risero.
E non prima di sera, ma di lì a due ore già due di essi avevano avuto il congedo definitivo e cinque erano feriti; ma gli altri scherzavano lo stesso.
Effettivamente, per la mattina i due mortai furono riparati in modo che si poteva tirare. Alle dieci, per ordine ricevuto dal comandante del bastione, Volòdja riunì il suo distaccamento e con quello andò alla
batteria. Fra i soldati, appena si misero all’opera, non ci fu più neppure un briciolo di quel senso di paura che si manifestava il giorno innanzi. Soltanto Vlang non poteva dominarsi: si nascondeva, si chinava come sempre, e Vàsin aveva perduto un po’ della sua calma, si agitava e si abbassava continuamente. Volòdja poi era in uno stato di entusiasmo straordinario: il pericolo non gli passava neppur per la mente. La soddisfazione di fare il proprio dovere, di non sentirsi un vigliacco non solo, ma anche di sentirsi coraggioso, la responsabilità del comando e la presenza di venti uomini che (lo sapeva) guardavano a lui con curiosità, lo avevano fatto diventare addirittura un eroe. Egli aveva anzi la vanità del suo coraggio, faceva il bravo davanti ai soldati, saliva sulla banchina, si sbottonò apposta il cappotto, perché potessero osservarlo meglio. Il comandante del bastione, che intanto faceva l’ispezione del suo possedimento, come diceva, benché da otto mesi fosse abituato a ogni specie di arditezza, non poté fare a meno di ammirare quel grazioso ragazzo, in cappotto sbottonato, di sotto al quale si vedeva una camicia rossa avvolgente un collo bianco e delicato, col viso e gli occhi accesi, che batteva le mani e con la sua vocina acuta comandava: «Uno, due!» e correva allegramente sul parapetto per vedere dove cadeva la sua bomba. Alle undici e mezzo il tiro cessò dalle due parti, e alle dodici in punto cominciò l’assalto della collina di Malachòv, del 2°, del 3° e del 5° bastione.

 

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