martedì 27 agosto 2013

Mo Yan, Sorgo rosso

Cesare Cases
l'Indice, gennaio 1995
titolo originale: In lotta contro i mostri meccanici

Nel paese di Gaomi, attraversato dal fiume Moshui, cresce un cereale, il sorgo rosso, o meglio cresceva ai tempo dei banditi e degli eroi, in quello che Hegel avrebbe chiamato lo "stato epico del mondo", mentre ora ci sono dei "mostruosi fusti" che usurpano lo stesso nome "ma non sono alti e diritti, non hanno un colore splendente". In Cina le due epoche, quella degli eroi e quella della "prosa del mondo", sono molto vicine, e la guerra cino-giapponese, costringendo pacifici coltivatori del sorgo a difendersi contro i mostri meccanici dei "diavoli giapponesi" (c'è una pagina molto bella in cui si descrive lo stupore dei contadini alla vista di una fila di camion), le rende ancora più vicine. 
Il romanzo si svolge appunto durante questa guerra (1937-45), con carrellate all'indietro e in avanti. La storia è nota attraverso l'eccellente film di Zhang Yimou. Ma per il rapporto tra narrativa e cinema vale la barzelletta di Pirandello quando qualcuno voleva accendergli la sigaretta senza riuscirci: "Che successo avrebbe avuto l'inventore del fiammifero se fosse venuto dopo quello dell'accendino!" 
La storia abbraccia tre generazioni: quella dell'autore, nelle sue memorie d'infanzia, quella di suo padre e quella dei suoi nonni. Non c'è né ci deve essere verosimiglianza craonachistica. Ci sono sfasamenti e inversioni temporali, ma si torna sempre al centro immobile della vicenda: la distruzione del villaggio e dei suoi abitanti ad opera dei giapponesi, e siccome questi abitanti sono dominati dalla potente personalità del nonno, il grande bandito, hanno tutti lo spirito del bandito e non si identificano mai del tutto con i comunisti, che accusano di averli abbandonati al momento buono, né meno che mai con i nazionalisti. Del resto la storia è tanto più persuasiva quanto più si allontana, sfumando nel mito, in cui può rientrare ogni momento come nella terribile battaglia tra uomini e cani verso la fine. La continuità del mito è assicurata dalla continuità del sorgo, che appare nel titolo di tre sui cinque libri che compongono il romanzo (gli altri due parlano dei non meno mitici cani). Per parte sua, il vino di sorgo, che dà una sottile ebbrezza, è parente stretto del sangue, con cui si mescola spesso e volentieri. E qui il sangue non manca. 
All'inizio c'è l'omicidio del ricco proprietario della distilleria di sorgo, il cui figlio lebbroso dovrebbe sposare la nonna del narratore, la bellissima Fenglian. Ma il portatore e bandito Zhan'ao, che si è innamorato della donna alla vista del suo microscopico piedino, la libera col pugnale dal brutto marito e dal ricco suocero, di cui eredita la distilleria. Su questa famiglia relativamente tranquilla anche dopo l'avvento della "secondo nonna", una nuova compagna di Zhan'ao, si scatena l'offensiva giapponese, che trasforma Zhan'ao nel mitico "comandante Yu" e la nonna Fenglian in un'eroina nazionale, che prima di morire trova il modo di fermare i giapponesi. Per conto suo, il figlio del comandante (e padre del narratore) si copre di allori uccidendo con una fucilata un generale giapponese. Ma questo non diminuisce la ferocia dei nemici, che lasciano vivi solo pochi abitanti del villaggio e uccidono gli altri magari scuoiandoli vivi, come accade all'inizio allo zio Liu, un operaio che aveva rimesso in uso la distilleria dopo la morte del proprietario e continuava a dirigerla. Ma la morte non viene solo dagli uomini. Contro i pochi superstiti, già scoraggiati, feriti e denutriti, si scatena la furia dei cani, che colgono l'occasione per ribellarsi alla tirannia dell'uomo. Sono forse le pagine più straordinarie di un libro che è tutto straordinario. 
L'impassibilità epica, che aveva reso possibile la descrizione della fine atroce dello zio Liu, qui appare nell'obiettività con cui è trattato quest'ultimo conflitto. I cani sono guidati dai tre cani della famiglia del comandante Yu, Fulvo, Verde e Nero, tra cui soprattutto Fulvo aveva sviluppato tali qualità strategiche che "neanche l'intelligente genere umano avrebbe potuto criticarlo". La lotta diventa quindi una lotta tra pari, tanto che l'esito è a lungo incerto e due poveri cinesi subiscono una fine se possibile peggiore dello zio Liu, cioè sono divorati vivi brano a brano. Non credo che ci siano opere, se non di fantascienza, in cui la superiorità della razza umana è messa così radicalmente in questione. Non a caso questo avviene in un paese come la Cina umiliato per secoli da vecchi e nuovi imperialisti e trattato veramente "da cane". Quarantasei anni dopo un fulmine apre la fossa comune in cui sono sepolti alla rinfusa uomini, cinesi e giapponesi, banditi e regolari, e cani, le cui ossa tirate a lucido quasi non si distinguono da quelle umane. Il tempo e la morte eguagliano tutto.

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