DONATELLA DELLA PORTA
I destini d'Europa e la pace dei vivi, La Stampa, 23 febbraio
Ci si chiede dove siano finiti i
pacifisti, perché mai tacciano, quando ormai a decidere sembra siano già
granate, bombe e proiettili. Forse però bisognerebbe chiedersi dove
sarebbero quelli favorevoli alla guerra, che l'assecondano e la
propiziano. Nei più grandi Paesi europei sarà forse una minoranza. Il
punto è che l'opinione pubblica è letteralmente attonita, frastornata,
ancora incapace di reagire. Stiamo risalendo la china della pandemia,
che oltretutto non è ancora finita, e anziché poter guardare con qualche
speranza al futuro ci risvegliamo dopo due anni di incubo con una
guerra nel cuore dell'Europa. Per di più una guerra combattuta con le
nuove armi dell'intelligence e dell'informazione, ma per il resto
tradizionale, anzi tradizionalissima. Donne, anziani e bambini in fuga
dalle loro case, carri armati che avanzano, riserve di sacche di sangue
pronte all'uso, dato che le vittime vengono calcolate già in migliaia.
Ci sentiamo proiettati nel passato più tetro, quello anzitutto della
guerra dei Balcani. Come se non fossero bastati quei massacri, il
genocidio di Srebrenica. E questo dovrebbe avvenire di nuovo in Europa?
Già provata dalla pandemia?
In questi
giorni abbiamo sentito quasi solo il parere degli "esperti", che ormai
occupano lo spazio pubblico. E in questo caso sono in particolare gli
strateghi di geopolitica che spiegano con dovizia di particolari quali
sono le cause e le mosse, in un fronte e nell'altro. Ma ora più che mai
abbiamo invece bisogno di politica e di una visione che sappia indicare
una via d'uscita dal pantano bellico. Se siamo sbigottiti di fronte a
una tale escalation, da non riuscire ancora a reagire, è perché in molti
hanno confidato nelle capacità diplomatiche, soprattutto europee, di
trovare un accordo. Non ci basta chi si limita a tuonare contro Putin -
che certo è un autocrate - demonizzando la Russia. E per farlo più
agevolmente tira in ballo vecchi scenari sovietici. Come se dall'altra
parte non esistessero gravi responsabilità. Finora la voce politica che
si è levata è quella di Romano Prodi. Il rischio in Italia, dove in
genere si parla quasi solo dei fatti di casa, e poco dell'estero, è che
la gente semplicemente non capisca. Chi spiegherà a quanti dovranno
pagare il rincaro delle bollette, o magari subire conseguenze ancora più
devastanti dalla crisi energetica, che l'Ucraina deve entrare a tutti i
costi nella Nato? E le sanzioni alla Russia non si tradurranno in
punizioni per noi?
Proprio all'inizio
di questo nuovo secolo il filosofo Jürgen Habermas parlava di
"Occidente diviso" attribuendo a questa espressione un valore positivo -
e in nessun modo negativo, come si suole fare oggi. All'indomani della
guerra in Iraq, di cui paghiamo ancora gli effetti, Habermas
sottolineava la frattura tra una politica americana che seguiva i propri
interessi per un verso violando la legalità internazionale, addirittura
i principi giuridici fondamentali, per l'altro ignorando del tutto i
tradizionali alleati europei. A proposito di quest'ultimo punto basti
pensare all'ignominiosa fuga dall'Afghanistan, avvenuta come se la Nato
non esistesse. A quell'unilateralismo americano Habermas contrapponeva
il progetto cosmopolitico che, malgrado le guerre devastanti e, anzi,
proprio sulla base delle esperienze belliche, ha sempre animato
l'Europa. Noi proveniamo da qui, siamo eredi di Kant e del suo grande
monito sulla pace perpetua. Perché se si lascia che la guerra anche solo
si insinui tra i popoli europei, allora ci sarà la pace eterna dei
cimiteri, non la pace dei vivi in grado di trovare un accordo. Ma siamo
eredi anche di quel pensiero critico che ci ha insegnato che lo Stato
nazionale con i suoi confini rigidi, che respinge e discrimina i
migranti, è un grande problema per l'Europa. Lo vediamo oggi in Ucraina.
Perché dove popoli e lingue si mescolano, la nazione diventa una
forzatura e una fonte di conflitti. Ciò è emerso anche in altri scenari.
Prima di parlare di "sovranità" e di "integrità territoriale", come si
fa in queste ore, bisognerebbe parlare di popoli ed esseri umani. Per
questo serve il federalismo. Per questo l'Unione europea avrebbe dovuto
essere da tempo una forma politica sovranazionale in grado proprio
perciò di prevenire situazioni di crisi come quella attuale. Chi oggi è
pacifista è anche europeista e pensa che l'Europa, questo Occidente
antico e altro, debba essere protagonista e intervenire immediatamente
per evitare ancora eccidi. —
ROMANO PRODI
Il Foglio, 23 febbraio 2022
Il Foglio, 23 febbraio 2022
“Il discorso fatto lunedì da Putin era un discorso arrogante, triste,
pericoloso. È un discorso che ci fa rimpiangere la stagione della Guerra
fredda, durante la quale l’angoscia della tragedia infinita non
permetteva alle piccole e tangibili tragedie di manifestarsi
con la forza d’urto che stiamo vedendo in queste ore. Putin ha ripescato
il leninismo, la Grande Russia, e ha usato la retorica della nostalgia
per spingere se stesso verso il limite più estremo a cui può arrivare
senza dover sparare un solo colpo. Ha fatto
un atto di guerra, ma non ha fatto ancora la guerra, e sta giocando una
partita da pokerista: avanza dove non c’è resistenza e mette
l’occidente, e l'Europa, di fronte alle sue contraddizioni”.
Contraddizioni di che tipo? “La prima contraddizione è ovviamente
economica. L'Europa fa bene, anzi benissimo, a studiare tutte le
sanzioni possibili. E bene ha fatto ieri Scholz, il cancelliere tedesco,
ad annunciare lo stop ai lavori di Nord Stream 2. Ma Putin sa
perfettamente che l'Europa difficilmente utilizzerà sanzioni
così dure in grado di uccidere l’economia europea. E Putin, purtroppo,
sa bene che l'Europa si presenta di fronte a questo appuntamento
formalmente unita, certo, ma con una oggettiva diversità di interessi.
Testimoniata anche da due fattori evidenti. Mi dica
lei: l'Europa ha una politica energetica comune? Purtroppo no. E poi:
l'Europa ha una politica di difesa comune? Purtroppo no. Siamo divisi
militarmente, siamo divisi politicamente, abbiamo di fronte a noi solo
un’unità economica e di conseguenza quando succedono
grandi incidenti non si riesce a fare molto. Il coltello dalla parte del
manico oggi ce l’ha Putin. Le reazioni dell'Europa, non per cattiveria,
non per mancanza di volontà, ma non potranno mai essere sufficienti, se
parametrate a quello che sta facendo la
Russia. E sfortunatamente, se di fronte ai grandi problemi del mondo non
si è uniti, allineati cioè anche nella difesa degli interessi
strategici, le democrazie liberali rischiano di fare un passo indietro e
rischiano di osservare in modo passivo i passi in
avanti delle democrazie illiberali”. Stanno vincendo i cattivi? “Io non
so chi sta vincendo. So quello che sta succedendo”.
Nessun commento:
Posta un commento