Film di Giuseppe Tornatore (Italia, Belgio, Cina, Giappone 2021)
SIMONE LORENZATI
Tante volte ho detto che avrei smesso di fare musica per il cinema. Nel 61, quando ho iniziato, dicevo nel 70. Nel 70 dicevo che avrei smesso nell'80, nell'80 che avrei smesso nel 90, nel 90 nel 2000. Adesso non dico più niente. (Ennio Morricone)
Una sorta di trait d'union percorre Ennio, il documentario di Giuseppe Tornatore sulla vita di Ennio Morricone, con cui il regista ha collaborato per quasi trent’anni, instaurando un rapporto amicale di fiducia reciproca. E' esattamente qui che si fondono narrativa, ma anche storia, geografia – e ovviamente - musica, a guidare lo spettatore all’interno dell’enorme album dei ricordi messo insieme da Tornatore.
Seguendo un ordine narrativo che procede cronologicamente il regista crea una sorta di partitura musicale giocata sul contrappunto, proprio come amava fare Morricone.
C’è l’intervista-fiume che fa da traccia principale, a cui si intersecano le altre voci, che contribuiscono a costruire, rinsaldare, definire la personalità umana e professionale del compositore. Un insieme composito di interviste, di brani musicali, di ricordi privati e di immagini pubbliche, di film e di spartiti, di parole e di filmati. Un grande tributo di artisti, registi, sceneggiatori, musicisti, attori il cui percorso umano e professionale si è intrecciato, per un certo periodo, a quello del Maestro: Bernardo Bertolucci, Dario Argento, Hans Zimmer, Quentin Tarantino, Clint Eastwood, Oliver Stone, Nicola Piovani, Marco Bellocchio, Paolo e Vittorio Taviani, Roland Joffé, Bruce Springsteen, Joan Baez, Quincy Jones e Pat Metheny tra gli altri. Ed è così che emerge un Morricone che ha avuto la capacità di attraversare le epoche, i generi, le geografie e metterli in dialogo tra di loro, sempre mantenendo un legame con presente contemporaneo e ad un tempo riuscendo ad essere fedele a se stesso.
In questo contesto ha giocato un ruolo fondamentale la moglie Maria, che ha accolto e custodito con riservatezza le fragilità di un uomo e un musicista, permettendogli di esprimere il suo genio senza doversi caricare delle proprie incertezze. Una figura fondamentale eppure così dimessa, in ombra, metafora di un’intimità lasciata sullo sfondo, talmente privata da non potersi prestare nemmeno all’occhio più rispettoso. E la forza del documentario sta tutta nell’intimità del racconto in prima persona, nella commozione che fluisce dal ricordo, con una naturalezza sorprendente, nella memoria implacabile delle divagazioni musicali.
Per Morricone comporre musica voleva dire difendersi dalla solitudine, affidando agli strumenti le proprie passioni interiori. Ecco allora che si chiarificano le ombre, che emergono i non detti: la delusione per quegli Oscar non vinti, Oscar inteso non come una semplice statuetta, bensì come legittimazione all’esistenza di un uomo che ha consegnato se stesso ad ogni nota scritta. Per due ore e mezza i capolavori di Morricone risuonano senza tregua ed è chiaro il tentativo di costruire il documentario sul modello di un grande concerto polifonico, senza rinunciare alla chiarezza espressiva che la massiccia quantità di materiale – archivi e aneddoti, ma anche semplici curiosità - avrebbe potuto facilmente oscurare.
Tornatore racconta il Maestro a poco più di un anno dalla scomparsa di lui, senza tralasciare davvero nulla. Partendo dall’adolescenza, quando Ennio è costretto ad abbandonare il sogno di diventare medico per compiacere il padre trombettista (per la verità Morricone utilizza sempre la parola trombista), al quale sarebbe piaciuto che anche il figlio si guadagnasse da vivere suonando. Gli studi di tromba al Conservatorio la mattina e le serate nei locali, nel pieno della Seconda Guerra Mondiale. Poi dieci anni di “composizione”, sotto la guida del maestro Goffredo Petrassi. La carriera di arrangiatore per la RCA, negli anni ‘60, durante la quale scrive la musica di molte delle più note canzoni italiane del tempo (portate al successo da Gianni Morandi, Gino Paoli, Edoardo Vianello e Mina). L’esordio al cinema, con i primi western musicati sotto pseudonimo perché la cosa era mal vista da colleghi e insegnanti. L’incontro fondamentale con Sergio Leone. Infine, la straordinaria carriera nel cinema, l’Oscar mancato per Mission nel 1987, quello alla carriera del 2007 e quello vinto per The Hateful Eight nel 2016.
Giuseppe Tornatore, qui anche in veste di sceneggiatore, affronta, insomma, la sfida di riassumere in un film settant’anni di carriera e cinquecento colonne sonore di un grande compositore. Morricone parla di sé e del suo valore con profonda timidezza, con assoluta umiltà e facendo trasparire la sua enorme bontà d’animo. Seduto faccia a faccia con il compositore, a casa di quest’ultimo, il regista gli chiede di raccontare la sua vita.
Si susseguono via via con la tecnica già richiamata del contrappunto gli interventi di collaboratori, colleghi e ammiratori: le loro parole contribuiscono al ritratto di un artista poliedrico, di un compositore rivoluzionario dalla creatività instancabile. Le personalità più importanti del panorama cinematografico e musicale lo ricordano come la grande eccezione alle regole, l’unico in grado di cambiare il mondo della musica classica e popolare insieme, come era nel suo stile.
Tornatore non cede al protagonismo e mette Ennio al centro della scena rimanendo spettatore anche nel corso dell’intervista (per esempio non si sentono mai le sue domande). Il tono non è né enfatico né esasperato quanto, invece, calmo e concentrato sulla genuinità dell'interlocutore. Tornatore non cerca la commozione a tutti i costi - e per questo la ottiene - limitandosi a rendere omaggio all’artista e lasciando che sia lui a raccontarsi.
L’intervista e gli interventi seguono l’ordine cronologico degli eventi, mentre il pubblico è trasportato dalle canzoni e colonne sonore più famose, raccontate con dovizia di particolari dall’autore stesso. In più di un’occasione, Morricone si piega anche all'uso del linguaggio tecnico, ma il risultato non è pedante perché la complessità della musica è spiegata dai gesti e dalle imitazioni, gestuali e vocali, del Maestro. Colpisce, in particolare, quel suo metodo personale di pensare prima, e scrivere poi, le partiture, occupandosi ogni volta di tutti gli strumenti uno dopo l'altro.
Tutto il vissuto e le esperienze si ripercuotono nella sua musica, dove coesistono registri apparentemente antitetici: dalla “musica alta” a quella popolare, dalla musica corale a quella “sperimentale”, e poi campane, barattoli, fischi, ululati, flauti di Pan e la sempre presente tromba: perché, come dice Morricone stesso, “io sono fatto di tutto quello che ho studiato”.
Ciò che più interessa è il punto di vista del protagonista, il conflitto che ha dovuto affrontare per definirsi, la scelta di non abbandonare mai il cinema, il rapporto con il maestro Petrassi, il sollievo ottenuto solo in tarda età, il grande amore che lo ha legato a sua moglie Maria, prima ascoltatrice e giudice del suo lavoro, e ovviamente l’amore, viscerale, genuino e profondissimo verso la musica.
Per il sottoscritto questo film è un’opera meravigliosa, che sprigiona positività e speranza. Che commuove, spesso senza nemmeno volerlo, e che dona leggerezza. Che parla del passato, del presente e del futuro. Ma che, in primis, rimarca l’eternità di un maestro geniale ed unico come Ennio Morricone.
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