Anna Zafesova, Lo Zar stizzito in cerca di ragione, La Stampa, 13 febbraio 2022
Uno dei motivi per cui il negoziato è così difficile e finora
infruttuoso è che Putin vuole avere ragione. Rispetto all'offerta di
Biden di un negoziato strategico, Putin ritiene prioritario venire
riconosciuto come vincitore in un duello verbale.
Da quando, nel 2001, George W. Bush disse
di aver guardato negli occhi di Vladimir Putin e aver «visto la sua
anima», la ricerca di un feeling speciale con il padrone del Cremlino è
diventata una disciplina olimpica dell'alta diplomazia. Nonostante Bush
in seguito si sia sentito deluso al punto da paragonare il suo collega
russo a un «scolaretto che non ha imparato la lezione», a ogni nuova
crisi, qualche leader internazionale prova a sedurre lo zar. Perfino Joe
Biden ammette che «solo Putin sa cosa ha deciso» sull'invasione
dell'Ucraina, e tutti cercano di «provare a vedere la situazione
attraverso i suoi occhi», come ha sintetizzato Emmanuel Macron, l'ultimo
politico occidentale ad aver tentato il viaggio della speranza a Mosca.
Il
paradosso è che Putin è sempre straordinariamente meticoloso nel
spiegare cosa vuole e pensa. Per essere quel maestro di alto spionaggio
che molti media occidentali raccontano, è insolitamente sincero, e non
risparmia tempo a esporre le sue "red lines" e le sue lamentele. Invece
di un genio del male che minaccia la guerra in un poker strategico,
Macron si è trovato davanti un uomo stizzito e polemico, che gli ha
snocciolato le frustrazioni e accuse della propaganda russa, immutate da
anni, davanti alle telecamere come nei colloqui a porte chiuse, come
ebbe modo di scoprire Angela Merkel, inviata nel 2014 da Barack Obama a
sondare cosa volesse "davvero" Putin.
Uno
dei motivi per cui il negoziato è così difficile e finora infruttuoso è
che Putin vuole avere ragione. «Vuole farsi sentire», dice alla tv
Dozhd Nina Krusciova, la politologa figlia del leader sovietico della
crisi di Cuba nel 1962. Rispetto all'offerta di Biden di un negoziato
strategico su missili, basi e bombardieri, che potrebbe offrire reali
garanzie di sicurezza alla Russia, oltre che all'Europa, Putin ritiene
prioritario venire riconosciuto come vincitore in un duello verbale. In
un mondo mediatico, vuole imporre la sua narrazione. Infatti non è un
caso che la Casa Bianca lo incalzi con un'offensiva di informazione,
ancora prima che militare: i ruoli si sono ribaltati, ormai è il
Cremlino quello costretto a smentire, rassicurare, giustificarsi, invece
di accusare.
La diplomazia consiste
nel confrontare gli interessi in conflitto, proporre soluzioni,
elaborare garanzie, far pesare il prezzo di un'escalation e offrire
incentivi per un compromesso. Un processo razionale. Il problema, come
ha sintetizzato qualche giorno fa sulle pagine del «Financial Times»
Gideon Rachman, è che l'Occidente crede di dialogare con Putin il
Razionale, ma potrebbe trovarsi davanti Vlad the Mad, Vlad il Pazzo. Un
presidente obnubilato da 22 anni di potere assoluto, ulteriormente
isolato dal mondo reale dal Covid, consigliato da cortigiani che
alimentano le sue paranoie: «E se Vlad credesse alla propria
propaganda?», è l'interrogativo terribile posto da Rachman.
Una
risposta affermativa sarebbe la condanna della diplomazia. Insistere di
avere ragione è l'opposto del compromesso. E se a non voler cedere è il
leader incontrastato di una dittatura, scoprire cosa ha in mente
diventa cruciale. Ma anche una dittatura ha una sua razionalità, e le
pressioni occidentali potrebbero lasciare inscalfibile Putin, ma
spaventare i suoi ministri e oligarchi, ai quali americani ed europei
hanno spiegato chiaramente cosa possono perdere in caso di guerra. In un
regime che sembra «un indovinello avvolto in un mistero all'interno di
un enigma», come lo descriveva Churchill, potrebbero essere loro a
trovare le argomentazioni che la diplomazia razionale dell'Occidente
fatica a escogitare.
https://www.avvenire.it/mondo/pagine/crisi-ucraina-cosa-c-e-da-sapere
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