JACQUES-LOUIS MENETRA Così
parlò Ménétra. Diario di un vetraio del XVIII secolo Garzanti,
Milano 1992, pagine 403
Paolo Alatri
Ai piedi di madame la
ghigliottina. Gli anni eroici della Rivoluzione nei ricordi d'un
sanculotto
Corriere della Sera, 6 maggio
1993
Cesare Zavattini scrisse che
"i poveri sono matti"; gli fa eco Daniel Roche, secondo il
quale "i poveri sono muti", nel senso che la
marginalizzazione in rapporto ai circuiti stabiliti delle culture
ufficiali impedisce loro quasi sempre di farsi capire. Roche scrive
quella frase introducendo l'autobiografia di Jacques-Louis Ménétra,
un vetraio francese vissuto dal 1738 ai primi dell' Ottocento. Il suo
ampio scritto, che abbraccia un arco di tempo di 65 anni, si aggiunge
ai pochissimi testi analoghi provenienti da persone dei ceti
popolari, che per i secoli XVII e XVIII non sono più numerosi delle
dita di una sola mano. Di qui, dalla loro estrema rarità, il loro
straordinario valore di testimonianza e di documento; tanto più da
apprezzare nel caso di Ménétra, in quanto la sua autobiografia è
spontanea, vivace, divertente. Osserva Benedetta Craveri, nella
prefazione che si accompagna alla introduzione di Daniel Roche, che
negli stessi anni in cui Rousseau inaugurava, servendosi dell'analisi
introspettiva, l' autobiografia moderna, quest'altro figlio del
popolo, oscuro vetraio, prendeva anch'egli in mano la penna per
raccontare se stesso. A differenza del "cittadino di Ginevra",
tuttavia, Ménétra non era un essere d'eccezione (o almeno non lo
era nel senso in cui lo diciamo per Jean-Jacques), non si era
innalzato al di sopra delle sue origini, non si era imposto per il
suo genio alle élites intellettuali francesi ed europee, non era un
grande scrittore. Eppure, il modesto artigiano che sapeva appena
leggere e scrivere e, senz'ombra di ambizione letteraria, narrava la
propria vita, compiva anch'egli un gesto rivoluzionario. A differenza
di Rousseau, per il quale l'estrazione popolare aveva finito per
assumere un significato eminentemente morale e simbolico, Ménétra
era e resta, in tutto e per tutto, un esponente del popolo, nella
piena e concreta accezione del termine. Ma, malgrado il peso dei
condizionamenti socio culturali della società d'ordini d'Antico
Regime, il vetraio parigino rivendicava nel suo Journal, non
diversamente da quanto andava facendo Rousseau nelle Confessions, l'
unicità della propria esperienza individuale e affermava, come
scrive Daniel Roche, "una morale della fedeltà a se stesso
nella libertà". Non è possibile, nel breve spazio di questa
nota, indicare tutti i motivi di interesse che la sua autobiografia
presenta. Certo, innanzi tutto, il quadro vivissimo dei costumi,
delle abitudini, dei riti popolari, colti in modo immediato nella
stessa esperienza di vita dell' autore, il quale, oltre tutto,
viaggiò la Francia in lungo e in largo, secondo le esigenze dell'
artigianato francese dell' epoca e della sua organizzazione
corporativa. I sette anni trascorsi in giro per la Francia, che
occupano un terzo del suo Journal, fanno emergere un mondo
profondamente arcaico, dominato dagli istinti, impastato di violenza
e di morte: Ménétra incontra sul suo cammino, come in un romanzo
picaresco, briganti, ladri, assassini, è costretto a imbarcarsi su
una nave pirata, finisce in prigione, contrae ilvaiolo e altre
malattie poco onorevoli (egli è un impenitente tombeur de femmes),
ma la sua furbizia e la sua prontezza hanno sempre la meglio sulle
circostanze più avverse. La natura del suo lavoro lo porta a salire
e scendere di continuo i diversi livelli della società, a entrare
nelle case dei poveri come nei palazzi e nei conventi. Di qui la
ricchezza e la varietà del quadro. Ma poi, tra le caratteristiche
più peculiari di questo testo, colpisce il suo atteggiamento a dir
poco disincantato, beffardo e qua e la' perfino blasfemo, di
considerare la religione e i preti. Ménétra non perde occasione per
affermare la propria laica incredulità nei confronti dei sacerdoti.
E' quasi certo che egli abbia avvicinato Rousseau e chiacchierato con
lui; è certo comunque che ne conosceva le opere; forse non ha letto
Voltaire, ma certo ne ha orecchiato le idee e contribuisce, come
militante di base, al successo della grande campagna d' opinione
sferrata dal patriarca dei Lumi contro l'Infame; e l' arrivo del
1789 è da lui salutato con un'esplosione di gioia. La Rivoluzione è
venuta a dar forma giuridica e sostanza politica a ciò che egli è
sempre stato nello spirito e nel cuore: un libero cittadino. Anche
per questo la sua autobiografia riveste un notevole interesse
storico, perché, se la sua testimonianza è situata nello spazio
sociale delle classi popolari parigine da cui sono emersi i
sanculotti, a distanza di due secoli egli ci offre la possibilità di
capire meglio come si forma e come funziona la cultura della gente
del popolo e da che cosa emerse la rivolta popolare che infiammò la
Rivoluzione.
Si veda inoltre Robert
Darnton, Un
Don Giovanni plebeo,
Lettera
internazionale, n.28, 1991
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