Luca
Mastrantonio
Sabina
Guzzanti sta con Riina per far la Cassandra e battere cassa
Corriere
della Sera, 10 ottobre 2014
Sabina
Guzzanti ha smesso di far ridere da anni, diventando la regina dei nostri
satiri tristi: ieri comici e giullari, oggi politici e profeti. Crede di essere
la Cassandra d’Italia perché non è seguita come pensa di meritare. Nonostante
buone recensioni, visibilità e distribuzione, per esempio, il suo film sui
rapporti Stato-mafia La Trattativa ha fatto flop. Libera scelta degli
spettatori? No, per Guzzanti c’è un complotto da combattere con tutti i mezzi:
compresa la schizofrenia digitale. Così ieri su Twitter s’è schierata con i
capimafia che hanno chiesto di poter assistere alla deposizione di Giorgio
Napolitano: «Solidarietà a Riina e Bagarella privati di un loro diritto. I
traditori nelle istituzioni ci fanno più schifo dei mafiosi». Per lei il Capo dello
Stato e il Capo dei capi pari sono: «Le stragi sono state progettate
all’interno delle istituzioni. I mandanti sono colpevoli quanto gli esecutori».
Poi, prima del collegamento video sul suo sito, rilancia con spot: «Andate a
vedere #latrattativa e capirete perché i traditori nelle istituzioni fanno più
schifo dei mafiosi». In chat, alle 16, ha rivendicato la provocazione perché se
non si dicono «cose esagerate» non si viene ascoltati. Le cose esagerate
possono essere inventate, perché non bisogna «aspettare gli esiti di sentenze»
limitate alle responsabilità penali, e tarde, bisogna «prendersi la
responsabilità di giudicare e di trarre le conclusioni da quello che possiamo
sapere». Al minuto 11 e 38 del video, 4 ore dopo aver solidarizzato con Riina e
Bagarella, attacca la cultura antidemocratica di Berlusconi e ha un attimo di
lucidità: «La mafia è il contrario della democrazia — dice Guzzanti — e chi
solidarizza con la mafia ha per forza una formazione culturale antidemocratica
perché lo scopo della mafia è sottomettere i più per sfruttarli al meglio».
Discorso, però, valido anche per chi solidarizza con degli stragisti per fini
commerciali di botteghino.
Michele Serra
L'Amaca del 10 ottobre 2014
«LE
stragi sono state progettate all’interno delle istituzioni», twitta
Sabina Guzzanti. Considerata la storia italiana, è possibile e forse
addirittura probabile. Anche se quel termine, «istituzioni», nella sua
comoda genericità, dice tutto e niente, e autorizza a credere che i
palazzi della Repubblica siano stati solo un covo di felloni, di collusi
e di stragisti. Mentre erano e sono
popolate, “le istituzioni”, anche da servitori del bene pubblico, ed è
soprattutto nel corpo delle “istituzioni” (magistrati, politici, forze
dell’ordine) che la mafia ha scelto le vittime della sua mattanza
legicida e liberticida. A parte questo: perfino Pasolini, che era
Pasolini, quando scrisse «io so chi è responsabile delle stragi»,
accusando la Democrazia Cristiana, aggiunse di non avere alcuna prova,
se non la sua disperata e arbitraria luce intellettuale.
Non intentava processi, non agitava faldoni o dossier, non chiamava in giudizio, non sollecitava testimonianze, non convocava meeting o sit-in. Guardava alla vita politica con feroce distacco, e di ogni dolorosa intuizione di una verità che a lui pareva oscena si fece testimone in proprio, fino a consumare la propria vita. Esiste un discrimine netto (di linguaggio, di pensiero, di animo) tra l’arte e l’agitazione politica. Perderlo di vista significa rischiare di perdere, in un colpo solo, e l’arte e la politica.
Non intentava processi, non agitava faldoni o dossier, non chiamava in giudizio, non sollecitava testimonianze, non convocava meeting o sit-in. Guardava alla vita politica con feroce distacco, e di ogni dolorosa intuizione di una verità che a lui pareva oscena si fece testimone in proprio, fino a consumare la propria vita. Esiste un discrimine netto (di linguaggio, di pensiero, di animo) tra l’arte e l’agitazione politica. Perderlo di vista significa rischiare di perdere, in un colpo solo, e l’arte e la politica.
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