Un
nome, una storia, il sentimento di un'assenza
Un
nome rintracciabile su alcuni registri o in un elenco di deportati,
qualche fotografia, un annuncio su un quotidiano, poche parole nel
ricordo di una cugina: è tutto ciò che di Dora Bruder sembra sia
rimasto. Tutto ciò che uno storico normalmente si sarebbe sentito di
utilizzare. Come personaggio Dora Bruder quasi non esiste. Sappiamo
molto poco di lei, della sua vicenda, che con la guerra è presa nel
vortice della persecuzione antisemita e può quindi apparire simile a
quella di tante altre vittime, ma racchiude una sua singolarità
irripetibile. Dora Bruder era nata a Parigi nel 1926 da genitori ebrei
originari dell'Europa centrale, di Budapest il padre, di Vienna la
madre: non sappiamo come ha vissuto la sua infanzia, dove è andata a
scuola, chi erano le sue amiche, quali fossero i suoi pensieri, i
suoi affetti.
La
trappola mortale comincia a stringersi intorno a lei nel 1940; il 9
maggio di quell'anno entra in un collegio tenuto da suore; il giorno
dopo, come è noto, la Germania nazista dà inizio alle operazioni
militari contro il Belgio, l'Olanda, la Francia... Nel dicembre 1941
la ragazza quindicenne approfitta di un'uscita domenicale per darsi
alla fuga; alla sera non torna dalle suore. Nel marzo 1942, Ernst
Bruder, suo padre, è arrestato e internato nel campo di Drancy. In
aprile Dora torna ad abitare con la madre. Deve essere scappata di
nuovo, perché a giugno viene fermata dalla polizia. Rivede la madre,
ma non è detto che le sia stata riconsegnata, come appare invece da
un documento. Forse Dora non ha neppure avuto la possibilità di
tornare a casa: due giorni dopo è spedita al campo delle
Tourelles, trasferita a Drancy in agosto, ritrova il padre e, un mese
dopo, fa parte con lui di uno stesso convoglio per Auschwitz.
Un
nome, dei dati anagrafici, un vago profilo: in tal modo sono
identificabili molte tra le vittime delle tragedie che hanno segnato
il Novecento, dallo sterminio degli ebrei alla pratica del terrore
nei paesi comunisti. A volte i dati anagrafici con l'aggiunta di
alcuni elementi sia pure scarsi sembrano dare corpo a una presenza
viva: si intravede un destino individuale, si indovinano propensioni
o simpatie, si notano le scelte compiute dal soggetto, che si stacca
così dalla folla innumerevole dei personaggi generici e delle
comparse. Di fronte a casi tanto sfuggenti lo storico si blocca,
pensa di dover cedere il passo al romanziere: deve dire ciò che è
stato, non può dare l'illusione del quadro definito quando dispone
solo di pochi elementi.
Patrick
Modiano è un romanziere. Nelle sue opere, non punta in genere a una
ricostruzione fedele dei fatti cui sembra riferirsi. Gli episodi e i
personaggi immaginari abbondano; gli elementi verificabili, i dati
corretti non hanno un ruolo determinante. Per Dora Bruder Modiano
si pone a quanto pare su un terreno diverso. I personaggi principali
della storia sono realmente esistiti; in parte il romanzo racconta
proprio la storia dell'indagine compiuta dall'autore; la parte
dell'invenzione libera è assai ridotta. […] Il libro
ha il carattere di una narrazione che intreccia tre linee di
svolgimento. La prima, quella centrale, ha un fondamento documentario
e per questo si apparenta a un racconto storico: riguarda la vicenda
di Dora Bruder. Sappiamo che Modiano ama partire nelle sue
fantasticherie da elementi
solidi, forti, di documentazione oggettiva. La storia di Dora Bruder,
i dati anagrafici, le annotazioni nei registri scolastici o nelle
carte di polizia, le foto, la testimonianza della cugina
corrispondono al riferimento oggettivo che nelle opere di Modiano
funge spesso da base di partenza: qui il peso dei fatti verificabili
è anche maggiore; più che una base di partenza la storia della
giovane ebrea è il motivo centrale della narrazione.
Per altri aspetti, Dora Bruder è un romanzo e, pur restando tale, non tradisce nell'insieme la verità storica, ma sa conferirle dimensioni nuove in termini di risonanza emotiva.
Una
seconda linea è rappresentata dai frequenti richiami all'esperienza
personale dell'autore. Modiano è nato nel 1945, sa bene di essere
vissuto in tempi molto più tranquilli e normali. Racconta spesso
episodi della sua vita che si prestano al confronto. Cerca di
ritrovare il carattere dei luoghi che Dora Bruder o suo padre hanno
conosciuto. Ricorda di essere stato in quei luoghi e riferisce di
averli visitati. Parigi in particolare diventa una città che reca il
segno di un'assenza. Il romanziere esagera? Non proprio: raggiunge
l'effetto di far sentire che la persecuzione degli ebrei è entrata
nella vita di uomini come lui, come noi: si è snodata nelle strade
che noi continuiamo a percorrere, in luoghi che si sono caricati per
noi di memorie ben più familiari e rassicuranti. La vicenda di Dora
Bruder è sottratta all'eccezionalità assoluta che essa sembrerebbe
comportare per via dell'appartenenza al dominio sacro del genocidio.
La
terza linea di svolgimento narrativo è data dalla evocazione del
contesto. Qui riscontriamo nel romanziere un'abitudine tipica degli
storici. Modiano conosce bene il periodo dell'occupazione tedesca in
Francia. Si è distinto in passato per posizioni che insistevano
sull'ambiguità dei rapporti umani in quel tempo. Non è portato a
contrapporre eroi positivi a figure diaboliche. Ancora
una volta nel libro assume posizioni per lui nuove. Esalta Dora
Bruder come una resistente: “A sedici anni, lei aveva tutti contro,
senza sapere perché. Altri ribelli, nella Parigi di quegli anni,
lanciavano bombe sui tedeschi, sui loro convogli e i luoghi di
riunione. Avevano la sua stessa età. I volti di alcuni di loro
figurano sull'Affiche rouge e, nella mia mente, non posso fare a meno
di associarli a Dora”. Straordinario omaggio: quel manifesto
affisso sui muri di Parigi riproduceva le foto segnaletiche di
resistenti ebrei o stranieri fucilati dai tedeschi come banditi.
L'evocazione del clima e del contesto permette a Modiano di riempire
molti vuoti: il profilo esile della vicenda singolare che emerge dai
documenti si trasforma così in una traccia che suggerisce una serie
di notazioni giuste e pertinenti, che dà luogo a parallelismi, che
fa nascere il desiderio di ricordare altri casi, altre vittime
travolte nelle stesse circostanze o in altri momenti da un analogo
destino.
Nella
letteratura sull'esperienza dei campi, esiste un personaggio
commovente che non ha neppure un nome certo. Veniva chiamato Hurbinek
dagli altri prigionieri: “Era un nulla, un figlio della morte, un
figlio di Auschwitz”. Compare nella Tregua
di Primo Levi: “Nulla resta di lui: egli testimonia attraverso
queste mie parole”. Dora Bruder si è insinuata nella mente di
Modiano per la sola forza del suo nome, che
figurava nella lista dei prigionieri partiti per Auschwitz con un
convoglio e tornava in un articolo di giornale. Ora quel nome è
associato a una storia. Un'impronta resta di lei, il sentimento di
un'assenza, la traccia di un sorriso, perché no, come nell'ultima
fotografia che le è stata scattata: un sorriso che dava al volto
“un'espressione di mesta dolcezza e di sfida”: e un mistero che
Modiano ha saputo avvertire.
Patrick Modiano
Dora Bruder
traduzione dal francese di Francesco Bruno, Guanda, Parma 1998 [1997]
La recensione è uscita sull'Indice del settembre 1998.
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