Enrico Girardi
Il mio Mozart
«Amadeus è un autore che tradisce Sembra semplice, ma è una sfida»
Barenboim: al piano molti virtuosi non ne hanno trasmesso l’essenza
Corriere della Sera, 22 aprile 2014
«Mozart è stato il primo virtuoso del pianoforte: virtuoso non nel senso
superficiale e “circense” delle acrobazie, della velocità e dei volumi
con cui si pensa oggi al virtuoso; ma nel senso per cui la parola
virtuoso deriva da virtù. E tale virtù in questo caso è la sprezzatura,
ossia la capacità di far sembrare semplice e immediato ciò che semplice e
immediato non è, anzi è complesso o anche molto complesso. Perciò
Mozart è un autore che “tradisce”. Molti virtuosi che eseguono
perfettamente cose impossibili, su Mozart “cadono”. Non riescono a
coglierne e a trasmetterne l’essenza». Daniel Barenboim è invitato a
parlare del «suo» Mozart perché da oggi, e per 18 settimane, insieme con
il Corriere uscirà una collana di dischi (ogni lunedì, a 6,99 euro
oltre al prezzo del quotidiano) che comprende le sue incisioni, dapprima
della serie dei Concerti per pianoforte e orchestra (in cui Barenboim
suona il pianoforte dirigendo la English Chamber Orchestra), poi della
serie di Sonate e infine della serie di Variazioni: un notevole impegno
editoriale che segue il lusinghiero successo dell’analoga collana, con
l’integrale dei Concerti e delle Sonate, dedicata a Beethoven.
Ma se
l’aspettava Daniel Barenboim un tale successo? «Ci lamentiamo sempre
della carenza di educazione musicale nelle scuole, ma è straordinario
come, nonostante questa piaga, così tante persone continuino a
frequentare le sale da concerti, i teatri d’opera e ad ascoltare i
dischi. Ovvio che sia contento che “Il mio Beethoven” sia andato bene.
Ma lo sono ancor di più a pensare come la musica sappia parlare a tutti:
ai musicisti, agli appassionati, ma anche a chi non distingue un
clarinetto da un fagotto».
Parlando di Beethoven si sottolineava il
grado incredibile di evoluzione che si riscontra tra le prime Sonate e
quelle dette «di mezzo» e tra queste ultime e le Sonate della piena
maturità «è così anche in Mozart — interrompe il direttore-pianista
israelo-argentino — ma in un modo diverso. L’evoluzione di Beethoven si
coglie bene nelle Sonate che rappresentano una sorta di diario intimo e
personale. Ed è una evoluzione non solo di forme e linguaggio ma dello
stesso pensiero musicale. Il diario intimo di Mozart, se così si può
dire, lo si legge nei suoi Concerti per pianoforte e orchestra, che sono
27 e coprono un arco temporale corrispondente all’intero arco della sua
parabola creativa. Qui l’evoluzione non è tanto di forme e linguaggi, e
nemmeno di pensiero. Consiste piuttosto nella profondità sempre più
abissale delle sue intuizioni: una profondità che non intacca mai la
semplicità dell’eloquio. Perciò Artur Schnabel diceva sempre che Mozart è
troppo facile per i bambini e troppo difficile per gli adulti».
A
proposito di Schnabel, è stato lui uno dei suoi pianisti di riferimento
per l’interpretazione mozartiana? Oppure anche su questo terreno, come
in quello beethoveniano, lo sono stati Edwin Fischer e Claudio Arrau?
«Edwin Fischer sicuramente. Ogni nota che suonava era sempre legata a
tutte le altre in un disegno lucido e profondo. Quel poco Mozart che
Wanda Landowska ha suonato, è meraviglioso e se devo aggiungere un terzo
nome penso a un inglese che è stato allievo sia di Fischer sia della
Landowska, Clifford Curzon (Londra, 1907–1982 ndr ), musicista
dimenticato, anche eccezionale pianista schubertiano, che voi critici
dovreste conoscere bene invece lo ignorate…». «Quanto ad Arrau —
prosegue — è sempre stato intelligente, acuto, per me un maestro in
tutti i sensi. Ma Mozart lo ha suonato molto raramente».
Oggi i
Concerti di Mozart si eseguono spesso, ma non si può dire lo stesso per
le Sonate… «Vero, ma nell’Ottocento si facevano pochissimo anche i
Concerti — interrompe di nuovo —; basti pensare che il sublime Concerto
n.27 in si bemolle maggiore K.595 lo suonò Mozart nel 1791 a Vienna poco
prima di morire poi non lo si è eseguito mai più finché non lo
riproposero Schnabel e Toscanini nel 1927!». Incredibile, ma le Sonate
si eseguono poco nei recital pianistici perché sono poco «spettacolari»?
Perché costano molta fatica in termini interpretativi e «rendono poco»
nei termini di quel virtuosismo di cui si parlava prima? «È difficile
dirlo. Ma è certo che se si vuol fare una bella Sonata di Mozart bisogna
provare il piacere di farla, bisogna provare il piacere della musica
per la musica. Quando è così, si scoprono tesori in tutte le Sonate: le
prime, che amo in modo particolare, non meno delle ultime».
Quasi
tutti raccomandano di non eseguire/ascoltare le serie compositive in
ordine cronologico. È d’accordo? «Dico solo che se avrò ancora la forza
di affrontare il ciclo delle Sonate di Beethoven, lo farò in ordine
cronologico».
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