Il Medioevo è infinito
Il Manifesto, 2 aprile 2014
Ha suscitato qualche focolaio di polemica anche agli inizi del 2014, Jacques Le Goff, ormai novantenne, quando è uscito un suo breve libro (Faut-il vraiment découper l’histoire en tranches?, per ora pubblicato solo in Francia) nel quale riproponeva un concetto che era andato sviluppando in tanti anni di studi: quello di un «medioevo lungo» che rovesciava le categorie storiografiche dell’Ottocento, epoca nella quale il suo conterraneo (e peraltro ammirato) Jules Michelet aveva «inventato» il termine Renaissance, «Rinascimento», presunta cesura fra il millennio dei secoli bui e la nostra modernità; concetto che sarebbe stato ripreso, ampliato, portato al suo massimo sviluppo dal grande Jakob Burckhardt nella sua monumentale Civiltà del Rinascimento in Italia.
La lunga durata
Dalle pagine del Corriere della Sera, in quell’occasione, uno studioso legato a una visione essenzialmente storicista qual è Giuseppe Galasso aveva ribadito che intorno al Quattrocento una cesura, un inizio di ciò che chiamiamo modernità c’è effettivamente stato, mentre Franco Cardini, storico italiano fra i più vicini alla visione antistoricistica delle Annales, sosteneva con Le Goff la necessità di superare questa idea e cogliere nella storia la lunga durata (altra espressione venuta fuori dal circolo delle Annales e da un altro dei suoi massimi esponenti, Fernand Braudel) di tanti fenomeni che siamo abituati a pensare come prettamente «medievali» o come esclusivamente «moderni».Non che Jacques Le Goff, nato nel gennaio 1924 e scomparso ieri, fosse estraneo alla visione ottocentesca del Medioevo; magari di quello eroico, cavalleresco e romantico, se è vero che uno dei suoi primi approcci con quest’epoca gli giunse grazie alla lettura dell’Ivanhoe di Walter Scott. Ma la sua esperienza di storico in formazione è venuta proprio da quella prima metà del Novecento, tanto drammatica sotto il profilo politico, sociale e militare quanto feconda per gli studi storici in generale e medievistici in particolare.
Nel 1929 Marc Bloch e Lucien Febvre avevano dato vita alla rivista Annales d’histoire économique et sociale, attorno alla qualle si preparava il terreno per una grande rivoluzione sul piano del metodo storiografico. Le Goff non poté conoscere direttamente Bloch, fucilato nel 1944, ma fu allievo di alcuni grandi nomi che partecipavano al rinnovamento di quegli anni, avendo studiato e discusso la sua tesi con Charles-Edmond Perrin, Maurice Lombard, lo stesso Braudel, nonché con lo storico belga Henri Pirenne.
Questi primi passi, compiuti nella Francia di Vichy, li ha ricordati lui stesso nell’intervista-biografia Una vita per la storia, uscita in Francia nel 1996 e poi tradotta anche in Italia per Laterza. Si apprendono i suoi trascorsi universitari a Praga, a Oxford e a Roma, la sua convivenza non sempre facile con l’Accademia, il suo approdo nel 1969 alla pestigiosa direzione delle Annales, condivisa con Emmanuel Le Roy Ladurie e l’ingresso con compiti direttivi nell’École des hautes études en sciences sociales a partire dagli anni Settanta; ossia in quella fucina di idee e di studi che ampliavano la visione storiografica verso nuovi lidi e nuove espressioni: la storia seriale, la storia materiale, la storia quantitativa, la storia delle mentalità, l’antropologia storica.
I risultati che ne sarebbero usciti ci possono sembrare appartenere a indirizzi diametralmente opposti, ma sono comunque il portato di un unico, collettivo sforzo di ripensamento del modo di fare storia. Dall’intervista si apprende anche la storia di un uomo profondamente laico e profondamente francese, che ha trascorso l’esistenza a interessarsi con passione di un’epoca in cui la cultura religiosa è ovunque, cercando di guardarla in una prospettiva globale, mai localistica.
Modelli colti e popolari
La storia delle mentalità e l’antropologia storica sono senz’altro i settori nei quali ha operato Jacques Le Goff, raro esempio di specialista che riesce a giostrare fra tematiche ed epoche anche lontane tra loro. Ai primi decenni della sua carriera appartengono opere come Gli intellettuali nel medioevo (prima edizione 1957), La civiltà dell’Occidente medievale (prima edizione 1964), la direzione con Pierre Nora dell’opera collettiva Fare Storia. Una pietra miliare è, nel 1981, il volume La nascita del Purgatorio, monografia nella quale sembra confluire tutto ciò che Le Goff ha realizzato fino a quel momento.Da una parte la straordinaria conoscenza delle fonti del medioevo latino e volgare, della cultura teologica di quell’epoca, dei suoi modelli «colti»; dall’altra il tentativo di andare oltre tutto questo per comprendere i grandi fenomeni culturali condivisi, il modo in cui gli uomini e le donne di un’epoca hanno plasmato la società in base a determinate idee, e in che modo tali idee hanno poi condizionato la società. In tal senso, quella di Le Goff è stata una vera antropologia storica, secondo la migliore lezione di Marc Bloch che invitava a calarsi nel passato come un antropologo si calerebbe in una civiltà «altra» rispetto alla sua.
La storia delle mentalità, espressione oggi poco apprezzata e piuttosto passata di moda, era il tentativo di cogliere questa complessa fenomenologia. In particolare, un tema che allo studioso francese stava a cuore, così come a molti altri tra anni ’60 e ’70, era il rapporto tra società e cultura, tra stratificazione sociale e motivi culturali, in sintesi tra cultura dotta e popolare: un tema che una parte della storiografia pure cresciuta in seno alle Annales, ma con una più forte influenza marxiana, tendeva a risolvere in termini di dicotomia, lì dove Le Goff preferiva prestare attenzione alla circolazione di modelli (secondo la lezione mai dimenticata di Jakobson e Bogatyriev) tra ceti sociali.
Vedeva nella cultura popolare una delle fucine creatrici, in particolar modo per secoli — quelli del medioevo centrale — nei quali la cultura scritta era appannaggio dei chierici e i laici, anche quelli dei ceti elevati, partecipavano di idee, concezioni, modi di pensare legati a quella che viene chiamata «cultura folklorica».
L’Europa sorgiva
Negli anni più tardi, Jacques Le Goff non ha mai abbandonato queste passioni; in fondo, anche la monumentale biografia su San Luigi (uscita nel 1996) aveva alle spalle già degli scritti sul tema precedenti di un paio di decenni. Ma la sua produzione più recente mostra anche un’attenzione agli sviluppi della storiografia contemporanea (si vedano i suoi lavori sulla concezione del corpo), nonché un interesse per gli sviluppi della società tout court: a questo secondo filone appartengono le riflessioni sull’Europa e le sue radici, che era poi soprattutto una riflessione per i suoi esiti politici presenti e futuri.Aveva cominciato la sua vita accademica (e non solo) in un momento in cui l’Europa si dibatteva fra le guerre, ha fatto in tempo a sognare insieme a molti un’Europa diversa, si è spento quando questo sogno pare ormai sulla via del tramonto.
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LA STORIA OGGI
di Jacques Le Goff
Per parlarvi della scienza storica oggi, partirò da un testo di Marc Bloch nella sua Apologia per la storia o il mestiere dello storico. La storia non è solamente una scienza in cammino. È anche una scienza nell'infanzia: come tutte quelle che hanno per oggetto lo spirito umano, questo ritardatario nel campo della conoscenza razionale. O per meglio dire, invecchia sotto la forma embrionale del racconto, a lungo ingombro di finzioni, ancor più a lungo legato agli eventi più immediatamente comprensibili essa resta, come impresa ragionata d'analisi, sempre giovane. Da quando può datarsi la sua comparsa come impresa ragionata? Sono dell'avviso dello storico tedesco Reinhart Koselleck che nella sua opera pubblicata nel 1979, Vergangene Zukunft (Il futuro passato), sostiene che la storia è una nozione e una disciplina nata nella seconda metà del XVIII secolo. È un prodotto dei Lumi allo stesso titolo che le nozioni di politica, di religione e d'economia fino ad allora sconosciute. La scienza storica ha conosciuto una lunga preistoria fino alla comparsa del termine nella Grecia antica nel senso di ricerca, inchiesta più che risultato di questa, narrazione fino alla composizione nel V secolo dell'era cristiana delle Storie di Erodoto, il “padre della storia”. Bernard Guenée ha potuto scrivere nel 1980 una eccellente Storia e cultura storica nell'Occidente medievale, ma non c'è storia ragionata nel Medioevo. L'umanesimo del XVI secolo ha suscitato una duplice spinta alla riflessione storica. Da una parte il ricorso alla morale, all'etica della storia considerata magistra vitae, maestra di vita. In questa linea si colloca Montaigne sempre in cerca dell'“umana condizione”. «Gli storici sono al centro del mio interesse. L'uomo in generale di cui cerco la conoscenza, vi pareva più vivo e più intero che in nessun altro luogo». D'altra parte certi autori della fine del XVI secolo reclamano una storia che non dimentichi alcuna conoscenza importante, da qui il concetto di storia perfetta che, in un contesto e con un contenuto completamente diversi, evoca quella che sarà l'ambizione di storia totale o globale della rivista Annales e l'esigenza di svilupparlo.
TRE ACQUISIZIONI
I Lumi e il XIX secolo hanno rappresentato un taglio epistemologico che ha costituito la storia come scienza, ma ciò si è fatto ad un tempo in una prospettiva propriamente scientifica, razionale, e in una prospettiva ideologica. Questa è stata quella del progresso collegato all'evoluzionismo. La storia aveva un senso, il progresso rimpiazzava la provvidenza e conservava alcuni dei mali peggiori della teleologia e peggio ancora, per una maggioranza d'occidentali del XIX secolo e per una maggioranza di storici, il progresso s'identificava con la nazione, nella prospettiva di una escatologia nazionalista pericolosa e soffocante. Credo di poter distinguere tre acquisizioni principali della scienza storica nel XIX secolo. La prima è l'elaborazione di metodi d'erudizione - la costituzione di archivi, di istituzioni culturali quali l'Ecole nationale des chartes in Francia, e i Monumenta Germania historica in Germania, a Monaco, ai quali aggiungerei l'Istituto storico italiano per il Medioevo a Roma, oggi brillantemente diretto da Girolamo Arnaldi - la definizione dei documenti come fonti della storia, la messa in piedi di tecniche dette scienze ausiliarie della storia, fra le quali la cronologia; per cui non si dirà mai abbastanza che non c'è storia senza cronologia. Bisogna anche dire con forza che questa erudizione, questi metodi critici restano e resteranno una base essenziale della scienza storica e del lavoro dello storico. Questa formazione distingue anche lo storico professionale dallo storico amatoriale. Ma dal XIX secolo la pratica divenuta tradizionale dell'erudizione ha portato ad un disseccamento della critica storica. Questa si è focalizzata sulla ricerca del falso e ha avuto la tendenza a ridursi quando la critica del documento doveva rispondere a questioni assai più larghe e più ricche.
LA STORIA È LA SCIENZA DEL PASSATO?
La seconda acquisizione è stata l'elaborazione di una definizione che ha permesso alla storia di prendere pienamente il suo posto nell'insieme delle scienze umane e sociali del XX secolo. La definizione è di Fustel de Coulanges (1830-1889) ed è stata sostenuta e completata da Marc Bloch nella prima metà del XX secolo: “la storia è la scienza degli uomini nella società nei tempi”. I tre termini sono egualmente importanti e la loro forza deriva dalla loro messa in rapporto. Oggetto della storia sono gli uomini e le donne viventi e agenti con tutto il loro essere (corpi, sensibilità, mentalità compresi) in tutti i campi (vita quotidiana, vita materiale, tecniche, economia, società, credenze, idee, politiche eccetera) secondo i loro caratteri individuali ma anche e soprattutto collettivi, da qui l'importanza dello studio delle strutture sociali e del loro funzionamento. Sottolineo ancora “nei tempi”. L'importanza fondamentale per lo storico della dinamica delle società e della storia come scienza del movimento e del cambiamento. Non c'è storia immobile. La storia si trova così definita come una scienza della vita (si può considerare Michelet come il padre di questa concezione), di uomini viventi e dunque mutevoli. Non posso trattenermi dal citare una celebre frase di Marc Bloch. «Sono gli uomini che lo storico vuole afferrare. Chi non li raggiunge non sarà altro che un manovale dell'erudizione. Il bravo storico, lui, assomiglia all'orco delle favole. Là dove fiuta carne umana, là è la sua selvaggina». A quale altra definizione si oppone questa definizione umana, sociale della storia? A questa: “La storia è la scienza del passato”. Il commento di Marc Bloch è senza appello: «L'idea stessa che il passato, in quanto tale, possa essere oggetto di scienza è assurda. Fenomeni che non hanno altro carattere comune che di non essere stati contemporanei, senza distacco preliminare come possono divenire materia di conoscenza razionale?». Insistiamo, la storia non è la scienza degli uomini del passato e nel passato, è la scienza degli uomini nei tempi, nel cambiamento. La terza acquisizione della scienza storica nel XIX secolo è piuttosto un blocco che un'acquisizione vivente. Risulta da una abdicazione dello storico davanti al documento, da un ingemuo ottimismo nel potere del documento, una volta che la sua autenticità è stata stabilita, di imprigionare la conoscenza storica. In questa evoluzione della scienza storica, l'influenza di Marx fu molto limitata, prima perché il suo bagaglio storico era abbastanza limitato e soprattutto perché la storia nella posterità marxista fu sommersa e completamente pervertita dal marxismo-leninismo. Gramsci ricordò vanamente che nell'espressione materialismo storico la parola importante fosse storico in quanto scientifico e non materialismo in quanto metafisico.
LA DERIVA POSITIVISTA E L'EREDITÀ DEGLI ANNALI
All'inizio del XX secolo i limiti, le derive di questa storia erudita e storicista che si andava chiamando positivista, evenemenziale, storicizzante, suscitarono sempre più critiche e desideri di rinnovamento. Il movimento fu europeo con un'eco negli Stati Uniti. Vi parteciparono soprattutto lo storico belga Henri Pirenne (1862-1935), lo storico-filosofo italiano Benedetto Croce (1896-1952), autore della celebre frase: «Ogni storia è contemporanea» che critica lo storicismo in una prospettiva ad un tempo idealista e marxista e fonda l'Istituto per gli studi storici, affidandolo alla direzione di Federico Chabod, l'olandese Johan Huizinga (1872-1945), il rumeno Nicolae Iorga (1871-1932), la rivista tedesca Zeitschrift fur sozial und wirtschaftsgeschichte, l'Istituto per le ricerche storiche di Londra (1921) e l'Istituto di studi comparativi delle religioni di Oslo (1925). Il suo punto culminante fu la creazione a Parigi da parte di Marc Bloch e Lucien Febvre della rivista Annales d'histoire economique et sociale (1929). Prima di abbozzare un bilancio dell'eredità degli Annali per la storia di oggi sottolineo che la rivolta contro la storia positivista del XIX secolo, gesto capitale, ha avuto per bersaglio essenziale i concetti del documento, dell'avvenimento, del fatto storico come un tutt'uno. Contrariamente all'ingenua credenza degli storici positivisti ci si è resi conto che, secondo la frase di Paul Veyne, “la storia deve essere una lotta contro l'ottica imposta dalle fonti”, e Michel Focault ne “la messa in dubbio del documento” ha definito la storia come ciò che trasforma il documento in monumento cioè invece di decifrare le tracce lasciate dagli uomini la storia dispiega una massa di elementi che si tratta di isolare, di ragguppare, di rendere pertinenti, di mettere in relazione, di costituire in insieme (L'archéologie du savoir, 1969). Più fondamentalmente l'avvenimento, il fatto storico non sono dati dalle fonti allo storico. Sono la sua costruzione. La storia diventa così definitivamente una scienza che, come tutte le scienze, deve creare il suo oggetto. Vengo infine alla situazione attuale della scienza storica. Cosa resta dell'eredità degli Annali? Anzitutto il campo definito dal titolo. La storia economica e sociale. Ma la storia economica è stata svalutata dall'affossamento del marxismo e dall'impotenza dell'economia ad insinuarsi in una problematica storica. L'instaurarsi di un dialogo tra la storia e le scienze sociali è stato limitato dall'indifferenza delle scienze sociali (sociologia, etnologia, antropologia) ai tempi e all'evoluzione storica.
L'orizzonte di una storia totale o globale che non ha niente a che vedere con l'affermazione che tutto è nel tutto e reciprocamente e che non s'è confusa con una storia universale al posto della quale Michel Focault ha suggerito di elaborare una storia generale, tanto che Pierre Toubert e io stesso proponiamo la scelta di oggetti globalizzanti (il Purgatorio, San Luigi). Gli Annali hanno anche messo alla base del percorso la storia-problema, ponendo alla base di una ricerca e di una riflessione storica un problema e non un fatto o un tema. Gli Annali hanno insisitito sullo studio delle strutture ma secondo una prospettiva dinamica che rifiuta uno strutturalismo indifferente ai tempi e che non oppone il collettivo all'individuale. Infine Marc Bloch in particolare ha assegnato alla storia lo studio delle relazioni reciproche tra passato e presente, meglio definito come l'attuale. Chiarire il presente attraverso il passato come pure il passato attraverso il presente è diventato l'oggetto della storia. Nella sua opera e nella sua vita, Marc Bloch ha dimostrato lo stretto legame che unisce lo storico, l'amatore di storia e il cittadino.
LA REALTÀ DEI FATTI E LA LORO ECO NELLA COSCIENZA
Tra il 1950 e il 1980 diversi complementi importanti sono stati portati alla scienza storica nella linea degli Annali. Fernand Braudel ha attirato l'attenzione sulla necessità di situare la riflessione storica nella lunga durata. Io credo che il congegno dei tempi della storia è più complesso e mette in causa una maggiore pluralità di tempi storici. Bisogna tornare a Marc Bloch: «il tempo umano (…) si dimostrerà sempre ribelle all'implacabile uniformità come alle divisioni rigide del tempo dell'orologio. Ha bisogno di misure accordate alla variabilità del suo ritmo e che per limite accettano spesso, perché così vuole la realtà, di non conoscere che zone marginali. È solamente al prezzo di questa plasticità che la storia può sperare di adattare, secondo le parole di Bergson, le sue classificazioni alle linee stesse del reale, che è, propriamente, il fine ultimo di ogni scienza». E aggiungo, una storia che confronterà sempre il tempo misurato al tempo vissuto. Approfondendo il dialogo con l'etnologia, gli storici usciti dagli Annali hanno elaborato una antropologia storica definita come un atto di totalizzazione o piuttosto di messa in relazione dei diversi livelli della realtà prefigurata nella storia dei costumi di Tocqueville. Egualmente questi storici hanno costruito una storia delle mentalità, delle rappresentazioni, dell'immaginario. Ormai la realtà storica è l'unione di due ante: la realtà dei fatti e della loro eco nella coscienza, realtà fattuale e realtà immaginaria. E la storia delle mentalità si duplica di una storia dei valori, delle idee-forza riflesse nelle coscienze e nei comportamenti, una storia intellettuale e delle mentalità che prende il posto della vecchia storia delle idee, la Geistesgeschichte tedesca. Ma non bisogna esagerare la portata della nuova storia delle mentalità, essa non pesa sull'evoluzione storica come una causalità primaria. Molti storici disarcionati dall'affondamento dell'economia come causalità primaria generale sono ripiegati sulle mentalità per tenere il ruolo. È un altro sbaglio. Nel contempo un nuovo campo si è affermato nella storia: la storia culturale utilizzata come causalità storica generale. La spiegazione della storia e dell'evoluzione storica attraverso la cultura è un errore comparabile all'antica causalità economica anche se la nozione di storia culturale fornisce un ponte con l'antropologia e ha permesso di integrare più facilmente realtà umane che l'idea di civilizzazione integrava meno bene.
TRE PUNTUALIZZAZIONI
Malgrado questi arricchimenti la storia espressa dagli Annali ha dato a partire dal 1980 circa sempre più segni di soffocamento, meglio d'esaurimento ed è stata l'oggetto di una convergenza di critiche che le rimproverano di schiacciare gli uomini sotto le strutture, di tendere a una storia immobile e di sacrificare la specificità della storia alle astrazioni delle scienze sociali al di fuori del tempo. Questa crisi della storia degli Annali si inscrive in una più ampia crisi della storia in generale. Discuterne supererebbe largamente il poco tempo che resta. Mi accontenterò di tre puntualizzazioni. Se si intende per crisi la destrutturazione di un sistema e la fase di disordini e turbolenze che, secondo la concezione gramsciana, prepara la costruzione di un nuovo sistema e che è più ricca di promesse e di inviti allo sforzo intellettuale che di scoraggiata contemplazione delle rovine, allora sì, la storia è in crisi ma preferisco parlare di mutamento poiché ciò riguarda l'avvenire mentre il termine crisi è rivolto verso un passato di cui bisogna riconoscere le eredità viventi ma dal quale bisogna sapersi sottrarre per costruire meglio senza nostalgia, con lucidità, critica costruttiva e volontà. Se dico che questa crisi è legata a quella delle scienze sociali nel loro insieme e questa a quella della nostra società e del nostro sapere complessivo non è voler “stancare l'avversario”, ma è definire l'ampiezza del problema e del compito e sottolineare che non si può agire di ritocchi e sotterfugi ma che è tutto un blocco storico e scientifico che si tratta di prendere di petto. Il problema non è sfuggito al comitato di direzione degli Annali che nel numero del marzo-aprile 1988 ha pubblicato un testo intitolato “Storia e scienze sociali: un tornante critico?”. È arrivato il momento, scrivevamo, di rimescolare le carte e abbozzavamo nuovi metodi, citandone due tra gli altri: “Le scale d'analisi” e “la scrittura della storia e nuove alleanze”, in altri termini ripensare e ridefinire una pratica dell'interdisciplinarietà. E concludevamo: «il momento non ci pareva venuto per una crisi della storia di cui alcuni accettano troppo comodamente l'ipotesi. Abbiamo in compenso la convinzione di partecipare a un nuovo giro di carte ancora confuso, che bisogna definire per esercitare domani il mestiere di storico». Ho la sensazione che non siamo ancora usciti da questa fase ma credo che stiamo prendendo meglio coscienza del carattere generale di un mutamento che oltrepassa la storia. Come stupirsene quando si professa una concezione della storia che la pratica in tutto lo spessore e la profondità delle realtà umane? Ho trattato altrove delle vicende che sembrano occultare l'eredità degli Annali, vicende della storia politica, dell'avvenimento della storia-racconto, della biografia e del soggetto. Per finire permettetemi d'enumerare senza sviluppare, non ne ho più il tempo - i principali compiti della ricerca storia - numerosi e maggiori in questi tempi di mutamento delle scienze sociali, della società e del sapere. Allacciare nuove relazioni con le scienze sociali. Auguro il costituirsi di un'antropologia storica raggruppante storia, sociologia e antropologia animate dalla ricerca e la spiegazione del cambiamento delle società nel tempo su tutti i piani. Questa scienza dovrebbe restare in stretto contatto con la geografia perché una delle linee di rinnovamento della storia si dovrà realizzare attraverso ricerche sui tempi, gli spazi e le loro dinamiche. La storia deve ritrovare un oggetto sintetico e spezzare la catastrofica frammentazione in storia politica, sociale, economica, culturale, storia dell'arte, del diritto, eccetera. La semantica storica, chiarendo i termini e i concetti, al di là di una filologia inerte, in una prospettiva di trasformazione e di creazione, deve permettere una rilettura ripulita dei documenti. Lo studio delle fonti deve continuare a farsi al di là dei testi trasformando in documenti di storia le immagini, i risultati dell'archeologia, le gesta, i paesaggi eccetera. Bisognerà un giorno pensare a tappare i buchi, le lacune della documentazione e a costruire una storia dei silenzi. Questo compito implica una rigenerazione completa delle scienze ausiliarie e una esplorazione della produzione storica della memoria. La scienza storica deve appropriarsi e adattarsi ai nuovi strumenti informatici apportatori di scoperte e di conquiste. La storia deve prendere ormai insieme le serie di fatti e di rappresentazioni. La storia è fatta tanto di immaginario che di realtà positive. La storia comparata augurata da Marc Bloch deve svilupparsi in una prospettiva di storia generale. Per questo deve disoccidentalizzarsi e creare strutture attente alle storie latenti o altre. La storia deve più che mai avere per oggetto gli uomini e la vita, integralmente ma secondo approcci razionali e critici. La storia recente ha lanciato la memoria all'assalto della storia. La storia dovrà continuare a nutrirsi di memoria, produttrice di vita, ma separare la buona memoria appassionata di verità dalla cattiva, corrotta dalle passioni aggressive e corrotte, soprattutto nazionaliste. È necessario che la storia cessi di essere ciò che Hegel chiamava un fardello per realizzare la funzione di mezzo di liberazione del passato che gli assegna Girolamo Arnaldi. Essa dovrà cercare di mordere razionalmente sull'avvenire, compito che le impone lo scacco della futurologia e lo scatenamento delle elucubrazioni divinatorie vecchie e nuove per prolungare prudentemente la padronanza dei tempi al di là del passato e del presente e per cercare di rispondere più pienamente alla domanda: «A che serve la storia?». A rispondere razionalmente all'interrogativo: «Chi siamo? da dove veniamo? dove andiamo?».
Compito immenso, esaltante. Torno all'inizio. La scienza storica è in fasce. Grandi speranze le sono concesse. Al lavoro! E come lavorare meglio che in questa città che possiede l'esperienza di grandi rinnovamenti, di grandi rifondazioni dall'antichità al cristianesimo e ai diversi rinascimenti?
Testo scritto in occasione del conferimento della laurea honoris causa dal dipartimento di storia moderna e contemporanea della Sapienza di Roma. Nostra traduzione dall'originale in francese pubblicato su: Dimensioni e problemi della ricerca storica, 2/2000
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