"Gramsci batteva particolarmente sul
fatto che nel partito non si doveva guardare all'uomo ma alle
direttive del CC. Parlava di Stalin come di un despota e diceva
di conoscere il testamento di Lenin, dove si sosteneva che Stalin
era indatto a diventare il segretario del partito bolscevico.
Ci parlava di Rykov, di Kamenev, di Radek e soprattutto di Bucharin,
per il quale aveva un'ammirazione particolare. Una volta ci parlò
della Rivoluzione francese (...) E, a proposito di ciò,
accennò anche a un 'termidoro' sovietico".
Ercole Piacentini, in Gramsci raccontato, a cura di Cesare Bermani, Roma 1987
Dal dicembre 1930 a Turi
Gramsci "si dimostrava molto impensierito per la ripercussione
che la lotta all'interno del partito bolscevico aveva avuto nell'Internazionale,
la cui opera di direzione collegiale, secondo il suo parere,
era paralizzata o indebolita in conseguenza di tali lotte. In
questa occasione deplorò anche il fatto che Stalin nel
passato non avesse mai avuto occasioni di svolgere una certa
vita internazionale, a differenza di altri capi bolscevichi,
e ciò restringeva la sua visione del processo generale
del movimento mondiale."
Bruno Tosin, in Gramsci vivo nelle testimonianze dei suoi contemporanei, a cura di M. Paulesu Quercioli, Feltrinelli, Milano 1977, pp. 226-230
"Bisogna tener presente che l' habitus mentale di Stalin
è ben diverso da quello di Lenin (...) Stalin è
rimasto sempre in Russia, conservando la mentalità nazionalista
che si esprime nel culto dei Grandi Russi. Anche nell'Internazionale,
Stalin è prima russo e poi comunista: bisogna stare attenti".
Gramsci a Ezio Riboldi, Vicende socialiste: trent'anni di storia italiana
nei ricordi di un deputato massimalista, introduzione di
Giuseppe Tamburrano, Azione comune, Milano 1964; episodio risalente al maggio 1931.
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