Massimo Recalcati
Due generazioni allo streaming
la Repubblica, 22 febbraio 2014
La diretta streaming Renzi–Grillo è
materia ghiotta per l’analisi non solo politica ma anche
psicopatologica. Per il M5S è stata un’altra occasione persa per fare
pesare la propria forza elettorale. Ma, nel tradimento da parte di
Grillo del mandato popolare che aveva ricevuto dal suo popolo, dobbiamo
leggere qualcosa di più sottile che ci consente di introdurre la lente
di ingrandimento della psicoanalisi. Si tratta ancora una volta del
rapporto tra le generazioni che è divenuto un tema politico e
antropologico centrale del nostro paese. Rispetto alla prima diretta
streaming Bersani-M5S la rappresentanza generazionale appare in questo
caso invertita: ora è il figlio ad essere presidente incaricato ed è il
padre a rappresentare le ragioni dell’opposizione. Anche i turni
conversazionali appaiono totalmente invertiti: al monologo disperato e
paterno di Bersani si è sostituito quello iracondo e provocatorio di
Grillo, Ma in un caso e nell’altro i figli tacciono o sono costretti,
come in quest’ultimo caso, a tacere. Sono solo i padri che parlano.
Ma con una differenza sostanziale. Nel
caso di Bersani si poteva apprezzare tutto lo sforzo di un buon padre di
famiglia per convincere i figli adolescenti e oppositivi per principio
che la crisi obbligava a ragionare insieme e a congiungere le forze.
Avevo a suo tempo paragonato questo tentativo a quello dello Svedese,
mitico protagonista di Pastorale americana di Philip Roth di
fronte al fondamentalismo adolescente della figlia ex terrorista e
membro fanatico di una setta religiosa**. Con Grillo invece la paternità
assume tutt’altra connotazione. La sua voce non cerca dialogo, non
riconosce alcuna dignità al suo interlocutore, non parla, ma accusa. Non
intende ragionare sui contenuti ma definisce con sdegno l’impurità
dell’avversario di cui si dichiara un ‘nemico fisico”.
In questo contesto di ribaltamento dei
ruoli generazionali (il figlio fa la parte del padre, mentre il padre fa
la parte del figlio), l’attimo che costituisce il focus di tutta la
scena è quando Grillo dà del “ragazzo” al Presidente incaricato.
Soffermiamoci un momento su questo passaggio ai miei occhi decisivo.
«Sei solo un ragazzo, certe cose non le sai, lascia fare a me che ho
quarant’anni di esperienza». Questo, più che la dichiarazione di non
essere democratico, che non ha stupito nessuno, deve davvero colpire. Ma
come? Un leader che ha saputo mobilitare con forza i giovani
restituendo a loro il sogno del cambiamento, si rivolge al Presidente
incaricato definendolo con tono chiaramente paternalistico e, insieme,
come spesso accade a chi assume toni paternalistici, dispregiativo.
Questo è un punto di grande interesse clinico nel dialogo tra i due, o,
meglio, nel monologo soverchiante di Grillo. Chi viene chiamato ragazzo è
un uomo di 39 anni, padre di tre figli, capace di assumersi
responsabilità istituzionali enormi, di guidare una grande città e un
grande partito. Chiamarlo “ragazzo” non svela solo una megalomania di
fondo del leader del MSS, ma manifesta Inconsciamente il fantasma
padronale che lo anima profondamente. Questo padre dichiara che non ha
tempo da perdere per discutere coi figli. Non solo coi figli d’altri -
tale è Matteo Renzi -, il che potrebbe anche essere plausibile, ma
nemmeno con i propri. Per questo usa il mandato ricevuto
democraticamente dal suo popolo per fare uno show che sarebbe
semplicemente fuori luogo se non avesse una ricaduta politica che
coinvolge fatalmente le sorti del nostro paese. «Sei solo un ragazzo!»,
urla il padre orco a chi immagina non sia degno di interloquire con lui.
«Sei solo un ragazzo, taci! Lascia che parli lo!». Quante volte abbiamo
ascoltato dai nostri pazienti questa rappresentazione sadicamente
autoritaria della paternità “Sei solo un ragazzo!” è sempre il pensiero
inconscio (o conscio?) del padre-padrone che nutre nel profondo di sé
stesso un odio radicale della giovinezza e che mostra con orgoglio di
fronte all’entusiasmo di chi comincia una nuova avventura («ti spiego
cosa vorremmo fare» prova a dire Matteo Renzi) le medaglie che gli danno
il diritto di oscurare la parola del suo giovane interlocutore («Taci!
Ho quarant’anni di esperienza più di te!»). Non è questo lo schema che
la Scuola di Francoforte ha reperito come fondamento di ogni famiglia
autoritaria? Quante volte ci siamo trovati nella nostra vita privata e
pubblica di fronte a padri così? Quante volte la forza e l’entusiasmo
della giovinezza deve subire l’ostracismo di chi vuole metterli a
tacere. Lo ha mostrato bene Michele Serra nel suo ultimo libro Gli sdraiati:
il dono più grande che un padre possa dare ai suoi figli è non odiare
la giovinezza, è avere fede nella sua forza generativa. Nel caso
dell’incontro Renzi-Grillo le parti si invertono bruscamente come accade
sempre più frequentemente anche nella nostra società: il figlio si
mostra più responsabile del padre che, come ha commentato un
simpatizzante del MSS, gioca a fare il bambino in un momento
istituzionale che avrebbe richiesto la massima serietà.
Da buon padre-padrone travestito da
adolescente rivoltoso, Grillo ha rivelato pubblicamente non solo la sua
estraneità nei confronti delle consuetudini e delle regole democratiche,
ma il fatto che può fare quello che vuole della volontà del suo stesso
popolo costituito, in gran parte, di “ragazzi”. Vogliono che vada a
discutere di politica e di programmi con Renzi per provare a dare una
mano per salvare il nostro paese? Sono solo dei ragazzi, non hanno
quarant’anni di esperienza. Lasciate fare a me. Lasciate che sia io a
mostrarvi come me ne fotto della democrazia. La pazienza dolce e
frustrata dello Svedese-Bersani lascia qui bruscamente il testimone al
padre freudiano dell’orda che nel nome della sua propria Legge si arroga
il diritto di fare quello che vuole al di là della Legge. Abbiamo già
visto in diverse occasioni questo genere di padri prendere il potere. E
allora che la maschera del giustiziere cade rivelando la smorfia orrida
del tiranno che paternalisticamente considera i suoi sudditi solo dei
ragazzi da disciplinare e da rieducare.
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