Giulio Giorello
Guevarista, no global e (molto) delusa. Il manicomio sferico di Mafalda
Nasceva
nel 1964 la bambina pestifera dell’argentino Quino. Il mondo visto dai
più piccoli fu una lezione disarmante per gli adulti
Corriere della Sera, 2 febbraio 2014
«Oh, Mafalda! Che bella culla hai fatto alla tua bambola!». E lei, quasi seccata: «Non essere ignorante, mamma! È un divano da psicoanalista». Poi, messa a letto, così la piccola si rivolge all’altro genitore: «Papà… non posso dormire». E il padre: «Cosa fai qui? Torna a letto e conta le pecore!». Mafalda: «Ma sei matto? Ho dato una guardatina, e ce ne saranno circa settemila». Si tratti di complessi freudiani o di grandi numeri, la logica di questa bimba argentina rovescia gli stereotipi di cui è intessuto il mondo degli adulti. Le sue sono tipiche «domande dei bambini», come le chiamava il regista Wim Wenders, quelle stesse che, sbriciolando le facili sicurezze del conformismo, finiscono per riportarci alla nostra umana fragilità. In un piccolo monologo, degno quasi di Amleto, sempre lei dichiara di volersi congratulare con i Paesi che guidano la politica mondiale, ma subito dopo aggiunge di sperare che un giorno ci siano davvero i motivi per farlo!
Mafalda «la contestataria» — come è stata chiamata (il cognome non importa) — ama la democrazia, la pace, i diritti umani, in particolare quelli dei bambini; odia la minestra, simbolo del dispotismo casalingo, e — senza alcuna esitazione — le armi e la guerra. E poi, della cultura della Gran Bretagna, il Paese tradizionalmente «nemico» (occupa le isole Malvinas, che gli inglesi chiamano Falkland), salva i Beatles e detesta l’inossidabile James Bond.
Mafalda è stata concepita da Joaquín Salvador Lavado Tejón. Un nome «sonoro», già dalla nascita sostituito da un ben più semplice Quino, per distinguerlo da uno zio omonimo, pittore e disegnatore pubblicitario. Da cui avrebbe ereditato, peraltro, il gusto per la battuta e il piacere del disegno. Aveva esordito nel campo dello humour grafico nel 1954. Del 1963 è il suo primo libro umoristico Mundo Quino (il titolo riecheggia ironicamente quello del film documentario italiano Mondo cane di Gualtiero Jacopetti e Franco Prosperi). Nello stesso anno concepisce la sua bambina terribile, inizialmente per pubblicizzare una marca di elettrodomestici, la Mansfield, il cui logo conteneva una M e una A, da cui appunto Mafalda, che non si stanca mai di lottare per un mondo migliore (anche se troppo spesso «qualche deficiente ha smarrito i progetti»!).
Anche quell’idea non sarebbe andata in porto: restarono a Quino alcune strisce, che dovevano poi (1964) dare origine al fumetto inizialmente pubblicato sul supplemento umoristico della rivista «Leoplán». Poco dopo Mafalda, la sua famiglia e i suoi amici dovevano traslocare al settimanale «Primera Plana» di Buenos Aires. E l’anno successivo era la volta del quotidiano «El Mundo», fino alla chiusura di quel foglio nel dicembre 1967. Il 2 giugno 1968, infine, le strisce di Quino dovevano riapparire sul settimanale «Siete Días». Erano appunto gli anni della contestazione, anche nell’America Latina.
Non meno tormentata è la vicenda del suo autore. Nato a Mendoza nel 1932 da immigrati andalusi, doveva presto fare i conti — prima di Mafalda — con i mali del nostro Globo. Come racconta in una breve nota autobiografica, «all’età di quattro anni, nel 1936, il piccolo Quino scopre che sono saltati fuori degli spagnoli cattivissimi, che stanno uccidendo gli spagnoli buoni. Tedeschi, italiani, preti e suore… stanno dalla parte degli spagnoli cattivi». Tre anni dopo, «i cattivi hanno vinto» e le speranze sono tutte nel Nuovo Mondo. Salvo che, finito il secondo conflitto mondiale e delineatasi la guerra fredda tra Urss e Usa, Quino impara «che italiani e tedeschi non sono poi tanto cattivi», mentre quelli che un tempo gli apparivano buoni possono peccare di notevole malignità. La sua Mafalda passerà anni a «sciogliere il dilemma di chi è buono e chi è cattivo su questa Terra», fino alla sospensione delle strisce il 25 luglio 1973, «sentendosi l’autore a corto d’idee». Dichiarazione che va presa con cautela, visto che negli anni successivi Quino, messosi a viaggiare per il mondo e prediligendo varie città europee, tra cui la nostra Milano (ove lui e la moglie Alicia sono rimasti per sei anni), non smette di escogitare nuove vignette: «Dopo aver creato Mafalda, nipote di Che Guevara e mamma dei No Global, Quino è apparso sempre più degno allievo di Borges», notava, in una bella intervista («Corriere della Sera», 16 gennaio 2004), un estimatore dei fumetti come Cesare Medail (se mi è lecito aggiungere, per me maestro e amico).
Mafalda oggi all’anagrafe sarebbe una signora cinquantenne, forse dimentica dei suoi giovanili «eroici furori». Ma più probabilmente, ci fa sospettare Quino, potrebbe essere una desaparecida all’epoca della criminale dittatura di Jorge Rafael Videla e dei suoi complici. Comunque, in una occasionale «cartolina», Quino la ritrae ancora una volta di fronte al mappamondo, simbolo del nostro Globo, che contiene tanta sofferenza, oggi come ieri, anche se cambiano modi e forme del dispotismo. E lei stessa non esita a porsi domande borgesiane: «Sarà stato Dio a brevettare questa idea del manicomio sferico?».
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