Umberto Cherubini
PD: paradossi democratici. Bersani fa le primarie in pompa magna e viene tradito da uno su quattro. Gesù Cristo, che scelse gli apostoli senza le primarie, fece molto meglio: uno su dodici. È un problema di funzionamento della democrazia? O è un problema della politica come professione? Forse è un problema di tutte e due: politica di professione e democrazia non stanno insieme.
Fenomenologia dei 101. Provate a fare un gioco di ruolo. Siete uno dei 101 che ha acclamato Prodi nella riunione dei grandi elettori e non lo ha votato il giorno dopo. Che tipo siete? Perché avete fatto questa scelta? E ora cosa state facendo? Cominciamo dalle cose semplici. In primo luogo, siete contrari a Prodi, anche se gli psicologi potrebbero trovare controesempi: amo Prodi e quindi gli voto contro, per un qualche complesso moto dell’inconscio. Diciamo però che siete contrari a Prodi, e lo siete per motivi politici. Siete appena usciti dalla riunione in cui avete ricevuto l’indicazione di votare Prodi. Non siete intervenuti, forse avete cambiato idea nella notte, forse avete parlato con qualcuno. In fondo, solo i cretini non cambiano idea (anche se questo non vuol dire che anche i cretini lo facciano). Ma tant'è, non volete votare Prodi. E ne siete convinti, perché se non lo foste la scelta giusta sarebbe votare, tanto la probabilità che Prodi raggiunga il massimo dei voti è bassa. Voi votate perché volete stroncare eventuali insistenze sul nome Prodi nelle votazioni successive.
Volete dare un segnale chiaro. L'avete fatto, e avete raggiunto l'obiettivo. Ora ci sono due scenari. Il problema è risolto, e allora è il caso di spiegare perché è stato risolto. Il problema non è risolto? Allora, è il caso di uscire allo scoperto e dare il colpo finale. E' qui che non riusciamo più ad andare avanti con il gioco. E' il silenzio dei 101 che non è spiegabile in nessuna forma logica, se la logica resta all'interno della contesa politica. Possibile che non ci sia nessuno che abbia la voglia di parlare, se non per motivi di trasparenza pubblica almeno per motivi di vanità privata? Possibile che a nessuno non venga neppure in mente di intonare il: "sono qui per seppellire Prodi e non per lodarlo"? Nessuno che senta neppure il bisogno di far sapere le proprie ragioni in forma anonima?
Questo è il mistero dei 101: una falange così compatta, con un silenzio così ostinato, che ci ricorda gli eroi. Una falange senza un capo, ma che si muove come un uomo solo. I conti non tornano, però, perché gli eroi finiscono il lavoro. Gli eroi non potrebbero tollerare che la loro ombra segua il nuovo capo del governo, lasciando anche e soprattutto aperto il sospetto che lui sia uno di loro. In questo caso gli eroi parlano. E allora in questa politica pirandelliana emerge, come sempre, una realtà diversa, che però non ci sorprende mai. E ci viene da sorridere, con amarezza e tenerezza, pensando che quando lo smacchiatore di giaguari minacciava i 5 Stelle: "se si va a casa, si va a casa tutti", i 101 drizzavano le orecchie e prendevano appunti.
Abbiamo quindi provato, con un vero e proprio teorema, che i 101 non hanno votato né in coscienza né in incoscienza. Hanno difeso il loro posto di lavoro. Il fatto che la falange sia altrettanto compatta di una falange di eroi non deve ingannare. Ricordiamoci che anche ai tempi della compravendita di parlamentari regnava il silenzio (almeno sul prezzo). E in questo silenzio, è lecito supporre tutto, anche che un'altra compravendita si sia verificata.
Dopo il teorema, il corollario. Chi può avere paura di perdere il posto? Uno che esercita una professione. Ecco il punto focale. Il teorema implica che i 101 sono politici di professione. Sono casta. Sono la prova e il sintomo di una questione morale che persiste nella sinistra, e che noi di sinistra non siamo più disposti a tollerare.
E, alla fine, i 101 ci lasciano una domanda complessa sulla selezione della classe politica. Come è possibile che un personale politico così scadente sia stato selezionato con le primarie? Perché la democrazia non ha funzionato? Perché ha selezionato personale politico con interessi privati? Su questo non ci sono teoremi, ma una congettura. Il politico di professione è un concetto in
contrasto con la democrazia. I professionisti si scelgono, non si eleggono. Quando dovete chiamare un trombaio fate le primarie?
In conclusione, abbiamo provato che i 101 hanno mostrato l'incompatibilità tra democrazia e politica di professione, hanno profanato le primarie, e adesso seguono, come follower indesiderati, l'operato del governo. La scienza procede a forza di controesempi. Se uno dei 101 vuole inviare un controesempio al mio teorema, lo può fare anonimanente, mi auguro qui su Linkiesta.
In mancanza di questo controesempio, che non arriverà, la diagnosi è infausta. Stiamo lavorando con un governo debole, e con un parlamento che andrebbe sciolto, per la sola esistenza dei 101, e nessuno dell'attuale compagine del PD dovrebbe essere candidato alla prossima elezione, a meno che non si chiarisca il mistero dei 101. Questa è compattezza e unità, e questa è la politica: quando qualcuno sbaglia (e 101 sono più di qualcuno), si paga tutti.
Fonte http://www.linkiesta.it/blogs/cosi-e-se-traspare-storie-finanza-e-mancanza-trasparenza/la-scarica-dei-101-e-le-primarie#ixzz2S7fwJfim
La vicenda dei 101 secondo Fabio Martini (La Stampa)
Giornalettismo, 26 gennaio 2015
Quirinale, come andò veramente che i 101 parlamentari del Partito
Democratico silurarono la corsa di Romano Prodi al colle più alto? Dopo
le affermazioni di Stefano Fassina, esponente della minoranza del
Partito Democratico, su la Stampa di oggi Fabio Martini pubblica un
ampia ricostruzione dei giorni che cambiarono il corso della legislatura e che aprirono la strada al fallimento della segreteria di Pierluigi Bersani.
QUIRINALE, LA STORIA DEI 101 PARLAMENTARI CHE SILURARONO PRODI -
“Matteo Renzi fu il capo dei 101 che affossarono Romano Prodi”, ha
recentemente affermato Stefano Fassina. Le cose, racconta Martini,
sarebbero andate in modo totalmente diverso: “È la sera del 18 aprile
2013″, racconta il cronista della Stampa, “e il giorno prima si era
consumato il flop di Franco Marini, candidato al Quirinale dell’accordo
tra Bersani e Berlusconi. In quelle ore il Pd sta decidendo di cambiare
cavallo e strategia e a quel punto il sindaco di Firenze Matteo Renzi,
sempre così restio a farsi vedere a Roma, si scomoda. Convoca i «suoi»
35 parlamentari al ristorante e gli comunica: “Si vota Prodi”. Dunque,
le affermazioni di Fassina, scrive Martini, sarebbero “prive di
fondamento” perché l’attuale segretario del Pd avrebbe dato ordine ai
parlamentari a lui vicini di votare il Professore, se non altro perché
se allora si fosse formato “un governo di legislatura, lui rischiava di
finire per cinque anni nel freezer”. Così, da Eataly di Roma arriva la
direttiva agli esponenti renziani: si voti per Prodi.
LA
CANDIDATURA DI MASSIMO D’ALEMA - “Ma quella notte accadono altre due
cose decisive”, continua Martini: “Bersani, dopo aver fatto ritirare
Marini, sta precipitosamente convergendo anche lui su Prodi. Confida
oggi Marini: “La rapidità con la quale Bersani ha lanciato Prodi, senza
preparare troppo la candidatura, si spiega in un modo solo: provò a
giocare d’anticipo perché temeva una candidatura di D’Alema a quel punto
vincente”. L’operazione da bloccare non era quella di Prodi, dunque, ma
quella di Massimo d’Alema, pronto sulla rampa di lancio: “D’Alema fa
sapere di essere pronto a sfidare Prodi. A scrutinio segreto! Scontro
lacerante ma vero tra i duellanti di un ventennio. Nel cuore della notte
vengono preparate le schede per la mattina successiva”. La mattina
dopo, prestissimo, Pierluigi Bersani propone ai parlamentari del Pd il
nome di Romano Prodi: candidatura, come è noto, accolta all’unanimità
dai parlamentari del Pd, giusto? Sbagliato: “All’annuncio del nome di
Professore, le prime due file, ma solo quelle, si alzano in un applauso
entusiastico, Bersani e Zanda «cedono» all’acclamazione senza voto”.
D’Alema dirà a Marco Damilano nel suo ultimo libro che quella sera “in
sala c’è stato l’errore grave di chi doveva parlare e non lo ha fatto”,
ovvero di Anna Finocchiaro, che avrebbe dovuto opporsi all’acclamazione e
chiedere la conta.
RODOTA’ NON SI RITIRA - Romano Prodi è
candidato da Pierluigi Bersani, dunque, ma nessuno lo chiama. Dovrà
essere lui a telefonare a due esponenti cruciali per la definizione
della corsa al Quirinale: “Telefona a Massimo D’Alema, che è sincero e
gli dice: «La situazione, dopo l’esito del voto su Marini, è molto
confusa e tesa». Prodi annota mentalmente: D’Alema non mi farà votare
dai suoi. Poi chiama il suo vecchio amico Mario Monti, che gli rinnova
tutta la sua amicizia ma gli dice: “Romano la tua candidatura è
divisiva…”. Né i dalemiani, né l’area centrista, dunque, sosterranno il
Professore al Colle; Stefano Rodotà, ancora in campo per il Movimento
Cinque Stelle, fa sapere che davanti al nome di Prodi non intende
ritirarsi dalla corsa: l’ex garante della Privacy “fa capire che a
chiamarlo deve essere Bersani e comunque l’essenza del passaggio è
chiara: davanti ad una soluzione «alta» come quella di Prodi, Rodotà non
si ritira”. Pochi minuti dopo Prodi confida alla moglie: “Non passerò”.
E la frittata è ormai fatta.
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