mercoledì 23 febbraio 2022

Dove sono finiti i pacifisti

 


 

DONATELLA DELLA PORTA
I destini d'Europa e la pace dei vivi, La Stampa, 23 febbraio

Ci si chiede dove siano finiti i pacifisti, perché mai tacciano, quando ormai a decidere sembra siano già granate, bombe e proiettili. Forse però bisognerebbe chiedersi dove sarebbero quelli favorevoli alla guerra, che l'assecondano e la propiziano. Nei più grandi Paesi europei sarà forse una minoranza. Il punto è che l'opinione pubblica è letteralmente attonita, frastornata, ancora incapace di reagire. Stiamo risalendo la china della pandemia, che oltretutto non è ancora finita, e anziché poter guardare con qualche speranza al futuro ci risvegliamo dopo due anni di incubo con una guerra nel cuore dell'Europa. Per di più una guerra combattuta con le nuove armi dell'intelligence e dell'informazione, ma per il resto tradizionale, anzi tradizionalissima. Donne, anziani e bambini in fuga dalle loro case, carri armati che avanzano, riserve di sacche di sangue pronte all'uso, dato che le vittime vengono calcolate già in migliaia. Ci sentiamo proiettati nel passato più tetro, quello anzitutto della guerra dei Balcani. Come se non fossero bastati quei massacri, il genocidio di Srebrenica. E questo dovrebbe avvenire di nuovo in Europa? Già provata dalla pandemia?
In questi giorni abbiamo sentito quasi solo il parere degli "esperti", che ormai occupano lo spazio pubblico. E in questo caso sono in particolare gli strateghi di geopolitica che spiegano con dovizia di particolari quali sono le cause e le mosse, in un fronte e nell'altro. Ma ora più che mai abbiamo invece bisogno di politica e di una visione che sappia indicare una via d'uscita dal pantano bellico. Se siamo sbigottiti di fronte a una tale escalation, da non riuscire ancora a reagire, è perché in molti hanno confidato nelle capacità diplomatiche, soprattutto europee, di trovare un accordo. Non ci basta chi si limita a tuonare contro Putin - che certo è un autocrate - demonizzando la Russia. E per farlo più agevolmente tira in ballo vecchi scenari sovietici. Come se dall'altra parte non esistessero gravi responsabilità. Finora la voce politica che si è levata è quella di Romano Prodi. Il rischio in Italia, dove in genere si parla quasi solo dei fatti di casa, e poco dell'estero, è che la gente semplicemente non capisca. Chi spiegherà a quanti dovranno pagare il rincaro delle bollette, o magari subire conseguenze ancora più devastanti dalla crisi energetica, che l'Ucraina deve entrare a tutti i costi nella Nato? E le sanzioni alla Russia non si tradurranno in punizioni per noi?
Proprio all'inizio di questo nuovo secolo il filosofo Jürgen Habermas parlava di "Occidente diviso" attribuendo a questa espressione un valore positivo - e in nessun modo negativo, come si suole fare oggi. All'indomani della guerra in Iraq, di cui paghiamo ancora gli effetti, Habermas sottolineava la frattura tra una politica americana che seguiva i propri interessi per un verso violando la legalità internazionale, addirittura i principi giuridici fondamentali, per l'altro ignorando del tutto i tradizionali alleati europei. A proposito di quest'ultimo punto basti pensare all'ignominiosa fuga dall'Afghanistan, avvenuta come se la Nato non esistesse. A quell'unilateralismo americano Habermas contrapponeva il progetto cosmopolitico che, malgrado le guerre devastanti e, anzi, proprio sulla base delle esperienze belliche, ha sempre animato l'Europa. Noi proveniamo da qui, siamo eredi di Kant e del suo grande monito sulla pace perpetua. Perché se si lascia che la guerra anche solo si insinui tra i popoli europei, allora ci sarà la pace eterna dei cimiteri, non la pace dei vivi in grado di trovare un accordo. Ma siamo eredi anche di quel pensiero critico che ci ha insegnato che lo Stato nazionale con i suoi confini rigidi, che respinge e discrimina i migranti, è un grande problema per l'Europa. Lo vediamo oggi in Ucraina. Perché dove popoli e lingue si mescolano, la nazione diventa una forzatura e una fonte di conflitti. Ciò è emerso anche in altri scenari. Prima di parlare di "sovranità" e di "integrità territoriale", come si fa in queste ore, bisognerebbe parlare di popoli ed esseri umani. Per questo serve il federalismo. Per questo l'Unione europea avrebbe dovuto essere da tempo una forma politica sovranazionale in grado proprio perciò di prevenire situazioni di crisi come quella attuale. Chi oggi è pacifista è anche europeista e pensa che l'Europa, questo Occidente antico e altro, debba essere protagonista e intervenire immediatamente per evitare ancora eccidi. —
 
ROMANO PRODI
Il Foglio, 23 febbraio 2022
 
 “Il discorso fatto lunedì da Putin era un discorso arrogante, triste, pericoloso. È un discorso che ci fa rimpiangere la stagione della Guerra fredda, durante la quale l’angoscia della tragedia infinita non permetteva alle piccole e tangibili tragedie di manifestarsi con la forza d’urto che stiamo vedendo in queste ore. Putin ha ripescato il leninismo, la Grande Russia, e ha usato la retorica della nostalgia per spingere se stesso verso il limite più estremo a cui può arrivare senza dover sparare un solo colpo. Ha fatto un atto di guerra, ma non ha fatto ancora la guerra, e sta giocando una partita da pokerista: avanza dove non c’è resistenza e mette l’occidente, e l'Europa, di fronte alle sue contraddizioni”. Contraddizioni di che tipo? “La prima contraddizione è ovviamente economica. L'Europa fa bene, anzi benissimo, a studiare tutte le sanzioni possibili. E bene ha fatto ieri Scholz, il cancelliere tedesco, ad annunciare lo stop ai lavori di Nord Stream 2. Ma Putin sa perfettamente che l'Europa difficilmente utilizzerà sanzioni così dure in grado di uccidere l’economia europea. E Putin, purtroppo, sa bene che l'Europa si presenta di fronte a questo appuntamento formalmente unita, certo, ma con una oggettiva diversità di interessi. Testimoniata anche da due fattori evidenti. Mi dica lei: l'Europa ha una politica energetica comune? Purtroppo no. E poi: l'Europa ha una politica di difesa comune? Purtroppo no. Siamo divisi militarmente, siamo divisi politicamente, abbiamo di fronte a noi solo un’unità economica e di conseguenza quando succedono grandi incidenti non si riesce a fare molto. Il coltello dalla parte del manico oggi ce l’ha Putin. Le reazioni dell'Europa, non per cattiveria, non per mancanza di volontà, ma non potranno mai essere sufficienti, se parametrate a quello che sta facendo la Russia. E sfortunatamente, se di fronte ai grandi problemi del mondo non si è uniti, allineati cioè anche nella difesa degli interessi strategici, le democrazie liberali rischiano di fare un passo indietro e rischiano di osservare in modo passivo i passi in avanti delle democrazie illiberali”. Stanno vincendo i cattivi? “Io non so chi sta vincendo. So quello che sta succedendo”.

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