giovedì 10 febbraio 2022

Memoria e antimemoria: le foibe






Tomaso Montanari, Rettore Università per Stranieri di Siena, Introduzione

Mauro Moretti, Università per Stranieri di Siena, a colloquio con Alberto Cavaglion, Università di Firenze, Decontaminare le memorie
Francesco Pallante, Università di Torino, La politica della memoria in una democrazia costituzionale antifascista
Marta Verginella, Università di Lubiana, Memorie di confine e uso politico della storia
Luca Casarotti, Università di Pavia – Anpi Pavia, Il legislatore storico contemporaneista: diritto, storiografia e opinione pubblica sul confine altoadriatico
Filippo Focardi, Università di Padova, Il Quirinale e il Giorno del ricordo: la strada impervia (ma necessaria) di una memoria europea riconciliata
Carlo Greppi, Curatore della serie ‘Fact Checking: la Storia alla prova dei fatti’ (Editori Laterza), Una battaglia (anche) editoriale. Potenzialità e insidie del debunking storico
Eric Gobetti, Membro del comitato scientifico dell’Istituto storico della Resistenza di Alessandria, Ripensare il Giorno del Ricordo: per una storia democratica del confine.


Aldo Grasso, La memoria e le provocazioni, Corriere della Sera, 10 febbraio 2021

Polemica alla vigilia del giorno che ricorda la tragedia delle foibe. In un convegno il professor Tomaso Montanari torna a criticare la ricorrenza. La memoria va a corrente alternata? Memoria significa anche ricordare l’accoglienza riservata da molti italiani ai profughi che arrivavano da quelle terre martoriate.

Più che una riflessione è un’ossessione, più che un’analisi è un’esibizione, più che storiografia è mitomania. Per Tomaso Montanari, rettore dell’Università per stranieri di Siena, le foibe rappresentano sempre una buona occasione per mettersi in mostra davanti a una sinistra «dura e pura». Di cui, evidentemente, si sente l’ultimo erede. Alla vigilia del Giorno del ricordo, «istituito — come recita la legge n. 92 del 30 marzo 2004 — al fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra», Montanari ha pensato bene di organizzare a Siena un seminario dal titolo: «Uso politico della memoria e revanscismo fascista: la genesi del Giorno del ricordo». Nel presentare il convegno (in una sala semideserta), Montanari ha ribadito il carattere accademico dell’incontro («l’università non si schiera politicamente»), che in discussione non è la tragedia delle vicende ma il revanscismo fascista che ha portato all’istituzione della legge del 2004, e tuttavia (nonostante la qualità degli interventi) a nessuno sfugge il carattere di provocazione per ribadire, ancora una volta, come questa ricorrenza sia «una falsificazione storica» voluta dalle destre. Il Giorno del ricordo non è nato in evidente opposizione alla Giornata della memoria (della Shoah). Se alcuni faziosi lo fanno (e lo fanno), se ne assumano la responsabilità. Ma non esiste nessuna equiparazione fra i due eventi: la Shoah indica l’unicità di una tragedia senza paragoni. Le foibe sono un abisso, la voragine dell’inebetimento umano. Non paragonabili al calcolato progetto di genocidio dei nazisti ma pur sempre parte di quell’ideologia di purificazione etnica che imbianca tutti i sepolcri del mondo. La disinvoltura sul numero dei morti «costituisce — ha scritto Raoul Pupo — un ottimo trampolino di balzo per il negazionismo, che ha buon gioco nel denunciare esagerazioni e incongruenze e che nel facile risultato trova la spinta a mettere in discussione non solo la retorica rappresentazione, ma la sostanza dei fatti». La memoria va a corrente alternata? Memoria significa anche ricordare l’accoglienza riservata da molti italiani ai profughi. Come suggerisce Toni Concina, presidente dei Dalmati italiani nel mondo: «Vorremmo che la Nazione ricordasse con serietà e orgoglio i suoi 350.000 figli estirpati dalle loro terre e dimenticati per decenni.

E che si smetta di considerarla legata soltanto all’occupazione fascista! Basta leggere i censimenti austriaci dell’inizio ’900 e paragonarli con quelli croati di fine secolo per toccare con mano la sostituzione etnica effettuata sulla pelle di cittadini laboriosi e onesti, principali vittime delle conseguenze della sciagurata Seconda guerra mondiale».




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