lunedì 23 settembre 2019

In memoria di un patto scellerato


La risoluzione del Parlamento europeo sulla memoria del comunismo e del nazismo, con particolare riferimento alle responsabilità per lo scoppio della Seconda guerra mondiale, è stata approvata il 19 settembre ma la polemica è cresciuta con il passare delle ore, soprattutto attraverso i social. Perché – in diversi passaggi – il testo equipara i due regimi politici. E perché a votarlo è stato anche, con alcune eccezioni, il Partito democratico (insieme al gruppo dei Socialisti e democratici di cui è membro). Oltre al Ppe, in cui c’è anche Forza Italia, ai conservatori (con Fratelli d’Italia) e al gruppo Identità e democrazia, di cui fa parte la Lega. Il quotidiano il manifesto ha reagito pubblicando un editoriale indignato e sprezzante di Angelo d’Orsi. Forse l’argomento avrebbe meritato un approccio più equanime, come quello che si ritrova nello scritto di David Bidussa.



Angelo d’Orsi, Il mostro storico del «rovescismo» unisce il Pd e Orbán
La risoluzione del Parlamento europeo, fondata sulla equiparazione tra nazifascismo e comunismo, rappresenta insieme un mostro storico e una bestialità politica. Ma è anche una clamorosa conferma della superfluità “esistenziale” di questo organismo.
Se davvero si vuole una Europa unita, e se la si vuole come si dovrebbe, rifare a fundamentis, il Parlamento europeo sarà semplicemente da eliminare. Un gruppo di signori, godenti di privilegi, che hanno poco o nulla da fare nella vita, sono riusciti a formulare un testo basato su un modesto imparaticcio scolastico, senza capo né coda, un documento lunghissimo, farcito di premesse, di riferimenti interni alla legislazione eurounitaria, ma ahinoi, purtroppo, anche con una serie di ragguagli che pretendono di essere storici, ma sono un esempio di revisionismo ideologico all’ennesima potenza: insomma, il mai abbastanza vituperato «rovescismo», fase suprema del revisionismo, ed è il frutto finale di un lungo lavorio culturale, che dalle accademie è trapassato nel dibattito pubblico, tra giornalismo e politica professionistica.
Il rovescismo riesce a produrre esiti a cui il revisionismo tradizionale non ha avuto il coraggio di spingersi: questo documento è un esempio preclaro di questi esiti.
La linea di fondo, che il rovescismo ha raggiunto, e di cui in Italia abbiamo avuto numerose manifestazioni, è il rovesciamento della verità storica, sulla base di un equivoco parallelismo, che ha illustri precedenti nella filosofia politica, tra fascismo e comunismo, tra fascismo e antifascismo, tra partigiani e repubblichini (per concentrarsi sul nostro Paese): e questo sulla base della nefasta teoria delle memorie condivise, nel documento “europeo” riproposta al singolare, come fonte della “identità” del Continente, a cui l’organo legislativo di una sua parte, sebbene numerosa, pretende di sovrapporsi. L’Unione europea, sarà opportuno ricordare, non è l’Europa, e il Parlamento della Ue non esprime sentimenti, pensieri, sensibilità e, aggiungo, volontà, di alcune centinaia di milioni di cittadini e cittadine dei 27 Stati aderenti.
Ciò detto, la risoluzione, con temerario sprezzo della verità, attribuisce paritariamente la responsabilità della Seconda Guerra mondiale alla Germania nazista e alla Russia sovietica, e in particolare sarebbe la «conseguenza immediata» del Patto Ribbentrov-Molotov, e avendo sottolineato, di nuovo con un esempio di grottesca violenza alla realtà fattuale, che l’istanza unitaria nel Vecchio Continente nasce come risposta alla «tirannia nazista» e «all’espansione dei regimi totalitari e antidemocratici», si richiama alla legislazione di alcuni Paesi membri, che ha già provveduto a «vietare le ideologie comuniste e naziste», e invita gli Stati dell’Ue a prenderli ad esempio.
Curiosamente il documento di questi nuovi analfabeti della storia, usa l’espressione «revisionismo storico» per riferirsi esclusivamente al nazismo, e al progetto genocidario insito in esso, e presenta la posizione a cui si ispira come corretta e indubitabile, al punto da pretendere di diventare legge. E la proposta cui giunge questo mirabile esempio di menzogna storica, e insieme di miseria politica e di bassezza morale, quale è mai? La sollecitazione agli Stati membri a provvedere a condannare i «crimini dei regimi totalitari comunisti e dal regime nazista», e di conseguenza a «formulare una valutazione chiara», che traduca praticamente questa raccomandazione. Ossia, evitare la diffusione e la presenza e la circolazione nei relativi Paesi di ideologie e simboli che richiamino nazismo e comunismo.
Insomma, è una Europa polonizzata e magiarizzata e ucrainizzata: l’Europa che dimentica il ruolo fondamentale della Russia, a cui viene sì attribuito l’etichetta di Paese martire, ma non certo quello, confermato da ogni ricerca storica, di barriera al nazifascismo. E il documento, che pare ispirato direttamente da tedeschi polacchi e ungheresi, si apre a parole di dolce accoglienza nel seno della famiglia dell’Europa “democratica” dei Paesi liberatisi dal giogo sovietico. E, incredibilmente, si precisa: «adesione all’Ue e alla Nato», con una inaccettabile confusione di europeismo e atlantismo.
Ebbene, questo documento è stato approvato con i voti della destra di Orbán e soci, ma anche dei popolari e dei “socialisti”, ivi compresi gli esponenti del Pd. Che con questo atto ha segnato la sua definitiva fuoruscita dal campo della sinistra internazionale, ma altresì dal campo della decenza e della dignità.



David Bidussa
Forse nessuno come Victor Serge nelle sue Memorie di un rivoluzionario ha saputo descrivere in poche righe la rottura che si consuma il 22 agosto 1939, nel momento in cui si arriva alla firma del trattato Molotov-Ribbentrop, ovvero il patto tra Russia sovietica e Germania nazista. Riprendo le sue parole:
«Il 22 agosto (1939), Molotov e Ribbentrop firmavano improvvisamente al Cremlino, mentre le missioni militari britannica e francese deliberavano con Vorošilov in un edificio vicino, un patto di non aggressione decennale, che era in modo evidente un patto di aggressione contro la Polonia. Daladier ebbe il torto di sospendere la pubblicazione della stampa comunista: sarebbe stato curioso, dopo aver denunciato la «barbarie fascista», vederla denunciare le «plutocrazie imperialistiche. La stampa comunista illegale adottò subito questo nuovo linguaggio».
Da una parte un mondo politico che si trova complessivamente disorientato dalla doppiezza politica dell’Urss, dall’altra una caduta verticale di quel patto di intesa dell’antifascismo internazionale al cui interno il movimento comunista si era da sempre collocato e, soprattutto, si era dichiarato mettendo al centro – con la tattica del fronte popolare e poi con le scelte maturate a metà degli anni ’30 – la questione della difesa dei regimi democratici.
L’atto del 22 agosto segna una crisi irreversibile proprio in quel campo antifascista che, fino a quel momento, aveva vissuto il movimento comunista come l’alleato solido che nella lotta al fascismo non demorde. Quella scena stravolge convinzioni profonde, lacera amicizie e rapporti di fiducia, ma soprattutto certifica in maniera irreversibile un vero blocco emozionale. La sinistra europea e il mondo comunista non si trovano più associati, non solo rispetto alla difesa della democrazia, ma soprattutto su quella che debba essere la priorità di fronte alla minaccia sia di guerra sia di una possibile egemonia dei totalitarismi di destra nelle realtà governative europee. Per esempio, questo è quello che accade all’interno del socialismo italiano fuoriuscito. Il Psi, fino a quel momento egemonizzato da Pietro Nenni, convinto sostenitore dell’alleanza di fronte popolare, e perciò decisamente favorevole all’alleanza con il Partito comunista, e che ora deve cedere la direzione del partito a coloro che su quell’alleanza e su quella convergenza politica hanno sempre nutrito dubbi (Tasca, Faravelli, Modigliani).
Ma è anche la crisi che attraverso L’internazionale Operaia e Socialista, come testimonia il testo del rapporto sulla situazione politica all’Interno dell’IOS steso dal Segretario Friedrich Adler, nell’estate 1939 dichiara la crisi politica del socialismo internazionale. Per certi aspetti la seconda morte politica, dopo quella già avvenuta nei giorni dello scoppio della Prima guerra mondiale.
Per molti quella ferita politica, anche emozionale, in parte si riconnetterà con il rovesciamento delle alleanze nel 1941 e dunque con il ritorno anche dei comunisti nella lotta al fascismo come nemico principale che poi sfocerà nelle esperienze nazionali delle Resistenze.
Eppure quella crisi dell’agosto 1939, ha un significato molto più profondo e, per certi aspetti, ancora ci riguarda.
Il tema non è il tradimento o il passaggio a stendere accordi col nemico di ieri (una scena che in politica è avvenuta molte volte, anche in tempi recenti), ma rispetto a che cosa sentirsi leali e dunque considerare che valga la pena sacrificarsi, e dunque rinunciare a qualcosa della propria quotidianità in nome del bene collettivo. Molti hanno concentrato lo sguardo, e dunque riversato la propria disapprovazione, su un gesto politico messo in atto da un leader politico. Ha un suo senso, nonché una sua rilevanza. Ma forse a molti anni di distanza quello che principalmente si dovrà valutare è come per molti non avesse rilevanza un altro dato.
In quella scelta dell’Urss nel 1939, ha detto più volte Hobsbawm, i partiti comunisti occidentali riuscirono ad assorbire e a spiegare sulla base di elementi di razionalità, meglio di identità politica. In quella congiuntura, sottolinea lo storico inglese, fu infatti la memoria dell’Union sacrée e del nazionalismo cui si erano votati i partiti della Seconda Internazionale nell’agosto 1914, una causa che rimandava all’atto fondativo stesso dei partiti comunisti, a consentire la tenuta strutturale dei partiti. In breve in quella congiuntura, aderendo al senso politico del Patto russo-tedesco, i partiti comunisti rendevano indirettamente omaggio alla loro scelta di venti anni prima. Dunque, il tema era la questione della verità e della doppiezza: si è disposti a sottoscrivere il patto anche con il proprio avversario radicale, in nome della coerenza, del non venir meno alla critica ai fondamenti politici e culturali del sistema che si vuole abolire o contribuire a distruggere.
Ciò che, invece, non matura è la dimensione dell’interesse generale. Ovvero di saper andare oltre se stessi per vedere un tema di rilevanza pubblica. Ovvero di essere parte dello sviluppo.
Quello stesso meccanismo che nel 1939 esprime il dato di solidarietà (complessivamente non molti se ne andarono dai partiti comunisti) si manifesta apertamente nel 1956, quando di fronte alle rivelazioni del Rapporto Kruscev, l’esodo dai partiti comunisti fu più consistente, tanto da parlare di una crisi che obbligava a ripensarsi. Perché ciò che comunicava il Rapporto Khruscev era appunto la mancanza di verità e dunque la sfera delle convinzioni.
Anche per questo la data del 22 agosto 1939, alla fine, non ha mai dato luogo a una riflessione collettiva, né è entrata nella memoria di chi ruppe il patto antifascista.
È rimasta nella memoria come una mossa scaltra e come la scelta di solitudine di alcuni esponenti e militanti. Nella realtà italiana Leo Valiani, per esempio; in quella francese, Paul Nizan.
È significativo che a riscoprire la parabola politica di Nizan, compresa la sua uscita clamorosa dal Pcf per protestare contro l’appoggio e la difesa del Patto Molotov-Ribbentrop da parte della stragrande maggioranza degli iscritti, sia riproposta molto tempo dopo, nel 1960. Ed è significativo che la voce capace di promuovere la sua figura sia Jean-Paul Sartre (di nuovo allora con una replica del Pcf alquanto supponente e liquidatoria). Fare i conti con quella figura politica e culturale, controversa e inquieta, infatti non voleva dire solo riconsiderare la scena dell’agosto 1939, a prendere in carica la scena della morte di Nizan, morto “in esilio” sulla spiaggia di Dunkerque nel maggio 1940, con le «spalle rivolte al mare», insieme a ciò che rimaneva dell’esercito francese e delle truppe inglesi, mentre la maggior parte dei suoi ex-compagni di partito arrivano persino a gioire dell’ingresso delle truppe del Reich a Parigi a fine giugno 1940 e”L’Humanité” faceva richiesta pubblica e formale di riprendere le pubblicazioni (a fine giugno 1940) confidando nella benevolenza del governo nazista, in nome della propria “indifferenza” alla caduta della Francia.
http://fondazionefeltrinelli.it/22-agosto-1939-il-patto-molotov-ribbentrop/

1 commento:

  1. Ma avete letto davvero il testo del parlamento europeo? In quello che ho letto sul sito del medesimo parlamento dove mai c'è scritto che nazismo e comunismo sono uguali o equiparabili... è curioso che studiosi che si basano sulle "fonti" non vogliano perdere tempo a leggere un testo su cui si sta scatenando una canea da veterocomunisti difficilmente comprensibile (qualcuno ha scritto che il Gulag era come le fabbriche della rivoluzione industriale!!!). L'unico giudizio "storico" che il testo dà (e poteva spiegarlo meglio o trattarlo come il resto sul terreno della "memoria" e non della storia) riguarda il patto russo-tedesco come causa ravvicinata della seconda guerra mondiale: cosa che del resto è in parte vera... ma non andava detta perché un parlamento non dà giudizi sulla storia. Per il resto si richiama costantemente alla necessità di una memoria (per le vittime, contro le violenze, ecc)

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