martedì 13 agosto 2024

La parabola di Putin

 


 

 Anna Zafesova, Il mito spezzato, La Stampa, 13 agosto 2024


Il 12 agosto 2000, il sottomarino atomico che portava il nome della città nel Sud-Ovest della Russia era affondato dopo l'esplosione di un siluro difettoso sparato durante un'esercitazione nel mare di Barents. Tutti i 118 uomini a bordo morirono, la maggioranza sul colpo, una trentina dopo aver atteso invano i soccorsi. Gli ammiragli della marina militare prima avevano negato l'incidente, poi avevano dichiarato che era stato causato da una collisione con un sommergibile americano, infine annunciarono che non c'erano sopravvissuti e che non era possibile raggiungere il sottomarino. Vladimir Putin, all'epoca neo presidente che volava nei sondaggi, venne informato solo dopo qualche giorno, e decise di non interrompere le vacanze sul Mar Nero. Solo dopo una settimana di indignazione - all'epoca la Russia possedeva ancora una stampa e una televisione relativamente liberi - il capo del Cremlino accettò l'assistenza occidentale rifiutata dai suoi militari: i sommozzatori norvegesi raggiunsero il relitto in poche ore, troppo tardi per recuperare i superstiti. La tragedia del "Kursk" era apparsa come un simbolo del disastro russo: armi difettose, dispositivi di soccorso arrugginiti, tecnologie arretrate, soldati sottopagati e generali bugiardi, ansiosi di compiacere un presidente le cui ambizioni di rivincita "geopolitica" avevano messo sotto sforzo eccessivo una marina, e più in generale un Paese, molto più fragile di quello che voleva apparire.
Quasi un quarto di secolo dopo, gli ingredienti fatali sono ancora gli stessi. I volti dei soldati russi che a decine (gli ucraini sostengono a centinaia) si fanno catturare dalle truppe di Kyiv, inclusi i tanto pubblicizzati giannizzeri ceceni che nei video sul web chiedono di venire salvati dal loro leader, Ramzan Kadyrov. Le immagini dei soldati ucraini che scorrazzano per le vie deserte di Sudzha e altre cittadine russe, senza che si vedano segni di una battaglia, mentre i comunicati del ministero della Difesa russo affermano di aver respinto, liquidato, sterminato e messo in fuga. Le migliaia di civili russi in fuga, che lamentano la totale assenza di assistenza e indicazioni dalle autorità, mentre Putin interrompe bruscamente il governatore di Kursk che comincia a riferire di 28 centri abitati già occupati dagli ucraini (secondo Kyiv, sono già 44). Gli "inviati di guerra" della propaganda russa che sui loro blog si interrogano sull'assenza di campi minati e fortificazioni al confine, e si chiedono come mai lo spionaggio non si fosse accorto dei preparativi degli ucraini all'affondo (ma tra i commentatori moscoviti gira voce che in realtà sia stato il capo dello Stato Maggiore russo Valery Gerasimov, il presunto autore della tanto pubblicizzata quanto inesistente dottrina della "guerra ibrida", ad aver scartato come impossibili le informazioni dell'intelligence, e non aver riferito a Putin notizie che l'avrebbero infastidito). I talk show che mostrano propagandisti pronti a bombardare Washington, mentre sui social girano filmati di sorridenti babushke dei villaggi di Kursk che chiedono passaggi ai blindati ucraini. Il silenzio imbarazzato del presidente, che appare in pubblico una settimana dopo l'attacco, per rassicurare i russi con un racconto chiaramente lontano dalla realtà, e resta il dubbio che non stia facendo buon viso a pessimo gioco, ma che abiti veramente in un mondo parallelo creato dalla sua "verticale di potere".
La Russia in panne che emerge dall'attacco ucraino a Kursk ricorda tragicamente quella svelata dall'affondamento del sottomarino più moderno della flotta di Putin, 24 anni fa [12 agosto 2020]. Con due differenze. La prima è una censura che manipola totalmente le informazioni elargite ai russi. La seconda è che, nell'agosto 2000, dopo giorni di silenzi e bugie, Putin aveva recuperato accusando i suoi predecessori, e promettendo di dedicarsi a restituire alla Russia la sua grandezza militare. Cinque mandati presidenziali dopo, la responsabilità è sua. Il mito della potenza è spezzato, mentre l'Ucraina sta riassaporando la fiducia nella vittoria, tornando a interpretare il suo ruolo di Davide che ridicolizza Golia. Questa è  una guerra mediatica, nella quale le truppe vengono mandate a combattere non solo per una altura o per uno snodo ferroviario, ma anche per conquistare un titolo di telegiornale. E, a prescindere da come finirà, il suo scopo è già stato raggiunto.

 https://www.lemonde.fr/international/article/2024/08/13/moscou-sidere-par-la-premiere-incursion-militaire-etrangere-sur-le-sol-russe-depuis-1945_6279235_3210.html



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