Il rastrellamento in corso porta gli animali domestici a invadere il bosco. Allo smarrimento del soldato tedesco, pure abituato alla vita in campagna, corrisponde il trionfo del contadino, pessimo cacciatore, Giuà Dei Fichi.
Italo Calvino, Il bosco degli animali, l'Unità edizione piemontese 20 aprile 1948
I
giorni di rastrellamento, al bosco sembra che ci sia la fiera. Tra i
cespugli e gli alberi fuori dai sentieri è un continuo passare di
famiglie che spingono la mucca od il vitello, e vecchie con la capra
legata a una corda, e bambine con l’oca sotto il braccio. C’è chi
addirittura scappa coi conigli.
Da ogni parte si vada, più i castagni son fitti, più si incontrano panciuti bovi e scampananti
mucche
che non sanno come muoversi per quei dirupati pendii. Meglio ci si
trovano le capre, ma i più contenti sono i muli che una volta tanto
posson muoversi scarichi, brucando cortecce per i viottoli. I maiali
vanno per grufolare in terra e si pungono coi ricci tutto il grugno; le
galline s’appollaiano sugli alberi e fanno paura agli scoiattoli; i
conigli che in secoli di stalla hanno disimparato a scavar tane, non
trovano di meglio che cacciarsi dentro il cavo degli alberi. Alle volte
s’incontrano coi ghiri che li mordono.
Quella mattina il contadino
Giuà Dei Fichi, stava facendo legna in un remoto angolo del bosco. Non
sapeva nulla di quel che succedeva al paese, perché n’era partito la
sera del giorno prima con l’intento d’andare per funghi la mattina
presto e aveva dormito in un casolare in mezzo al bosco, che serviva,
d’autunno, a essiccare le castagne.
Perciò mentre menava colpi
d’accetta contro un tronco morto, fu sorpreso a sentire, lontano e
vicino per il bosco, un vago rintoccare di campani. S’interruppe e udì
delle voci avvicinarsi. Gridò: Ooo-u!
Giuà Dei Fichi era un ometto basso e tondo, con una faccia da luna piena nerastra di pelo e
rubizza
di vino, portava un verde cappello a pan di zucchero con una penna di
fagiano, una camicia a grandi pallini gialli sotto il gilecco di
fustagno, e una sciarpa rossa intorno alla pancia a pallone per
sostenergli i pantaloni pieni di toppe turchine.
- Ooo-u! - gli
risposero e apparve tra le rocce verdi di licheni un contadino coi baffi
e il cappello di paglia, suo compare, che si portava dietro un caprone
dalla barba bianca.
- Cosa fai qui, Giuà, - gli disse il compare, - sono arrivati i tedeschi al paese e girano tutte le
stalle!
- Ohimè di me! - gridò Giuà Dei Fichi. - Troveranno la mia mucca Coccinella e la porteranno
via!
-
Corri che forse fai ancora in tempo a nasconderla, - lo consigliò il
compare. - Noi abbiamo visto la colonna che saliva in fondovalle e siamo
subito scappati. Ma può darsi che ancora non siano arrivati a casa tua.
Giuà lasciò legna, accetta e cestino dei funghi e corse via.
Correndo
per il bosco s’imbatteva in file d’anatre che gli scappavano
starnazzando di tra i piedi, e in greggi di pecore che marciavano
compatte fianco a fianco senza lasciargli il passo, e in ragazzi e in
vecchine che gli gridavano: - Sono arrivati già alla Madonnetta! Stanno
frugando le case sopra il ponte! Li ho visti girare la svolta prima del
paese! - Giuà Dei Fichi s’affrettava con le corte gambe, rotolando come
una palla giù per i pendii, guadagnando le salite a cuore in gola. Corri
e corri, arrivò a un gomito di costone donde s’apriva la vista del
paese. C’era un gran spaziare d’aria mattiniera e tenera, uno sfumato
circondario di montagne, e in mezzo il paese di case ossute e
accatastate tutte pietre e ardesia. E nell’aria tesa veniva dal paese un
gridare tedesco e un battere di pugni contro porte.
«Ohimè di me! ci sono già i tedeschi nelle case!»
Giuà
Dei Fichi tremava tutto nelle braccia e nelle gambe: un po’ di tremito
ce l’aveva di natura per via del bere, un po’ gli veniva adesso a
pensare alla mucca Coccinella, unico suo bene al mondo, che stava per
venir portata via.
Quatto quatto, tagliando per i campi, tenendosi al coperto dietro i filari delle vigne, Giuà Dei
Fichi
s’avvicinò al paese. La sua casa era una delle ultime ed esterne, là
dove il paese si perdeva negli orti, in mezzo a un dilagar verde di
zucche: poteva darsi che i tedeschi non fossero arrivati ancora lì. Giuà
facendo capolino dai cantoni cominciò a scivolare nel paese. Vide una
strada vuota coi consueti odori di fieno e di stallino, e questi nuovi
rumori che venivano dal centro del paese: voci disumane e passi ferrati.
La sua casa era lì: ancora chiusa. Era chiusa sia la porta della stalla
a pianterreno sia quella delle stanze, in cima alla consunta scala
esterna, tra cespi di basilico piantati dentro pentole di terra. Una
voce dall’interno della stalla disse: - Muuuuuu.. - Era la mucca
Coccinella che riconosceva l’avvicinarsi del padrone. Giuà si rimescolò
di contentezza.
Ma ecco che sotto un archivolto si sentì rimbombare
un passo umano: Giuà si nascose nel vano di una porta tirando indietro
la pancia rotonda. Era un tedesco dall’aria contadina, coi polsi e il
collo allampanati che sporgevano dalla corta giubba, le gambe lunghe
lunghe e un fucilaccio lungo quanto lui. S’era allontanato dai compagni
per veder di cacciare qualcosa per suo conto; e anche perché le cose e
gli odori del paese gli ricordavano cose e odori noti. Così andava
fiutando l’aria e guardando intorno con una gialla faccia porcina sotto
la visiera dello schiacciato cheppì. In quella Coccinella disse: -
Muuuu... - Non capiva come mai il padrone non arrivasse ancora. Il
tedesco ebbe un guizzo in quei suoi panni striminziti e si diresse
subito alla stalla; Giuà Dei Fichi non respirava più.
Vide il tedesco che s’accaniva a dar calci alla porta: presto l’avrebbe sfondata, di sicuro. Giuà
allora
scantonò e passò dietro la casa, andò al fienile e prese a rovistare
sotto il fieno. C’era nascosta la sua vecchia doppietta da caccia, con
una fornita cartuccera. Giuà caricò il fucile con due pallottole da
cinghiale, si cinse la pancia con la cartuccera e quatto quatto, a
fucile spianato, andò a appostarsi all’uscita della stalla. Già il
tedesco stava uscendo tirandosi dietro Coccinella legata ad una fune.
Era una bella mucca rossa a macchie nere e perciò si chiamava
Coccinella. Era una mucca giovane, affettuosa e puntigliosa: ora non
voleva lasciarsi portar via da quest’uomo sconosciuto, e s’impuntava; il
tedesco la doveva spinger via per il garrese.
Nascosto dietro un
muro Giuà Dei Fichi mirò. Ora bisogna sapere che Giuà era il cacciatore
più schiappino del paese. Non era mai riuscito a centrare, manco per
sbaglio, non dico una lepre ma nemmeno uno scoiattolo. Quando sparava ai
tordi al fermo, quelli manco si muovevano dal ramo. Nessuno voleva
andare a caccia con lui perché impallinava il sedere dei compagni. Non
aveva mira e gli tremavano le mani. Figuriamoci adesso, tutto emozionato
com’era!
Puntava, ma le mani gli tremavano e la bocca della
doppietta continuava a girare in aria. Faceva per mirare al cuore del
tedesco e subito gli appariva il sedere della mucca sul mirino. «Ohimè
di me! - pensava Giuà, - e se sparo al tedesco e uccido Coccinella?» E
non s’azzardava a tirare.
Il tedesco s’avanzava a stento con questa mucca che sentiva la vicinanza del padrone e non si
lasciava trascinare. S’accorse a un tratto che i suoi commilitoni avevano già sgombrato il paese e scendevano per lo stradone.
Il
tedesco s’accinse a raggiungerli con quella testarda mucca dietro.
Adesso riusciva più facile a Giuà tenergli dietro nascondendosi tra i
tronchi. E forse ora il tedesco avrebbe proceduto più discosto dalla
nucca, in modo che fosse possibile tirargli.
Una volta nel bosco
Coccinella parve perdere la riluttanza a muoversi, anzi, poiché il
tedesco tra quei viottoli si raccapezzava poco, era lei a guidarlo e a
decidere nei bivi. Non passò molto e il tedesco s’accorse che non era
sulla scorciatoia dello stradone ma in mezzo al bosco fitto: in una
parola s’era smarrito insieme a quella mucca.
Graffiandosi il naso nei roveti e finendo a piè pari nei ruscelli Giuà Dei Fichi gli teneva dietro,
tra
frulli di scriccioli che prendevano il volo e sgusciar di ranocchi dei
pantani. Prendere la mira in mezzo agli alberi era ancor più difficile, a
farla passare attraverso tanti ostacoli e con quella groppa rossa e
nera tanto estesa che gli si parava sempre sotto gli occhi.
Il tedesco già guardava con paura il bosco fitto, e studiava come poteva fare a uscirne, quando
udì
un fruscio in un cespuglio di corbezzoli e sbucò fuori un bel maiale
rosa. Mollò la corda della mucca e si mise dietro al maiale. Coccinella
appena si vide libera s’inoltrò trotterellando per il bosco, che sentiva
pullulare di presenze amiche.
Per Giuà era venuto il momento di sparare. Il tedesco s’affaccendava intorno al porco,
l’abbracciava per tenerlo fermo, ma quello gli sgusciava via.
Il tedesco rotolava contro pietre e cespugli con quel maiale tra le braccia che si dibatteva e
gridava:
- Ghiii... ghiii... ghiii... - A un tratto ai gridi del maiale rispose
un - Bee‚... - e da una grottauscì un agnellino. Il tedesco lasciò
scappare il porco e si mise dietro all’agnellino. Strano bosco, pensava,
con maiali nei cespugli e agnelli nelle tane. E acchiappato per una
zampa l’agnellino che belava a perdifiato se lo issò in spalla come il
Buon Pastore, ed andò via. Giuà Dei Fichi lo seguiva quatto quatto.
“Stavolta non scappa. Stavolta c’è”, diceva.
Il tedesco andando per
il bosco faceva scoperte da restar a bocca aperta: pulcini sopra gli
alberi, porcellini d’India che facevano capolino dal cavo dei tronchi.
C’era tutta l’arca di Noè. Ecco che su un ramo di pino vide posato un
tacchino che faceva la ruota. Subito, alzò la mano per pigliarlo, ma il
tacchino, con un piccolo salto, andò ad appollaiarsi su un ramo del
palco più alto, sempre continuando a far la ruota. Il tedesco, lasciando
l’agnello, cominciò ad arrampicarsi su quel pino. Ma ogni palco di rami
che lui saliva, il tacchino andava su d’un altro palco, senza
scomporsi, impettito e coi penduli bargigli fiammeggianti. Giuà avanzava
sotto l’albero con un ramo frondoso sulla testa, altri due sulle spalle
e uno legato alla canna del fucile.
Il tedesco salendo era arrivato ai rami più sottili, finché uno non gli si spezzò sotto i piedi e lui
cascò.
Per poco non finì addosso a Giuà Dei Fichi, che questa volta ebbe
occhio e scappò via. Ma lasciò per terra tutti i rami che lo
nascondevano, così il tedesco cadde sul morbido e non si fece niente.
Il
bosco era tutto muggiti e belati e coccodè.: a ogni passo si facevano
nuove scoperte d'animali: un pappagallo su un ramo d'agrifoglio, tre
pesci rossi sguazzanti in una polla.
Alla fine il tedesco era
arrivato in un posto tutte pietre grigie, rose da licheni azzurri e
verdi. Cadde e vide una lepre sul sentiero. Ma non era una lepre: era
panciuta e ovale e sentendo
rumore non scappò, ma s’appiattì per terra. Era un coniglio e il tedesco lo prese per gli orecchi.
Avanzava
così col coniglio che squittiva e si contorceva in tutti i sensi e lui
era costretto per non farselo scappare a saltare in qua e in là col
braccio alzato. Il bosco era tutto muggiti e belati e coccodé: a ogni
passo si facevano nuove scoperte d’animali: un pappagallo su un ramo
d’agrifoglio, tre pesci rossi sguazzanti in una polla.
Alla fine il
tedesco era arrivato a un posto tutte pietre grige, ròse da licheni
azzurri e verdi. Solo pochi pini scheletriti crescevano intorno, e
vicino s’apriva un precipizio. Nel tappeto d’aghi di pino che giaceva in
terra, stava razzolando una gallina. Il tedesco fece per rincorrere la
gallina e il coniglio gli scappò.
Era la gallina più magra, vecchia e
spennacchiata che mai si fosse vista. Apparteneva a Girumina, la
vecchia più povera del paese. Il tedesco l’ebbe presto tra le mani.
Giuà s’era appostato in cima a quelle roccie e aveva costruito un piedestallo di pietre per il suo
fucile.
Anzi aveva messo su proprio la facciata d’un fortino, con solo una
stretta feritoia per far passare la canna del fucile. Adesso poteva
sparare senza scrupoli, ché se anche ammazzava quella gallina
spennacchiata era mal di poco.
Ma ecco che la vecchia Girumina,
raggomitolata in scialli neri e cenciosi, lo raggiunse e gli fece questo
ragionamento: "Giuà, che i tedeschi mi portino via la gallina, unica
cosa che mi resti al mondo, è già triste. Ma che sia tu che me l’ammazzi
a fucilate è più triste ancora".
Giuà riprese a tremare più di prima, per la gran responsabilità che gli toccava. Pure si fece forza e schiacciò il grilletto.
Il
tedesco sentì lo sparo e vide la gallina che gli starnazzava in mano
restare senza coda. Poi un altro colpo, e la gallina restare senza
un’ala. Era una gallina stregata, che esplodeva ogni tanto e gli si
consumava in mano? Un altro scoppio e la gallina fu completamente
spennata, pronta per andare arrosto, e pure continuava a starnazzare. Il
tedesco che cominciava a esser preso dal terrore la teneva per il collo
discosta da sé. Una quarta cartuccia di Giuà le troncò il collo proprio
sotto la sua mano e lui rimase con la testa in mano che si muoveva
ancora. Buttò via tutto e scappò via. Ma non trovava più sentieri.
Vicino a lui s’apriva quel roccioso precipizio. Ultimo albero prima del
precipizio era un carrubo e sui rami del carrubo il tedesco vide rampare
un grosso gatto.
Ormai non si stupiva più di vedere animali domestici sparsi per il bosco e avanzò la mano per
accarezzare il gatto. Lo prese per la collottola e sperava di consolarsi a sentirlo far le fusa.
Ora bisogna sapere che quel bosco era da tempo infestato da un feroce gatto selvatico che
uccideva
i volatili e talvolta si spingeva fino al paese nei pollai. Così il
tedesco che credeva di sentir fare ronron, si vide precipitare il felino
contro a pelo dritto e arruffato e sentì le sue unghie farlo a brani.
Nella zuffa che seguì l’uomo e la belva rotolarono ambedue nel
precipizio.
Fu così che Giuà, tiratore schiappino, fu festeggiato come il più grande partigiano e cacciatore
del paese. Alla povera Girumina fu comprata una covata di pulcini a spese della comunità.
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