Giosuè Carducci, La leggenda di Teodorico, Rime nuove 1906, poesia numero LXXVI
Su 'l castello di Verona Batte il sole a mezzogiorno, Da la Chiusa al pian rintrona Solitario un suon di corno, Mormorando per l'aprico Verde il grande Adige va; Ed il re Teodorico Vecchio e triste al bagno sta. Pensa il dí che a Tulna ei venne Di Crimilde nel conspetto E il cozzar di mille antenne Ne la sala del banchetto, Quando il ferro d'Ildebrando Su la donna si calò E dal funere nefando Egli solo ritornò. Guarda il sole sfolgorante E il chiaro Adige che corre, Guarda un falco roteante Sovra i merli de la torre; Guarda i monti da cui scese La sua forte gioventú, Ed il bel verde paese Che da lui conquiso fu. Il gridar d'un damigello Risonò fuor de la chiostra: — Sire, un cervo mai sí bello Non si vide a l'età nostra. Egli ha i pié d'acciaro a smalto, Ha le corna tutte d'òr. — Fuor de l'acque diede un salto Il vegliardo cacciator. — I miei cani, il mio morello, Il mio spiedo — egli chiedea; E il lenzuol quasi un mantello A le membra si avvolgea. I donzelli ivano. In tanto Il bel cervo disparí, E d'un tratto al re da canto Un corsier nero nitrí. Nero come un corbo vecchio, E ne gli occhi avea carboni. Era pronto l'apparecchio, Ed il re balzò in arcioni. Ma i suoi veltri ebber timore E si misero a guair, E guardarono il signore E no 'l vollero seguir. In quel mezzo il caval nero Spiccò via come uno strale E lontan d'ogni sentiero Ora scende e ora sale: Via e via e via e via, Valli e monti esso varcò. Il re scendere vorría, Ma staccar non se ne può. Il più vecchio ed il più fido Lo seguía de' suoi scudieri, E mettea d'angoscia un grido Per gl'incogniti sentieri: — O gentil re de gli Amali, Ti seguii ne' tuoi be' dí, Ti seguii tra lance e strali, Ma non corsi mai cosí. Teodorico di Verona, Dove vai tanto di fretta? Tornerem, sacra corona, A la casa che ci aspetta? — — Mala bestia è questa mia, Mal cavallo mi toccò: Sol la Vergine Maria Sa quand'io ritornerò. — Altre cure su nel cielo Ha la Vergine Maria: Sotto il grande azzurro velo Ella i martiri covría, Ella i martiri accoglieva De la patria e de la fé; E terribile scendeva Dio su 'l capo al goto re. Via e via su balzi e grotte Va il cavallo al fren ribelle: Ei s'immerge ne la notte, Ei s'aderge in vèr' le stelle. Ecco, il dorso d'Appennino Fra le tenebre scompar, E nel pallido mattino Mugghia a basso il tosco mar. Ecco Lipari, la reggia Di Vulcano ardua che fuma E tra i bòmbiti lampeggia De l'ardor che la consuma: Quivi giunto il caval nero Contro il ciel forte springò Annitrendo; e il cavaliero Nel cratere inabissò. Ma dal calabro confine Che mai sorge in vetta al monte? Non è il sole, è un bianco crine; Non è il sole, è un'ampia fronte Sanguinosa, in un sorriso Di martirio e di splendor: Di Boezio è il santo viso, Del romano senator.
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