giovedì 23 dicembre 2021

Draghi, il braccio di ferro


 

Come era prevedibile, Mario Draghi ha parlato. Si è pronunciato sulla eventualità di una sua elezione a presidente della Repubblica. Si è detto disponibile. Ha aggiunto di voler agire in modo tale da consentire una prosecuzione della legislatura. Ha infine indicato un percorso. La Lega dovrebbe votare per lui fin dall'inizio, altrimenti ci sarebbe una spaccatura nella maggioranza di governo. Fratelli d'Italia potrebbe a sua volta convergere sul nome del candidato sostenuto dall'attuale maggioranza di governo. E il gioco sarebbe fatto. Senza dar luogo a un semipresidenzialismo di fatto, in quanto lo stesso Draghi intenderebbe essere soltanto un garante.
Quello che Draghi chiede di ottenere non rappresenta un mutamento di poco conto nell'attuale configurazione del sistema politico italiano. Lega e Fratelli d'Italia dovrebbero voltare le spalle a Berlusconi con il risultato di portare la rappresentanza parlamentare della destra a un livello molto più basso di quello attuale. Potremmo avere per questa via una sorta di presidenzialismo suppletivo, al di là delle intenzioni espresse da singole forze o persone.
Insomma Draghi pur esaltando l'importanza dei partiti potrebbe trovarsi a svolgere un ruolo di assoluta preminenza rispetto ai partiti. Non è detto che vi sia una docile sottomissione delle varie forze politiche a un destino simile. Molto dipende da come si muoveranno Fratelli d'Italia e la Lega. La partita resta aperta, come sembra incline a pensare anche Alessandro Sallusti in un editoriale che tiene nel debito conto tutte le novità delle ultime ore. 

Alessandro Sallusti, Parte la corsa per il Quirinale, Libero, 23 dicembre 2021.

Mario Draghi si candida di fatto a Presidente della Repubblica facendo una affermazione («questo governo può andare avanti indipendentemente da chi lo guiderà») e ricorrendo a una metafora: «Io sono un nonno al servizio delle istituzioni». E ciò accade proprio nel giorno in cui diventa pubblica la notizia, data dal settimanale Chi, che Silvio Berlusconi è diventato per la prima volta bisnonno essendo nata Olivia, figlia della figlia che Piersilvio ha avuto da una relazione giovanile. Nonno Mario contro bisnonno Silvio (al Cavaliere piace sempre stare un passo avanti a chiunque in qualsiasi campo) non è solo una divertente coincidenza di notizie parentali ma il primo nodo politico da sciogliere nella corsa al Quirinale. Perché fino a che Berlusconi rimarrà in campo, sia pure non ufficialmente, per contarsi alla quarta votazione quirinalizia a maggioranza semplice è difficile che Lega e Fratelli d’Italia convergano su Mario Draghi nei primi tre scrutini che richiedono una maggioranza dei due terzi, pena una spaccatura probabilmente irreparabile con Berlusconi e Forza Italia.

Per essere ancora più chiaro, ieri sera bisnonno Berlusconi ha ribadito che a suo avviso nonno Draghi deve restare a Palazzo Chigi fino al termine della legislatura nel 2023, respingendo di fatto l’autocandidatura al Quirinale dell’attuale premier. Del resto tra i due è in corso una guerra a distanza: in mattinata Draghi, rispondendo a una domanda sulla possibilità che Berlusconi salga al Colle, aveva risposto scocciato: «Non sta a me dare valutazioni».

Ci siamo, insomma. Al tavolo dove si gioca la partita per la sostituzione di Sergio Mattarella i giocatori calano le prime carte, che non sono ancora i jolly ma qualche strategia si comincia a vedere. Partita complicata perché per la prima volta nella storia della Repubblica uno dei candidato eccellenti, Mario Draghi, è anche Presidente del Consiglio in carica. Non essendo previsto il doppio incarico – osservazione stupida ma per dire che anche le emergenze hanno dei limiti invalicabili in democrazia - che ne sarà del governo Draghi dopo Draghi se Draghi dovesse traslocare? «Si può andare avanti senza di me e con la stessa maggioranza di oggi, il lavoro è ben avviato», ha minimizzato ieri il premier per tranquillizzare il Parlamento sul fatto che con lui al Colle la legislatura potrà tranquillamente continuare. Ma Draghi immagino sappia che dicendo questo la fa un po’ troppo semplice, che va bene la stima e la fiducia nei suoi confronti ma che potere, ambizioni e appetiti sono altra cosa, tanto che il suo discorso è stato accolto con garbata freddezza da un po’ tutti i partiti poco disposti ad accettare soluzioni preconfezionate e per di più a scatola chiusa. Nessun patto e nessun annuncio possono garantire che via Draghi da Palazzo Chigi tutto continuerà come se nulla fosse. Non dico che ciò è impossibile, penso che oggi non ci siano le condizione perché accada tante sono le tensioni e le divergenze tra i partiti che compongono la maggioranza. E poi chi dovrebbe essere il suo successore alla guida del governo? Un politico puro lo escluderei e per questo non credo alle ipotesi che circolano in queste ore sui nomi di Giorgetti o Brunetta (ma anche di chiunque altro). Un tecnico? Dopo Draghi, chiunque sarebbe una scelta al ribasso non accettabile dai partiti poco disposti a ulteriori, per di più gratuite, cessione di potere.

Ed ecco che allora si torna al punto di partenza: tenere insieme le tre ipotesi care a Draghi, cioè lui al Quirinale, avanti con la stessa maggioranza e quindi niente elezioni anticipate è davvero dura. Come è dura per Matteo Salvini e Giorgia Meloni non sostenere fino in fondo, o quantomeno fino all’ultimo minuto possibile, la candidatura di Silvio Berlusconi primo presidente di centrodestra. Al momento quindi è una guerra di nervi tra nonno Mario e bisnonno Silvio. Gli altri, nipotini naturali o acquisiti, tutti a guardare e ad aspettare il primo passo falso di uno dei due.







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