lunedì 27 dicembre 2021

Draghi alla resa dei conti

 


 

Gad Lerner, Governissimo dell'irrealtà, Il Fatto Quotidiano, 24 dicembre 2021

Per i disorientati laudatori dello status quo, secondo i quali non può esistere governo migliore di quello in carica, l’optimum sarebbe revocare la separazione dei poteri prevista dalla Costituzione e consentire a Draghi il cumulo delle cariche: presidente della Repubblica (con annessa sovrintendenza su Forze Armate e Magistratura), presidente del Consiglio dei ministri e in sovrappiù – perché no, visto il suo curriculum? – magari anche Governatore della Banca d’italia. Un’ipotesi, com’è noto, già accarezzata dai fedelissimi Giorgetti e Brunetta che per primi lo hanno pubblicamente candidato al Quirinale. Peccato che la cura tecnocratica, escogitata per “salvare” l’italia dal disfacimento della politica parlamentare, debba fare i conti con l’ostacolo rappresentato dalle nostre regole costituzionali.

E poi ci sarebbe il suffragio universale, altro fastidioso intralcio. Si può tenere duro fino al 2023, non oltre. Vero è che la pandemia Covid è già servita un paio di volte come pretesto per rinviare elezioni regionali e comunali. Ma è impensabile che basti la variante Omicron a posticipare la scadenza del mandato di Mattarella.

O a congelare i pericolanti assetti emergenziali di unità nazionale che martedì Draghi ha voluto svincolare dalla sua persona.


Neanche i più entusiasti ammiratori di Supermario hanno finto di prenderlo sul serio quando egli ha dichiarato il suo “missione compiuta”. Hanno assistito con disagio all’incepparsi della sua azione di governo, dacché le opposte visioni dei partiti lo hanno costretto a rinviare o annacquare o rimangiarsi buona parte delle riforme pattuite con Bruxelles. Solo sulla giustizia, col M5S recalcitrante, lo hanno incoraggiato a forzare la mano. Da lì in avanti, lo hanno frenato, costringendolo a temporeggiare. Draghi ha capito di non poter più combinare molto a Palazzo Chigi e ha deciso di sfidare anche l’istinto proprietario di Berlusconi – che l’ha fatto accusare di diserzione dai suoi scherani – ritenendosi più adatto al ruolo di garante sul Colle più alto.

Spiace per i fautori della cura tecnocratica, spiazzati dal loro paladino, ma la politica si sta prendendo la rivincita. Per adempiere alla richiesta di Draghi, e cioè far propria la prospettiva di lungo periodo del governissimo con tutti dentro, Letta, Conte, Speranza e Salvini dovrebbero ripudiare la missione che si sono dati di fronte ai loro militanti e all’elettorato. Non un rospo da ingoiare momentaneamente, bensì un vero e proprio annullamento.

Per questo la candidatura di Draghi al Quirinale segna piuttosto la fine di una breve stagione che non l’inaugurazione di un’era nuova. La pretesa di investire Draghi del ruolo simultaneo di esecutore e garante, in una prolungata sospensione della politica, risuona come un periodo ipotetico dell’irrealtà. Velleitaria. Il governissimo che sognano è una creatura di fantasia che piacerebbe, certo, all’establishment nostrano e internazionale, ma richiederebbe il rinvio sine die di ogni campagna elettorale.

Tra le conseguenze nefaste del culto della personalità di Draghi e delle sue decantate virtù salvifiche, c’è anche la falsa illusione propagata nell’opinione pubblica secondo cui per risolvere i problemi dell’italia ci vuole un “uomo forte”, distaccato dalle piccinerie della politica.

Non stupisce che in questo clima i sondaggi registrino un favore crescente per una riforma presidenzialista, cavalcata entusiasticamente dalla Meloni, ma contraria allo spirito della nostra Costituzione. L’esatto opposto della scelta di Mattarella che, escludendo la propria ricandidatura, segnala la necessità di un ricambio fisiologico al vertice delle istituzioni, indice di salute dei sistemi democratici capaci di rispettare nonni e bisnonni (quando meritano rispetto) ma anche di rimpiazzarli con energie nuove quando il tempo è venuto.

La soluzione tecnocratica, nel mentre prefigura modelli illiberali, sospinge un numero crescente di cittadini insoddisfatti a rifiutare la politica. L’astensionismo dilagante troverebbe in un governo di unità nazionale guidato da uno sbiadito vice-draghi il più forte degli incentivi.

Il messaggio di Draghi è contraddittorio: “La mia missione è compiuta, ma questa formula di governissimo deve continuare”. Lo sconcerto con cui è stato accolto, e la volontà ribadita ieri dal vertice riunito a casa Berlusconi di dare vita prima possibile a un governo di destra, senza Pd e M5S, lasciano presagire che l’unità nazionale stia giungendo al capolinea. Anche i draghisti se ne faranno una ragione: dovrebbero pur sapere che la destra italiana ha una vocazione storica estremista che si lascia malvolentieri imbrigliare da chicchessia. Può darsi che alla fine, saziata la volontà di potenza dell’ex Cavaliere, faccia loro comodo trovare proprio in Draghi il garante più utile a legittimarli all’estero.

 

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