lunedì 20 dicembre 2021

Sgurbiól


 

Giovanna Scalzo, Lelia, 90 anni di battaglie, Corriere della sera, 19 dicembre 2021

Il fascismo e la guerra, la vita nei campi, le lotte in fabbrica: grandi e piccoli avvenimenti a partire da una cascina nella Bassa modenese.

 Di Lelia senti i passi piccoli e veloci mentre va a raccogliere fiori lungo il fiume. Ignora il pericolo della corrente dell’acqua, che ha già portato via alcuni bambini come lei. Ad attenderla a casa ci sono le urla dei genitori, pronti a sgridarla. Ma di Lelia senti anche i passi, sempre piccoli e sempre più veloci, che portano pane e vino ai partigiani nascosti tra il fitto della campagna. Ignora il pericolo del rastrellamento, che ha già portato via tantissime persone. Ad attenderla c’è il silenzio carico di terrore.

La storia di Lelia inizia nel 1931, quando nasce in una cascina di Villavara, frazione di Bomporto, provincia di Modena, in Emilia. Ed è proprio dall’infanzia che Lelia inizia il suo racconto. Un vero racconto, dove c’è Lelia che parla e Antonella Romeo che trasforma le sue parole in una preziosa testimonianza. Sgurbiól. Delle cose e del tempo di Lelia, pubblicato da Edizioni Seb21, è il risultato di questo dialogo intenso. Sgurbiól è un termine dialettale modenese che viene affibbiato a Lelia dalla sua famiglia: non più una bambina, non ancora una donna. E proprio come sta a cavallo di queste due fasi della sua vita, Lelia vive a cavallo di due storie. I grandi parlano di cose che Lelia non capisce, usano termini come resistenza, insurrezione. Ai nomi di famiglia, come il fratello Uber — morto per mano delle Brigate nere —, si sovrappongono altri nomi, come Palmiro Togliatti, il quale esprime riconoscenza per la comunità modenese durante quegli anni difficili. Mentre ricorda la cugina Elda, la cui famiglia fu sterminata dai fascisti, Lelia nomina anche i fratelli Cervi, dispiacendosi allo stesso modo.

Lelia non riesce a trovare una distinzione tra la sua storia e quella che verrà poi tramandata alle generazioni future. Ed effettivamente una distinzione non c’è, alcune storie sono inevitabilmente legate ad altre: raccontandone una, in realtà se ne racconta anche un’altra, attraverso la piccola storia si comprende anche quella grande.

Lelia cresce con altre 35 persone — sono parenti, soprattutto cugini e zii. Racconta di grandi stanze dove dormire tutti insieme e di animali da accudire e curare. Racconta dei genitori che si alzano all’alba, di mani che impastano il pane una volta alla settimana. È la storia di Lelia bambina — non ancora sgurbiól — che si gode la sua infanzia. Ma si percepisce anche che questo racconto non è solo il racconto della sua infanzia: è un racconto sociale, dove emergono le dinamiche di potere all’interno di una tipica famiglia mezzadrile del territorio emiliano; ed è un racconto corale, in cui storia e Storia si mescolano.

Ecco allora che Lelia cresce, inizia a portare il cibo ai partigiani, viene informata della morte di Uber, capisce che cosa è successo ai fratelli Cervi. Anche grazie a queste rivelazioni Lelia si trasforma in una sgurbiól, a metà tra la bambina e la donna, una sorta di essere mitologico che poco alla volta lascia la sua infanzia e le regole che la confinano tra le mura di una cucina, in un anonimo casale sperduto nella provincia modenese.

Raggiunge la città, accetta un lavoro, uno stipendio. Si sposa, mette su famiglia. Lelia passa dall’aiutare a spennare i polli al lavorare in fabbrica come operaia: monta cerniere, un lavoro che la renderà indipendente e la aiuterà a sostenere i genitori. Studierà alla scuola del partito, proprio come il marito, ma soltanto i quaderni di quest’ultimo verranno conservati.

Lelia continua a raccontare la sua storia, una storia che di nuovo appare normale, soprattutto a Lelia. Ma non al lettore, il quale si ritrova — ancora una volta — nel bel mezzo di una storia che non ha nulla di normale.

Compaiono di nuovo i grandi nomi, avvenimenti che abbiamo già conosciuto. Lelia, nel frattempo, si trasforma in un’altra creatura fantastica, per la quale non c’è un nomignolo dialettale, simile ai supereroi. È protagonista ignara, senza mezzi speciali, se non le sue scelte e il suo impegno: spianerà una strada che nemmeno c’è, permettendo a tutti noi di renderci conto che esistono ancora problemi come la disparità salariale e la difficoltà a conciliare lavoro e famiglia. Lelia non è più soltanto a cavallo di due storie, ma di più epoche, risultando attuale e credibile anche ai giorni nostri.

In Lelia ci si può (e forse ci si deve) immedesimare, perché alle due storie fin qui raccontate, se ne aggiunge una terza: la nostra storia.

Lelia ci racconta quindi tante cose, ma ci lascia anche tante indicazioni — più o meno implicite — su come proseguire: nella foto di Lelia adulta — non più sgurbiól — che accompagna il libro la si vede intenta a indicare un fienile posto in alto, dove dormiva il nonno, considerato la colonna portante della famiglia. Ma si può anche vedere Lelia che indica la direzione da continuare a seguire: un punto indefinito verso il futuro, da guardare rigorosamente a testa alta, senza paura.

 

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