Curiosamente ma non troppo per Wisława Szymborska l'Utopia ha a che vedere con la Certezza, l'Evidenza, il Senno, la Profonda Convinzione, la Verità. Tolte le maiuscole, sono tutti valori o atteggiamenti che avremmo creduto rispettabili, meritevoli di considerazione se non sempre benefici.
Forse allora il difetto non sta in queste innocue apparenze, ma nella
loro assolutezza immobile espropriata da un'autorità attenta solo alla
conferma delle sue pretese. Proviamo a capire: il contrario dell'Utopia sarebbe allora l'incertezza, l'oscurità, il non senso, l'assenza di convinzione, il falso? Chiaramente non funziona. E poi nel paese dell'Utopia c'è una grotta dove giace il senso (con la s minuscola). E' quello che bisogna ritrovare. Si torna allora al suggerimento contenuto nell'uso delle maiuscole. L'Utopia inganna quando promette la conquista dell'assoluto. Fuori dal
miraggio del paradiso in terra, deve essere possibile credere con tutti
i dubbi del caso in qualche evidenza accertata, in una provvisoria
rivelazione del senso, in una eventuale epifania del bene. Perché al di fuori e al di là dell'Utopia c'è la vita che merita di essere vissuta. Come per Pieter Bruegel.
Se vogliamo poi ragionare guardando all'attualità e alla storia degli ultimi decenni, la caduta della grande Utopia si è tradotta nel trionfo di una realtà caotica, spesso lontana da esigenze elementari di giustizia e nondimeno poco propensa a acquietarsi in una immagine compiaciuta di se stessa. E allora di un'altra utopia bisognerebbe parlare, di quella che senza invocare una improbabile rigenerazione del mondo punta a ritrovare il senso. Non il senso in generale, ma il senso definito o suggerito da coloro che oggi portano il peso di un ordinamento economico e sociale manifestamente iniquo.
http://www.nilalienum.it/Sezioni/Bibliografia/Sociologia/MannheimIdeologiaUtopia.html
Wisława Szymborska, Utopia
[Sta in Vista con granello di sabbia, POESIE 1957-1993, a cura di Pietro Marchesani, Adelphi, Milano 1998]
Isola dove tutto si chiarisce.
Qui ci si può fondare su prove.
L'unica strada è quella d'accesso.
Gli arbusti si piegano sotto le risposte.
Qui cresce l'albero della Giusta Ipotesi
Con rami da sempre districati.
Di abbagliante linearità è l'albero del Senno
presso la fonte detta Ah Dunque E' Così.
Più ti addentri nel bosco, più si allarga
la Valle dell'Evidenza.
Se sorge un dubbio, il vento lo disperde.
L'Eco prende la parola senza farsi chiamare
e chiarisce volenterosa i misteri dei mondi.
A destra una grotta in cui giace il Senso.
A sinistra il lago della Profonda Convinzione.
Dal fondo si stacca la Verità e viene lieve a galla.
Domina sulla valle la Certezza Incrollabile.
Dalla sua cima si spazia sull'Essenza delle Cose.
Malgrado le sue attrattive l'isola è deserta,
e le tenui orme visibili sulle rive
sono tutte dirette verso il mare.
Come se da qui si andasse solo via,
immergendosi irrevocabilmente nell'abisso.
Nella vita inconcepibile.
°°°
Alfonso Berardinelli
Wislawa Szymborska (1923-2012) Poetessa del sorriso
Nella sua apparente leggerezza c'è un'instancabile e passionale tenacia
che ha la funzione fondamentale, igienica, di disintossicare da idee
generali, idoli e miti
Il Sole 24 ore, 9 febbraio 2014
Prima
che ricevesse il Nobel, quando ancora non sapevo che Wislawa Szymborska
esisteva nella realtà, sentivo il bisogno di inventarla. Prima di
leggere la sua poesia, credo di averla immaginata e sognata. Mi ero
convinto, ancora confusamente, che il suo era un modo di scrivere poesie
di cui in Italia avevamo bisogno. Non voglio dire con questo che non ci
fossero da noi buoni e ottimi poeti. Avevamo senza dubbio una
tradizione novecentesca che si era conclusa, o esaurita, con gli ultimi
libri di Montale; con i caotici, improvvisati poemetti e poesie
giornalistiche di Pasolini; con il manierismo virgiliano-lacaniano di
Zanzotto; con la teologia negativa in epigrammi aforistici di Giorgio
Caproni; con la polimorfica, satirico-patetica «vita in versi» di
Giovanni Giudici. Si potrebbero aggiungere altri nomi: anzitutto Sandro
Penna e Amelia Rosselli, molto amati, se non imitati, dagli anni Ottanta
in poi. Ma dopo? L'interruzione di continuità è stata evidente. Almeno a
partire dalla mia generazione, entrata in scena intorno al 1975, si
ricominciava più o meno da zero, dopo aver dato la poesia per finita. È
quando all'improvviso la vitalità della poesia è stata riscoperta e
continuamente riaffermata (anche con troppa fede, una fede sospetta) ci
si è accorti che i poeti erano diventati veramente troppi. C'era dunque
di che sognare, e io sognavo una poesia che somigliasse almeno un po' a
quella della Szymborska. So bene che augurarsi un particolare tipo di
poesia è un peccato contro la natura dell'invenzione artistica, che è e
deve restare imprevedibile. Sono nemico delle poetiche programmatiche. I
programmi sono quasi sempre attraenti per definizione, ma il giudizio
deve riguardare i fatti, i risultati, non le intenzioni. Cercherò
tuttavia di spiegare perché il mio sogno della Szymborska nasceva, come
tutti i sogni, per compensare i difetti di una certa realtà. Qualunque
lettore può notare nelle poesie della Szymborska una serie di
caratteristiche che, messe insieme, la rendono inconfondibile. Ne elenco
alcune: immaginazione sfrenata e occasioni di vita quotidiana;
inclinazione umoristica e perfino comica; giochi di parole mai separati
da giochi di idee e immagini; una dialettica della composizione che fa
incontrare gli opposti e mette l'identico in contraddizione con se
stesso; ironia e pathos che nascono l'uno dall'altro; estro e audacia
intellettuali che coincidono con la perizia tecnica. Quasi tutte queste
cose mancavano nella poesia italiana, o erano isolate l'una dall'altra e
quindi non si rafforzavano a vicenda, restando spesso una semplice
aspirazione. Abbiamo avuto per esempio un paio di poeti capaci di
esibire uno stile di pensiero, senza che avessero davvero un pensiero a
giustificare quella forma. Detto questo, devo aggiungere una cauta
precisazione, almeno una: è così, salvo eccezioni. Queste eccezioni si
trovano recentemente soprattutto nella poesia scritta da donne, che però
non definirei "femminile", sia perché non rivendica diritti di genere
né isola una tematica di esclusiva marca femminile; sia perché ha
esattamente quelle caratteristiche che tradizionalmente, secondo una
vecchia convenzione, venivano invece attribuite agli uomini: lucidità
intellettuale, spregiudicatezza, coraggio, mancanza di sentimentalismo,
distacco ironico, libertà di pensiero, energia espressiva e
comunicativa, indipendenza da modelli. Il successo italiano della
Szymborska è parallelo all'emergere da noi di un nuovo stile poetico del
tutto privo di esoterismi e gergalismi poeticizzanti, privo di vaghe
allusività, automatismi associativi, nebulosità semantica,
indeterminatezza metrica. Chi voglia farsi un'idea di quello che dico,
può cercare i libri di Patrizia Cavalli, Bianca Tarozzi, Anna Maria
Carpi, Alba Donati, che hanno tutte pubblicato in questo ultimo anno.
Nessuna di loro naturalmente imita la Szymborska. Di lei ha scritto la
Donati che la sua poesia è carica «di enigmi e di prodigi, commuove e ci
rende allegri, spinge alla meditazione e ci trascina in cielo come
aquiloni». Ogni poeta ha un suo metodo, ma il metodo della Szymborska
appare sempre in primo piano. La sua tecnica, i procedimenti e i
meccanismi con cui costruisce le sue poesie sono visibili, vengono
esibiti. Non sono solo forma; o meglio sono la forma della cosa che
viene detta e che di per sé forse neppure esisterebbe. Se avessi il
coraggio di fare un'ipotesi che non sono in grado di sostenere con
nessuna prova, direi che in questo singolare metodo si incontrano le
assurde meraviglie di Alice e la prassi conoscitiva della dialettica,
quella di Marx e Engels, soprattutto di Engels, ma anche di Eraclito (il
quale compare in una poesia). È possibile che del marxismo onestamente
imparato in gioventù, alla Szymborska sia rimasto questo metodo
dialettico che fa muovere, fa ballare le cose e ogni entità statica,
convenzionale, autoritaria. In una delle poesie contenute nel suo vero
libro di esordio,
Appello allo Yeti, del 1957, si leggono queste
due strofe: «Nulla due volte accade / né accadrà. Per tal ragione / si
nasce senza esperienza, / si muore senza assuefazione (...) Non c'è
giorno che ritorni, / non due notti tutte uguali, / né due baci
somiglianti, / né due sguardi tali e quali» (
Nulla due volte).
Che sia vero o no, è questa la cosa che l'autrice trova interessante. Se
si è capace di notarla, la differenza non fa sentire la ripetizione.
Szymborska nota più la prima che la seconda, se ne rallegra, ci si
diverte, ne è ispirata. La sua arguzia la aiuta a non cadere nel
generico. Va a cercare, o trova subito, la singolarità. Per questo non
si annoia, non ci annoia. Nella vita comune, questa poesia afferra ciò
che comune non è. Se niente si ripete davvero, tutto è ogni volta
interessante e da non perdere. Il singolare, famoso sorriso della
Szymborska, che vediamo in tutte le sue foto, è un sorriso di
divertimento e di sfida. Nella sua apparente leggerezza c'è
un'instancabile e passionale tenacia. Sembra quasi che la sua poesia
voglia avere una funzione. In realtà, ha solo quella, fondamentale,
igienica, di disintossicare dalle idee generali che diventano idoli e
miti quando le facciano vivere al di sopra delle circostanze. In
un'intervista rilasciata a Francesco Groggia («la Repubblica», 7 aprile
2008), alla domanda su quale ruolo può avere la poesia contro i miti
contemporanei, la risposta della Szymborska è: «Un ruolo molto piccolo,
quasi nullo. Ma bisogna credere in ciò che si fa». La poesia è una sfida
alle idee generali e al gran mondo della storia. Richiede una fede
personale che non ha quasi fondamento pubblico. È questa qualità
intellettuale e dialettica, è il ritmo nella costruzione dei
significati, che ha permesso alla Szymborska di resistere bene, meglio
di altri autori, alla rischiosa avventura della traduzione. Si perde un
po' di musica, di allitterazioni, di omofonie eccitanti e comiche, ma il
ritmo strutturale e il gioco concettuale rimangono illesi. Oltre alla
musica verbale c'è una musica del pensiero. C'è il ritmo dialettico
della scoperta e dell'indagine mentale. Il mondo delle meraviglie è
dunque qui, è il nostro. Si dilata e si contrae, dal cosmico al
quotidiano, dalla preistoria all'attimo presente, purché si rovesci
l'apparenza immediata e si sappia che c'è sempre altro da pensare, c'è
sempre un «rovescio della medaglia». È uno «spasso» (così si intitola
uno dei suoi libri) questo mondo singolare e plurale, maschio e femmina,
presente e passato, realtà e possibilità, caldo e freddo, alto e basso.
I modi e le forme della grammatica si mescolano con ciò che si legge
nei libri di scienze, geografia, paleontologia e storia. Divertimento,
teatralità, acume dialettico, imprevedibili assurdità, devozione al
dettaglio: tutte cose che auguravo alla poesia italiana. Nella stessa
intervista che ho citato, la conclusione della Szymborska è questa: «La
maggior parte delle persone non si dà la pena di pensare con la propria
testa (o perché non può, o perché non vuole), e di conseguenza, è
facilmente preda di suggestioni collettive. Qualcuno ha detto che le
persone si istupidiscono all'ingrosso e rinsaviscono al dettaglio.
Dunque amiamo e sosteniamo i casi al dettaglio».