martedì 18 marzo 2025

La lezione di Berlinguer



Giuliano Ferrara, Il disegno di governo di Meloni fra Europa e Trump richiede una scelta
Il Foglio, 18 marzo 2025

Giorgia Meloni prima o poi dovrà fare una scelta netta, se non vuole risultare solo mediatrice, ma in sostanza passiva, sulla scena della politica internazionale nel tempo di Trump, che scavalca gli alleati transatlantici e negozia con Putin senza di loro, e del risveglio potenziale dell’Europa come soggetto politico. C’è un precedente notevole da ricordare. Enrico Berlinguer voleva attuare una politica in qualche misura innaturale per la tradizione del suo partito, il Pci. Voleva convergere in un progetto comune di governo con la Democrazia cristiana di Aldo Moro, sfruttando la comune appartenenza all’arco costituzionale, superando decenni di opposizione aspra, rielaborando il filone togliattiano del rapporto con i cattolici e, per così dire, dandogli gambe non solo teoriche ma politiche. L’ombra del 18 aprile 1948 e poi della contrapposizione radicale sul Patto atlantico, muri che importarono nell’Italia resistenziale e antifascista la divisione della Guerra fredda, era un ostacolo decisivo su quella strada. Nel 1976, tre anni dopo gli articoli sul compromesso storico, scritti dopo il colpo di stato cileno e dedicati alla necessità dell’incontro tra le grandi forze popolari per il consolidamento e la salvezza della democrazia italiana, Berlinguer diede un’intervista al Corriere della Sera, a Giampaolo Pansa, e disse qualcosa di forte, di nuovo, per certi aspetti di inaudito: stiamo meglio sotto l’ombrello della Nato di quanto staremmo nel perimetro dell’alleanza opposta, il Patto di Varsavia.
Tredici anni dopo quell’intervista e l’esperienza della solidarietà nazionale che ne discese, frantumatasi per l’assassinio di Aldo Moro per mano delle Brigate Rosse, cadde il Muro di Berlino. Se il Pci non fece la fine dei comunisti francesi, ridotti all’isolamento e al lumicino, cambiò nome e diventò altro da sé, è per via di quella scelta netta, che ha cambiato i connotati della storia politica italiana (europeismo e approdo al riformismo di stampo socialdemocratico, nonostante contorsioni, varianti, retromarce, equivoci e altre divagazioni dalla funzione di governo di una seria forza di sinistra, nascono di lì, da quell’intervista).
Molte cose sono cambiate e molto, viviamo ovviamente in un’altra epoca, fondamentalmente diversa, e bisognerebbe chiedere lumi all’intelligenza artificiale per compensare in merito i limiti di quella naturale. Ma un fatto resta. Oltre un certo confine, non si può restare in mezzo al guado. Se in nome della tua tradizione politica e ideologica, ma per trasformarla e rinnovarla, intraprendi l’attraversamento di un grande fiume per guadagnare la sponda di una nuova identità (ieri era la legittimazione del Pci nella Guerra fredda e oltre, oggi è l’affermazione di un movimento conservatore di stampo europeo in Italia, mentre riemerge una politica extraeuropea della divisione del mondo in nuove sfere di influenza), suona per te la campana della decisione definitiva, un rintocco che agisce nel profondo e costituisce il perno di una nuova identità. Meloni può continuare a barcamenarsi, a danzare sul filo di un interesse nazionale alla mediazione con l’America di Trump e Musk combinato con l’adesione a un modello europeo di cooperazione economica, politica e militare nel confronto con l’espansionismo russo. Per sfuggire al rischio della passività e dell’irrilevanza, però, le potrebbe essere utile rileggersi quell’intervista e quel pezzo di storia. Ammansire la bestia del populismo trumpiano, incamminato su una strada che distrugge la cultura mainstream e la sostituisce con gli spiriti animali dell’America first!? Vaste programme. Condizionare le scelte della Ue e britanniche di politica estera e di sicurezza, oltre che economica, mantenendo un equilibrio con la Russia di Putin, e attraversando con ambiguità la questione dirimente della difesa dell’ucraina come confine europeo? Vaste programme. E’ chiaro che il disegno di opposizione e poi di governo di Giorgia Meloni, nonostante analogie di facciata, è diverso dal movimento generato dall’ego smisurato e dalle forze che spingono l’esperimento iperpopulista e ademocratico americano. E il raccordo con l’Europa di Berlino, di Parigi, di Londra, e delle altre capitali europee occidentali e orientali è un elemento necessario di quel disegno, che a un certo punto richiede una scelta netta.

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