venerdì 2 febbraio 2018

Un amore sospeso sull'abisso


Giuseppe Scaraffia, Camus e Maria. Un amore sospeso sull'abisso, Il Venerdì di Repubblica, 29 dicembre 2017

«Guerra e pace»: così Albert Camus aveva soprannominato Maria Casarès, la grande attrice con cui ebbe una focosa e tormentata relazione, documentata da un libro appena uscito da Gallimard: Correspondance 1944-1959, con la prefazione della figlia dello scrittore, Catherine. Proprio lei che ha esitato per anni a pubblicare queste 865 lettere, ardente testimonianza della vita parallela del padre.

Albert e Maria si erano intravisti nel 1944 a casa di Michel e Zette Leiris, alla rappresentazione del Desiderio preso per la coda di Picasso, dove Camus, che faceva da regista, segnalava agli interpreti i cambi di scena picchiando in terra con un bastone.

Lui aveva trentun anni ed era quasi famoso. Lei non aveva potuto fare a meno di notare il suo viso attraente, «altero senza fatuità», con una sfumatura d' indolente indifferenza.

La tisi che erodeva Camus dilatava la sua fame di vita. Il fatto di essere sposato non limitava minimamente la sua affollata vita intima. Le donne apprezzavano il suo modo di spogliarle con lo sguardo, che irritava tanto gli altri uomini. «Il fascino è un modo per farsi rispondere sì senza chiedere niente».

Figlia di un ministro spagnolo in esilio dopo la vittoria di Franco, Maria Casarès aveva ventidue anni, un' intensa bellezza bruna, stanchi occhi verdi e un' intelligenza pari solo alla sua straordinaria capacità di recitare. Tutto era iniziato in uno di quegli scoppi di gioia di vivere con cui gli intellettuali cercavano di combattere l' angoscia dell' occupazione nazista. Venivano chiamate fiestas quelle riunioni in cui ognuno collaborava portando amici, viveri e alcol. Maria era bellissima. Aveva un vestito di Rochas a righe viola e malva e i capelli neri tirati all' indietro. Era quasi l' alba quando erano usciti.


Avevano bevuto più del solito per contrastare la reciproca timidezza. Lei si era seduta sul manubrio della bicicletta dello scrittore; dopo pochi metri, preoccupata dal suo zigzag, gli aveva chiesto se la bicicletta non avesse bevuto troppo. Lui le aveva risposto sorridendo che stava solo cercando la Senna.

Così, mentre gli alleati sbarcavano in Normandia, la nuova coppia era fortunosamente approdata in rue Vaneau, dove Camus era ospitato a pagamento nello studio di André Gide, allora in Algeria. Nella stanza c' era un trapezio sospeso al soffitto: Camus ne era irritato perché tutti i suoi visitatori si sentivano in dovere di mettersi alla prova. Mentre a Maria, più romantica, faceva pensare a loro come a due trapezisti «lassù in alto, sempre tesi, stretti l' uno all' altro, l' uno tenuto dall' altro, e sotto l' abisso».

Lo scrittore la scelse per recitare il ruolo principale in Il malinteso, una pièce difficile, poco apprezzata dal pubblico. Ma anche i critici più negativi dovettero ammettere il talento dell' attrice. A quella donna lucida e appassionata riusciva difficile condividerlo con la moglie, rimasta in Algeria. L' imprevista passione che provava per lei, l'«Unica», dava a Camus rimorsi che di solito non provava per gli altri suoi flirt: «L' amore è un' ingiustizia, ma la giustizia non è sufficiente». Per la prima volta si trovava di fronte a una donna in grado di tenergli testa. «Io ti ho ingannata, non ti ho mai tradita» si difendeva mentre, senza smetterla di amarla, accumulava fuggevoli relazioni. Lei faceva lo stesso, sperando di ingelosirlo.
  
A poco a poco si allontanarono: «Abbiamo vissuto ore magnifiche nell' anno 1944, ma sono state a lungo ostacolate dall' orgoglio da una parte e dall' altra» ammetteva lo scrittore cercando di fare il bilancio di quei mesi torridi. Ma era doloroso rinunciare a lei. «Dovunque mi volti, vedo solo la notte...senza di te non ho più la forza... credo di avere voglia di morire» scriveva desolato.

Una sospensione durata fino al 6 giugno 1948, quando, quattro anni dopo quella fiesta, si rincontrarono per caso a Saint-Germain. Ognuno dei due aveva un appuntamento, ma gli amici li aspettarono invano. «È vero che torniamo l' uno all' altra, forse più veri e profondi di quanto eravamo. Eravamo troppo giovani e non siamo troppo vecchi per approfittare di quello che sappiamo: è meraviglioso».
  
Eppure era difficile per entrambi sopportare quel compromesso. «Soffoco letteralmente. Ci sono delle tue frasi che mi perseguitano ancora, l' angoscia della partenza, soprattutto la menzogna - perché questa è una vita di bugie e a volte vorrei gridare» confessava Camus. Poi Francine, la moglie che l' aveva raggiunto a Parigi, era venuta a saperlo e aveva tentato il suicidio. Salvata in tempo, ripeteva nel sonno il nome della rivale. Ma Albert non aveva ceduto, continuando a dividersi tra le due donne. Confortato dal parere di uno specialista: «Secondo lui la necessità in cui mi trovo di risparmiare la salute di Francine mi fa vivere "in una gabbia di vetro". La sua prescrizione: libertà ed egoismo. Una superba ricetta secondo me. E di gran lunga la più facile per vivere».

Nelle lettere lei era il suo «piccolo gabbiano», la sua «trota nera», la «saporita».
Le relazioni che entrambi continuavano a intrecciare non smorzavano l' incandescenza dei loro rapporti, anche se a volte lei era irritata dalla tolleranza del compagno per i suoi legami occasionali. «Io sono bollente dentro, fuori. Tutto brucia, anima, corpo, sopra, sotto, cuore, carne... hai capito? Hai capito? Hai capito bene?».

Tra alti e bassi, delusioni e speranze, assenze e ritorni, la loro relazione era destinata a continuare fino alla fine. Nel 1959, pochi giorni prima della morte di Camus in un incidente stradale, lei gli scrisse: «Aspetto il miracolo perennemente rinnovato della tua presenza: credevo di vivere male lontano da te, ma non è vero.
Lontano da te non riesco affatto a vivere».
E lui: «A presto, mia superba, sono talmente contento all' idea di rivederti che rido mentre ti scrivo».

----------------------------------------------------------------------------------------------------------------

ALBERT CAMUS A MARIA CASARÈS:


Giovedì, ore 10 (di sera) giugno 1944
Sono così felice, Maria. Come è possibile? Quello che mi fa tremare è una specie di gioia folle. Ma allo stesso tempo sono trafitto dall’amarezza - partirai, la tristezza dei tuoi occhi mentre mi lasci. Davvero quello che ho di te è un gusto in cui si mescola la felicità all’inquietudine. Ma se tu mi ami, come scrivi, dobbiamo avere altre cose. Questo è il momento di amarci e dobbiamo volerlo con forza e a lungo per andare oltre ogni altra cosa (…) Attendo domani il tuo caro volto. Stasera troppo stanco per parlare di questo cuore traboccante che mi procuri. C’è qualcosa che è solo nostra e dove ti raggiungo sempre, senza sforzo. Sono le ore in cui taccio e tu allora dubiti di me. Ma non importa, il mio cuore è pieno di te. Addio, tesoro. Grazie per quelle parole che mi hanno dato così tanta gioia. Grazie per questa anima che ama e che io amo. Ti bacio con tutte le mie forze.




Nessun commento:

Posta un commento