domenica 29 dicembre 2013

Rousseau, l'idillio delle ciliege

Il tratto saliente che caratterizza il legame di Rousseau con le donne amate risulta essere la delega di ogni iniziativa e dell’'intera gestione del rapporto amoroso all’'altra, in una sorta di rinuncia a priori ad un confronto sentito come inquietante, fonte di seducenti promesse, ma anche di imprevedibili minacce.
Elena Pulcini, Introduzione (J. J. Rousseau: l’immaginario e la morale) alla Giulia o la Nuova Eloisa, Bur, Milano 1994. 


Les Confessions, Livre IV

Mi ero insensibilmente allontanato dalla città; il caldo aumentava, e passeggiavo all'ombra di un vallone lungo un ruscello. Odo alle mie spalle uno scalpitare di cavalli e voci di ragazze che parevano in difficoltà, e nondimeno ridevano di cuore. Mi volto, mi chiamano per nome, mi avvicino, e vedo due fanciulle di mia conoscenza, la signorina di Graffenried e la signorina Galley, che, non essendo cavallerizze provette, non sapevano come convincere i loro cavalli ad attraversare il ruscello. La signorina di Graffenried era una giovane bernese graziosissima, che, scacciata dal suo paese per qualche follia della sua età, aveva imitato la signora di Warens, presso la quale l'avevo vista qualche volta; ma non disponendo come lei di una pensione, era stata ben felice di appoggiarsi alla signorina Galley, che, avendola presa in amicizia, aveva persuaso la madre a dargliela come compagna, finché non si fosse potuto sistemarla altrimenti. La signorina Galley, di un anno più giovane, era ancora più bella; aveva un non so che di più delicato, di più fine; era insieme molto minuta e ben formata: il momento più bello di una fanciulla. Entrambe si amavano teneramente, e il buon carattere dell'una e dell'altra non poteva che prolungare quell'unione, se qualche amante non fosse sopraggiunto a turbarla. Mi dissero che andavano a Thônes, antico castello della signora Galley, e implorarono il mio aiuto per far guadare i cavalli, non venendone a capo da sole. Volli frustare le bestie, ma le fanciulle temevano i calci per me, e gli sbalzi per loro. Ricorsi a un altro espediente. Afferrai per la briglia il cavallo della signorina Galley, poi tirandomelo appresso, attraversai il ruscello con l'acqua a metà gamba, e l'altro cavallo seguì docilmente. Ciò fatto, volli salutare le signorine e andarmene come uno sciocco; esse si scambiarono qualche parola sottovoce, e la signorina di Graffenried, rivolta a me, disse: «No, no: non ci sfuggirete così. Vi siete inzuppato per aiutarci; e a noi spetta in coscienza la cura di asciugarvi. Bisogna, per piacere, che veniate con noi: siete nostro prigioniero.» Il cuore mi batteva, e guardavo la signorina Galley. «Sì, sì,» aggiunse lei, ridendo della mia aria smarrita, «prigioniero di guerra. Montate in groppa dietro a lei: vogliamo rispondere di voi.» «Ma, signorina, io non ho l'onore d'essere conosciuto dalla signora vostra madre: che dirà vedendomi arrivare?» «Sua madre,» rispose la signorina di Graffenried, «non è a Thônes, siamo sole; torniamo questa sera e tornerete con noi.»

L'effetto dell'elettricità non è più fulmineo di quello che produssero su di me quelle parole. Balzando sul cavallo della signorina de Graffenried, tremavo di gioia, e quando bisognò che l'abbracciassi per sorreggermi, il cuore mi batteva tanto forte che lei se ne accorse; mi disse che anche il suo batteva per la paura di cadere, ed era quasi, in quella posizione, un invito a verificare il fatto. Non osai, e per l'intiero tragitto le mie braccia le servirono da cintura, strettissima in verità, ma senza spostarsi un istante. Ogni mia lettrice mi schiaffeggerebbe volentieri, e non avrebbe torto.
L'allegria del viaggio e il cinguettio delle ragazze eccitarono a tal punto il mio che sino a sera, e finché restammo insieme, non smettemmo un momento di parlare. Mi avevano messo così perfettamente a mio agio che la mia lingua parlava quanto i miei occhi, benché non esprimesse le stesse cose. Solo per qualche istante, quando mi trovavo a tu per tu con l'una o con l'altra, la conversazione s'impacciava un poco; ma l'assente tornava prestissimo e non dava all'impaccio il tempo di chiarirsi.
Arrivati a Thônes, e io ben asciugato, facemmo colazione. Poi bisognò procedere all'importante operazione di preparare il pranzo. Le due signorine, mentre cucinavano, baciavano di tanto in tanto i figli della castalda, e il povero sguattero guardava, mordendo il freno. Dalla città erano state inviate delle provviste e c'era di che preparare un pranzo eccellente, soprattutto in fatto di ghiottonerie; ma sfortunatamente avevano dimenticato il vino. La dimenticanza non era strana per le ragazze che non bevevano; ma io ne fui seccato, perché avevo un po'contato su quell'aiuto per farmi coraggio. Anch'esse ne furono seccate, forse per lo stesso motivo, ma non posso giurarlo. La loro allegria vivace e deliziosa era l'innocenza stessa; e, d'altra parte, che cosa avrebbero fatto di me, tra loro due? Mandarono dappertutto, nei dintorni, a cercare del vino; non se ne trovò, tanto i contadini di quel cantone sono sobri e poveri. Siccome mi esprimevano il loro disappunto, dissi di non preoccuparsene tanto, ché non avevano bisogno di vino per inebriarmi. Fu l'unica galanteria che azzardai in tutta la giornata; ma credo che le furbette vedessero come quella galanteria rispondesse a verità.
Pranzammo nella cucina della castalda, le due amiche sedute sulle panche ai due lati della lunga tavola, e l'ospite in mezzo a loro, su uno sgabello a tre piedi. Che pranzo! Che ricordo affascinante! Come si può, potendo gustare a così poco prezzo piaceri tanto puri e tanto veri, pretendere di cercarne altri? Mai cena parigina in ambienti galanti uguagliò quel pranzo, non dico soltanto in allegria, nella dolce gioia; dico anche nella sensualità.

Dopo pranzo facemmo un'economia. Anziché prendere il caffé, che ci restava dalla colazione, lo serbammo per gustarlo a merenda con la panna e i pasticcini che esse avevano portato; e per mantener sveglio l'appetito, andammo nel frutteto a completare il nostro pranzo con le ciliege. Io salii sull'albero, e ne lanciavo giù a mazzettini, di cui esse mi rispedivano i noccioli attraverso i rami. Una volta, la signorina Galley, sollevando il grembiule e spostando indietro la testa, si offrì così bene al bersaglio, e io mirai così giusto, che le feci cadere un mazzetto giusto nel seno; e la risata! Dicevo dentro di me: «Perché le mie labbra non sono ciliege! Come gliele getterei volentieri!»
La giornata trascorse così, a folleggiare con la massima libertà e sempre con la maggior decenza. Non una sola parola equivoca, non uno scherzo arrischiato; e questa decenza non ce la imponevamo affatto, veniva spontanea, obbedivamo al tono che ci dettavano i cuori. Infine la mia modestia, altri diranno la mia ottusità, fu tale che la più audace intimità che mi sfuggì fu di baciare una sola volta la mano della signorina Galley. È vero che la circostanza rese prezioso questo lieve favore. Eravamo soli, io respiravo a fatica, lei teneva gli occhi bassi. Anziché cercare parole, la mia bocca scelse di posarsi sulla sua mano, che lei dolcemente ritirò dopo il bacio, guardandomi con un'espressione che nulla aveva d'irato. Non so che cosa avrei potuto dirle: la sua amica entrò, e in quel momento mi parve orribile.
Si ricordarono infine che non bisognava aspettare la notte per rientrare in città. Ci restava appena il tempo per arrivare prima di buio, e ci affrettammo a partire, sistemandoci come nel venire. Avrei potuto, se ne avessi avuto l'ardire, cambiare quell'ordine, perché lo sguardo della signorina Galley mi aveva acceso il cuore; ma non osai dir nulla, e non toccava a lei proporlo. Andando dicevamo che era un peccato che la giornata finisse, ma, anziché lamentarci della sua brevità, notammo come avessimo avuto il potere di renderla lunga, con tutte le piacevolezze di cui avevamo saputo colmarla.
Le lasciai press'a poco dove mi avevano trovato. Con che dispiacere ci separammo! E con che piacere progettammo di rivederci! Dodici ore trascorse insieme valevano per noi secoli di intimità. Il dolce ricordo di quella giornata non costava nulla a quelle amabili fanciulle; la tenera unione che regnava fra noi tre valeva i piaceri più intensi, e con essi non sarebbe potuta sussistere: ci amavamo senza misteri e senza vergogna, e volevamo amarci sempre così. L'innocenza dei costumi ha la sua voluttà, che vale quanto l'altra, giacché non conosce interruzioni e premia di continuo. Quanto a me, so che il ricordo di un giorno tanto bello mi commuove di più, mi incanta di più, mi torna di più al cuore d'ogni altro piacere gustato in vita mia. Non sapevo bene che cosa cercassi in quelle due deliziose persone, ma mi attraevano molto entrambe. Non dico che, fossi stato padrone di scegliere, il mio cuore si sarebbe diviso; avvertivo una certa preferenza. Sarei stato felice di avere per amante la signorina di Graffenried; ma, dovendo scegliere, credo che l'avrei preferita come mia confidente. Comunque, mi parve nel lasciarle che non avrei più potuto vivere senza l'una e senza l'altra. Chi avrebbe detto che non le avrei mai più riviste, e che lì sarebbero finiti i nostri effimeri amori?

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Je m'étais insensiblement éloigné de la ville, la chaleur augmentait, et je me promenais sous des ombrages dans un vallon le long d'un ruisseau. J'entends derrière moi des pas de chevaux et des voix de filles qui semblaient embarrassées, mais qui n'en riaient pas de moins bon cœur. Je me retourne, on m'appelle par mon nom, je m'approche, je trouve deux jeunes personnes de ma connaissance. Mlle de Graffenried et Mlle Galley, qui, n'étant pas d'excellentes cavalières, ne savaient comment forcer leurs chevaux à passer le ruisseau. Mlle de Graffenried était une jeune Bernoise fort aimable, qui, par quelque folie de son âge, ayant été jetée hors de son pays, avait imité Mme de Warens, chez qui je l'avais vue quelquefois ; mais, n'ayant pas eu une pension comme elle, elle avait été trop heureuse de s'attacher à Mlle Galley, qui, l'ayant prise en amitié, avait engagé sa mère à la lui donner pour compagne jusqu'à ce qu'on la pût placer de quelque façon. Mlle Galley, d'un an plus jeune qu'elle, était encore plus jolie : elle avait je ne sais quoi de plus délicat, de plus fin ; elle était en même temps très mignonne et très formée, ce qui est pour une fille le plus beau moment. Toutes deux s'aimaient tendrement et leur bon caractère à l'une et à l'autre ne pouvait qu'entretenir longtemps cette union, si quelque amant ne venait pas la déranger. Elles me dirent qu'elles allaient à Thônes*, vieux château appartenant à Mme Galley ; elles implorèrent mon secours pour faire passer leurs chevaux, n'en pouvant venir à bout elles seules. Je voulus fouetter les chevaux ; mais elles craignaient pour moi les ruades et pour elles les haut-le-corps. J'eus recours à un autre expédient. Je pris par la bride le cheval de Mlle Galley, puis, le tirant après moi, je traversai le ruisseau ayant de l'eau jusqu'à mi-jambes, et l'autre cheval suivit sans difficulté. Cela fait, je voulus saluer ces demoiselles, et m'en aller comme un benêt : elles se dirent quelques mots tout bas, et Mlle de Graffenried s'adressant à moi : Non pas, non pas, me dit-elle, on ne nous échappe pas comme cela. Vous vous êtes mouillé pour notre service ; et nous devons en conscience avoir soin de vous sécher : il faut, s'il vous plaît, venir avec nous : nous vous arrêtons prisonnier. Le cœur me battait, je regardais Mlle Galley. Oui, oui, ajouta-t-elle, en riant de ma mine effarée, prisonnier de guerre ; montez en croupe derrière elle ; nous voulons rendre compte de vous. - Mais Mademoiselle, je n'ai point l'honneur d'être connu de Madame votre mère : que dira-t-elle en me voyant arriver ? - Sa mère, reprit Mlle de Graffenried, n'est pas à Thônes, nous sommes seules ; nous revenons ce soir, et vous reviendrez avec nous.
L'effet de l'électricité n'est pas plus prompt que celui que ces mots firent sur moi. En m'élançant sur le cheval de Mlle de Graffenried je tremblais de joie, et quand il fallut l'embrasser pour me tenir, le cœur me battait si fort qu'elle s'en aperçut : elle me dit que le sien lui battait aussi par la frayeur de tomber : c'était presque, dans ma posture, une invitation de vérifier la chose ; je n'osai jamais, et durant tout le trajet mes deux bras lui servirent de ceinture, très serrée à la vérité, mais sans se déplacer un moment. Telle femme qui lira ceci me souffletterait volontiers, et n'aurait pas tort.
La gaieté du voyage et le babil de ces filles aiguisèrent tellement le mien, que jusqu'au soir, et tant que nous fûmes ensemble, nous ne déparlâmes pas un moment. Elles m'avaient mis si bien à mon aise, que ma langue parlait autant que mes yeux, quoiqu'elle ne dît pas les mêmes choses. Quelques instants seulement, quand je me trouvais tête à tête avec l'une ou l'autre, l'entretien s'embarrassait un peu ; mais l'absente revenait bien vite, et ne nous laissait pas le temps d'éclaircir cet embarras.
Arrivés à Thônes, et moi bien séché, nous déjeunâmes. Ensuite il fallut procéder à l'importante affaire de préparer le dîner. Les deux demoiselles, tout en cuisinant, baisaient de temps en temps les enfants de la grangère et le pauvre marmiton regardait faire en rongeant son frein. On avait envoyé des provisions de la ville, et il y avait de quoi faire un très bon dîner, surtout en friandises ; mais malheureusement on avait oublié du vin. Cet oubli n'était pas étonnant pour des filles qui n'en buvaient guère : mais j'en fus fâché, car j'avais un peu compté sur ce secours pour m'enhardir. Elles en furent fâchées aussi, par la même raison peut-être, mais je n'en crois rien. Leur gaieté vive et charmante était l'innocence même : et d'ailleurs qu'eussent-elles fait de moi entre elles deux ? Elles envoyèrent chercher du vin partout aux environs ; on n'en trouva point, tant les paysans de ce canton sont sobres et pauvres. Comme elles m'en marquaient leur chagrin, je leur dis de n'en pas être si fort en peine, qu'elles n'avaient pas besoin de vin pour m'enivrer. Ce fut la seule galanterie que j'osai leur dire de la journée ; mais je crois que les friponnes voyaient de reste que cette galanterie était une vérité.
Nous dînâmes* dans la cuisine de la grangère, les deux amies assises sur des bancs aux deux côtés de la longue table, et leur hôte entre elles deux sur une escabelle* à trois pieds. Quel dîner ! Quel souvenir plein de charmes ! Comment, pouvant à si peu de frais goûter des plaisirs si purs et si vrais, vouloir en rechercher d'autres ? Jamais souper des petites maisons de Paris* n'approcha de ce repas, je ne dis pas seulement pour la gaieté, pour la douce joie, mais je dis pour la sensualité.
Après le dîner nous fîmes une économie. Au lieu de prendre le café qui nous restait du déjeuner, nous le gardâmes pour le goûter avec de la crème et des gâteaux qu'elles avaient apportés ; et pour tenir notre appétit en haleine, nous allâmes dans le verger achever notre dessert avec des cerises. Je montai sur l'arbre, et je leur en jetais des bouquets dont elles me rendaient les noyaux à travers les branches. Une fois, Mlle Galley, avançant son tablier et reculant la tête, se présentait si bien, et je visai si juste, que je lui fis tomber un bouquet dans le sein : et de rire. Je me disais en moi-même : Que mes lèvres ne sont-elles des cerises ! Comme je les leur jetterais ainsi de bon cœur.
La journée se passa de cette sorte à folâtrer avec la plus grande liberté, et toujours avec la plus grande décence. Pas un seul mot équivoque, pas une seule plaisanterie hasardée ; et cette décence, nous ne nous l'imposions point du tout, elle venait toute seule, nous prenions le ton que nous donnaient nos cœurs. Enfin ma modestie, d'autres diront ma sottise, fut telle, que la plus grande privauté* qui m'échappa fut de baiser une seule fois la main de Mlle Galley. Il est vrai que la circonstance donnait du prix à cette légère faveur. Nous étions seuls, je respirais avec embarras, elle avait les yeux baissés. Ma bouche, au lieu de trouver des paroles, s'avisa de se coller sur sa main, qu'elle retira doucement après qu'elle fut baisée, en me regardant d'un air qui n'était point irrité. Je ne sais ce que j'aurais pu lui dire : son amie entra, et me parut laide en ce moment.
Enfin elles se souvinrent qu'il ne fallait pas attendre la nuit pour rentrer en ville. Il ne nous restait que le temps qu'il fallait pour arriver de jour, et nous nous hâtâmes de partir en nous distribuant comme nous étions venus. Si j'avais osé, j'aurais transposé cet ordre ; car le regard de Mlle Galley m'avait vivement ému le cœur ; mais je n'osai rien dire, et ce n'était pas à elle de le proposer. En marchant nous disions que la journée avait tort de finir, mais, loin de nous plaindre qu'elle eût été courte, nous trouvâmes que nous avions eu le secret de la faire longue, par tous les amusements dont nous avions su la remplir.
Je les quittai à peu près au même endroit où elles m'avaient pris. Avec quel regret nous nous séparâmes ! Avec quel plaisir nous projetâmes de nous revoir ! Douze heures passées ensemble nous valaient des siècles de familiarité. Le doux souvenir de cette journée ne coûtait rien à ces aimables filles ; la tendre union qui régnait entre nous trois valait des plaisirs plus vifs, et n'eût pu subsister avec eux : nous nous aimions sans mystères et sans honte, et nous voulions nous aimer toujours ainsi. L'innocence des mœurs a sa volupté, qui vaut bien l'autre, parce qu'elle n'a point d'intervalle et qu'elle agit continuellement. Pour moi, je sais que la mémoire d'un si beau jour me touche plus, me charme plus, me revient plus au cœur que celle d'aucuns plaisirs que j'aie goûtés en ma vie. Je ne savais pas trop bien ce que je voulais à ces deux charmantes personnes, mais elles m'intéressaient beaucoup toutes deux. Je ne dis pas que, si j'eusse été le maître de mes arrangements, mon cœur se serait partagé ; j'y sentais un peu de préférence. J'aurais fait mon bonheur d'avoir pour maîtresse Mlle de Graffenried ; mais à choix, je crois que je l'aurais mieux aimée pour confidente. Quoi qu'il en soit, il me semblait en les quittant que je ne pourrais plus vivre sans l'une et sans l'autre. Qui m'eût dit que je ne les reverrais de ma vie, et que là finiraient nos éphémères amours ?

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