Francesco Tuccari
1. Nel decennio
compreso tra l’inizio degli anni Novanta del Novecento e i primi anni del XXI
secolo il terrorismo ha continuato a costituire, su scala planetaria, uno
strumento di destabilizzazione assai efficace, sia nelle sue molteplici e ormai
ben note varianti "nazionali’ sia sul terreno assai insidioso della politica e
delle relazioni internazionali. Mentre tuttavia nella sua prima e più
tradizionale fattispecie – quella del terrorismo che potremmo genericamente
definire "interno" – il fenomeno si è andato riproducendo secondo modalità ormai
da tempo sperimentate e semmai, a seconda dei casi, con qualche relativa o anche
significativa flessione, nella seconda fattispecie – quella del terrorismo
"internazionale" – esso ha assunto dimensioni, intensità e implicazioni nuove e
di enorme rilievo. Come infatti è stato più volte rilevato nella letteratura e
come hanno drammaticamente mostrato gli spettacolari attentati dell’11 settembre
2001 contro il World Trade Center di New York e il Pentagono a Washington, il
terrorismo "globale" – secondo una definizione sempre più spesso utilizzata da
studiosi e osservatori politici – è divenuto parte integrante del nuovo
ordine/disordine mondiale subentrato dopo il 1989-91, al tramonto dell’età
bipolare. Di più: è diventato – o quanto meno sembra destinato a diventare – una
delle forme privilegiate e senza dubbio più pericolose delle guerre che con ogni
probabilità si combatteranno nel terzo millennio. Non soltanto in aree
geopolitiche tradizionalmente instabili, ma anche nel cuore stesso
dell’Occidente. È questa, per citare un unico autorevole esempio, la tesi che
François Heisbourg ha fissato nel suo breve ma densissimo libro su Il futuro
della guerra (Garzanti, Milano 1999). Nel quale, per l’appunto, si sostiene che
nei prossimi venticinque anni, accanto alle "guerre degli Stati criminali"
scatenate da violente dittature antioccidentali in possesso di armi di
distruzione di massa (tra il Nord Africa e l’Afghanistan), accanto alle "guerre
di secessione" innescate da sottogruppi alla ricerca del potere (dal
subcontinente indiano all’Africa subsahariana, dai Balcani ai territori dell’ex
Unione Sovietica) e accanto alle "guerre classiche clausewitziane" che
perseguiranno obiettivi ottocenteschi con gli strumenti del XXI secolo
(soprattutto in Asia orientale), si affiancherà ancora una quarta categoria di
"guerre", che coinvolgeranno con gravissime conseguenze in special modo i paesi
industrializzati: le "guerre di disgregazione" dirette da gruppi interni e
stranieri con strumenti che spazieranno dal "terrore estremo", con l’impiego di
armi chimiche, batteriologiche e al limite nucleari, alla "distruzione virtuale"
della cyberguerra.
In un simile quadro, in
cui gli stessi confini tra terrorismo e guerra vengono sempre più a confondersi,
è difficile abbozzare un tentativo di ridefinizione di un fenomeno che è
peraltro risultato quasi sempre refrattario a concettualizzazioni in qualche
modo univoche. Conviene piuttosto provare a costruire una mappa, necessariamente
schematica, dei principali "terrorismi" vecchi e nuovi che hanno operato nel
decennio in questione*. Per poi svolgere qualche breve considerazione di
carattere più generale sul rapporto che lega alcune forme di terrorismo globale"
– connesse per lo più a frange estreme del fondamentalismo islamico e sostenute
più o meno apertamente da quelli che vengono chiamati gli ‘Stati-sponsor’, (o
‘Stati-canaglia’) – agli scenari possibili della politica internazionale tra XX
e XXI secolo**.
* 2. Sono all’incirca una
cinquantina le principali organizzazioni terroristiche interne e internazionali
che, sotto un numero assai più ampio di sigle e con svariate ramificazioni,
operano attualmente nel mondo: in Europa, in America Latina, nel Nord America,
in Medio Oriente, in Asia, in Africa e nei territori dell’ex Unione Sovietica.
Molte di esse hanno una storia ormai pluridecennale. Altre, invece, sono sorte e
si sono consolidate tra la fine degli anni Ottanta e il principio degli anni
Novanta del secolo scorso, vale a dire alla vigilia o durante il decennio che ci
interessa qui analizzare. Tra i gruppi terroristici che possiamo definire
"storici", alcuni hanno mantenuto sostanzialmente intatte le proprie strutture
organizzative e le proprie capacità operative. Altri, invece, sembrerebbero
ormai avviati sulla strada di una crisi senza ritorno, nonostante episodici ma
altamente drammatici sussulti di violenza. Più in generale, parrebbe per il
momento conclusa, quanto meno in Europa, la parabola dei terrorismi di carattere
ideologico-politico, che hanno conosciuto una rilevante fioritura soprattutto
negli anni Settanta e nei primi anni Ottanta. Mantengono invece una notevole
vitalità e, in alcuni casi, grandi capacità di escalation i terrorismi legati
per un verso a rivendicazioni autonomistiche, indipendentistiche e
nazionalistiche, e per un altro verso a fondamentalismi religiosi e
confessionali di vario tipo, in primo luogo al fondamentalismo islamico. Si è
dimostrato altrettanto vitale il cosiddetto "narcoterrorismo", mentre sono
andati più in genere consolidandosi i rapporti tra le attività terroristiche e
quelle della criminalità organizzata, che per parte sua – così ad esempio la
mafia in Italia – ha sempre più spesso fatto ricorso in prima persona a metodi
di violenza e di intimidazione tipicamente terroristici. Alimentato da irrisolti
conflitti di carattere nazionale (prima fra tutte la questione palestinese),
ulteriormente potenziato dalle parole d’ordine dei gruppi più radicali del
fondamentalismo islamico (l’appello alla "guerra santa" contro il grande e il
piccolo Satana: gli Stati Uniti e Israele), sostenuto dagli interessi politici
ed economici di alcuni Stati-sponsor quali l’Afghanistan dei taleban e l’Iraq di
Saddam Hussein, inestricabilmente legato alle attività della criminalità
organizzata (in particolare al traffico di droga e armi), deciso ad utilizzare
tutti gli strumenti possibili (iella violenza politica (dall’assassinio
individuale, alla strage ad opera di kamikaze sino all’impiego di armi chimiche
e biologiche), è stato soprattutto il terrorismo internazionale - come si è già
detto – a dominare la scena negli ultimi anni. Si deve peraltro aggiungere che,
accanto a questi differenti terrorismi, hanno continuato ad essere più in
generale molto diffuse le pratiche del terrore messe in opera su vasta scala
dagli Stati stessi: da un lato, nel corso delle numerose guerre che hanno
costellato il periodo (in particolare nella ex Iugoslavia); dall’altro lato, nei
confronti soprattutto degli oppositori politici interni e delle minoranze
nazionali (si pensi soltanto alla drammatica vicenda del popolo
curdo).
In Europa, tra i
terrorismi "storici’ che sembrano aver ormai esaurito ogni ulteriore e
significativa capacità di sviluppo, si devono ricordare innanzitutto le Brigate
Rosse che hanno segnato una delle pagine senza dubbio più drammatiche della
storia dell’Italia repubblicana. Di fatto già in crisi all’indomani
dell’assassinio di Aldo Moro (1978) e del rapimento del generale americano James
Dozier (1981), pressochè del tutto scomparse dopo l’uccisione del senatore
Ruffilli (1988), grazie anche ad una più efficace opera di repressione da parte
dello Stato, esse hanno tuttavia improvvisamente riconquistato la scena, nel
maggio del 1999, rivendicando l’omicidio dell’avvocato Massimo D’Antona. già
sottosegretario nel governo Dini, poi consulente del governo Prodi e. all’epoca
dell’agguato, consigliere del ministro Antonio Bassolino nel governo D’Alema. Un
destino in qualche modo analogo è toccato alla tedesca Rote Armee Fraktion,
sorta nel maggio del 1970 dal’gruppo Eaader Meinhof e attiva per una gran parte
degli anni Settanta e Ottanta come uno dei più agguerriti gruppi terroristici
europei. Dopo un ultimo omicidio rivendicato nel 1991, un attentato dinamitardo
nel 1993 e un silenzio protrattosi per cinque anni, nell’aprile del 1998 la RAF,
con un comunicato a sorpresa, ha annunciato il proprio definitivo scioglimento,
sottolineando come suo errore strategico di fondo "quello di non aver dato vita
a una organizzazione sociale e politica che potesse affiancare la struttura
militare illegale". Assai diversa è la parabola seguita da due altre
organizzazioni storiche del terrorismo europeo, legate peraltro a due complesse
questioni "nazionali": l’IRA (Irish Republican Army), sorta nel 1919, e l’ETA
(Euzkadi Ta Askatasuna, Terra basca e libertà), fondata nel 1959, attive
rispettivamente nell’Irlanda del Nord e in Spagna. Entrambi i gruppi, nonostante
importanti momenti di tregua e di "cessate il fuoco", hanno continuato a operare
con i tradizionali metodi del terrore – soprattutto omicidi e attentati
dinamitardi – per tutto il corso degli anni Novanta e nei primi anni del nuovo
secolo: da ultimo l’ETA, nell’ottobre del 2001, con un’autobomba fatta esplodere
nel centro di Madrid. Di un certo rilievo, ancora, le azioni della
Organizzazione Rivoluzionaria 17 novembre, un gruppo di estrema sinistra
operante in Grecia sin dal 1975, che nell’ultimo decennio del XX secolo si è
distinto in vari attentati terroristici, tra cui il lancio di alcuni missili
contro l’ambasciata tedesca ad Atene e l’assassinio, nel giugno del 2000,
dell’addetto militare dell’ambasciata britannica Stephen Saunders.
Fuori d’Europa il
terrorismo – spesso in stretta relazione con movimenti più diffusi di guerriglia
– ha in parte mantenuto e in parte assunto una grande varietà di volti, In
India, ad esempio, hanno continuato a operare in modo significativo, per lo meno
sino alla prima metà degli anni Novanta, le varie famiglie del terrorismo Sikh,
già responsabile nel 1984 dell’assassinio di Indira Gandhi. Nelle Filippine,
accanto al terrorismo islamico di cui parleremo più avanti, è rimasto attivo per
tutto il decennio il Nuovo Esercito del Popolo, una formazione di ispirazione
maoista sorta nel dicembre 1969, che ha preso di mira in modo particolare
obiettivi americani. Nello Sri Lanka le Tigri Tamil, che sin dal 1983 combattono
con le armi il governo del paese, hanno fatto ricorso in maniera assai rilevante
a strategie di tipo terroristico, distinguendosi in special modo in attentati
dinamitardi suicidi, realizzati dal gruppo delle cosiddette Tigri Nere. lì
Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK), di ispirazione marxista-leninista,
fondato nel 1974 con l’obiettivo di creare uno stato curdo indipendente nelle
regioni sud-orientali della Turchia (a maggioranza curda), ha operato con metodi
terroristici per tutto il corso degli anni Novanta non soltanto nella stessa
Turchia, ma anche in diverse città europee, contro obiettivi diplomatici e
commerciali turchi, entrando in crisi dopo l’arresto del suo leader Abdullah
Ocalan nel 1999 e dichiarando nel 2000 la sua intenzione di convertirsi alla
lotta legale in favore dei diritti dei curdi. Sempre in Turchia, e sempre nel
corso degli anni Novanta, il Fronte Rivoluzionario per la Liberazione del
Popolo, una formazione di ispirazione marxista violentemente ostile agli Stati
Uniti e alla Nato, ha condotto azioni terroristiche contro obiettivi turchi e
americani. Anche l’Armata Rossa Giapponese – fondata intorno al 1970 con
l’obiettivo di rovesciare il governo e le istituzioni imperiali giapponesi e di
fomentare la rivoluzione mondiale, legata a gruppi terroristici palestinesi e
divenuta drammaticamente nota per il massacro realizzato nel 1972 all’aeroporto
di Tel Aviv – ha continuato a operare negli anni Novanta con basi logistiche non
solo in Giappone ma anche a Manila e Singapore. Verso la fine del decennio,
tuttavia, dopo il fallimento di un attentato dinamitardo negli Stati Uniti
(1998) e l’arresto in Giappone della sua leader storica Fusako Shigenobu (2000).
ha dichiarato ormai definitivamente esaurita la strategia del
terrore.
Un interesse
particolare rivestono le formazioni terroristiche e di guerriglia che hanno
operato e in parte continuano ancora a operare nella complessa realtà
dell’America Latina, seppure nel segno dì una crisi sempre più evidente. Tra
queste si devono almeno ricordare il Fronte patriottico Manuel Rodriguez, sorto
nel 1983 come frangia armata del Partito comunista cileno e ancora attivo negli
anni Novanta del Novecento, sebbene profondamente indebolito da una sistematica
opera di repressione; le Forze ribelli popolari Lautaro fondate, sempre in Cile,
verso la fine degli anni Ottanta; l’Esercito di liberazione nazionale e i
guerriglieri Tupac Katari in Bolivia, ancora attivi nella prima metà degli anni
Novanta; le Forze armate rivoluzionarie della Colombia, operanti sin dal 1964 in
quanto ala militare del Partito comunista, spesso in connessione con i
narcotrafficanti, e l’Esercito di liberazione nazionale colombiano, un gruppo
marxista sorto nel 1965 e ispirato a Fidel Castro e Che Guevara, che tra il 1999
e il 2000 ha avviato, insieme alle Forze armate rivoluzionarie, un tentativo di
dialogo con il governo; Sendero luminoso, sorto verso la fine degli anni
Sessanta in Perù e divenuto negli anni Ottanta uno dei più attivi e violenti
movimenti terroristici dell’America Latina; e, ancora, il Movimento
rivoluzionario Tupac Amaru, attivo anch’esso in Perù sin dal 1983, di
ispirazione marxista-leninista, salito alla ribalta delle cronache nel dicembre
1996 per un clamoroso assalto alla residenza dell’ambasciatore giapponese a
Lima, dove per ben quattro mesi un kommando tenne in ostaggio 72 persone, fino
all’aprile del 1997, quando le forze antiterrorismo fecero irruzione nella
residenza liberando gli ostaggi e uccidendo tutti i terroristi.
Un rilievo del tutto
particolare hanno i gruppi terroristi in vario modo legati al fondamentalismo
islamico, i quali, radicati in una area vastissima compresa tra Africa
Settentrionale, Medio Oriente e Asia, e con capacità di azione su scala
planetaria, hanno giocato un ruolo fondamentale nel terrorismo internazionale di
questi ultimi anni. Tra essi, l’organizzazione Abu Nidal, sorta nel 1974 da una
scissione dell’OLP, ritenuta responsabile nel 1985 di due gravi attentati negli
aeroporti di Roma e di Vienna, tuttora attiva probabilmente con basi in Iraq; la
Jihad islamica palestinese, nata già negli anni Settanta con l’obiettivo di
distruggere lo Stato di Israele attraverso la guerra santa e responsabile di
svariati attentati terroristici – molti dei quali con l’impiego di kamikaze –
nella striscia di Gaza, in Cisgiordania e in Israele; il Fronte Popolare per la
liberazione della Palestina, fondato nella seconda metà degli anni Sessanta da
George Habbash e ostile – come il Fronte Popolare per la Liberazione della
Palestina - Comando generale (con sede a Damasco) – a qualsiasi prospettiva di
pacificazione con Israele; il Fronte per la Liberazione della Palestina,
divenuto celebre nel 1985 per il sequestro dell’Achille Lauro; la Jihad islamica
e Al-Gama’a AI-lslamiya, due gruppi estremistici islamici fondati in Egitto
negli anni Settanta, il secondo dei quali – con ogni probabilità responsabile
del massacro di Luxor del 1997, che ha provocato la morte di quasi una
sessantina di turisti stranieri – ha proclamato una tregua nel 1999; il gruppo
Hezbollah, il "Partito di Dio", fondato in Libano, già noto per due gravissimi
attentati realizzati a Beirut nella prima metà degli anni Ottanta contro una
caserma di militari statunitensi (1983) e l’ambasciata americana (1984), costati
la vita rispettivamente a 200 e a 14 persone; il Gruppo Islamico Armato, attivo
in Algeria a partire dal 1992, l’anno in cui furono annullate le elezioni vinte
dal Fronte Islamico di Salvezza, e responsabile di una catena impressionante di
attentati, in cui sono morte ormai decine di migliaia di persone; i Mujahidin
del Popolo, che agiscono in Iran: Harakat ul-Mujahidin, operante in Pakistan,
probabilmente in contatto con Osama Bin Laden, e attivo in special modo nel
Kashmir, Jamaat ul-Fuqra, anch’esso radicato in Pakistan, ma attivo attraverso
alcune cellule negli stessi Stati Uniti; il gruppo Abu Sayyaf, attivo nelle
Filippine con l’obiettivo di creare uno stato islamico nelle province
meridionali del paese e distintosi nel 2000 per il sequestro di una ventina di
turisti occidentali liberati poi, dopo diversi mesi, con la mediazione della
Libia.
Tra i gruppi
terroristici islamici hanno assunto un ruolo particolarmente importante Hamas e
AI-Qaeda. Sorta nel 1987 in quanto gruppo palestinese della "Fratellanza
musulmana", Hamas ha le sue principali basi in Cisgiordania e nella Striscia di
Gaza ed è direttamente implicata nell’ondata di attacchi suicidi che
soprattutto nell’ultima parte degli anni Novanta e nel 2000-2001 hanno
insanguinato Israele e i Territori. Al-Qaeda è invece l’organizzazione fondata
dallo sceicco saudita Osama Bin Laden tra la fine degli anni Ottanta e il
principio degli anni Novanta con l’obiettivo di scatenare la guerra santa contro
l’Occidente e gli stessi paesi arabi moderati in vario modo compromessi con il
grande e il piccolo Satana: gli Stati Uniti e Israele. A questo scopo, essa ha
dato vita nel giugno 1998 al Fronte internazionale islamico, a cui hanno aderito
tutti i principali gruppi jihadisti radicali. Ad Al-Qaeda e al suo leader è
stata attribuita la responsabilità diretta o indiretta di una lunga serie di
attentati terroristici "internazionali": la bomba esplosa in un albergo di Aden,
nello Yemen, in cui soggiornavano militari americani diretti in Somalia, che
uccise invece due turisti austriaci (29 dicembre 1992); l’attentato con un
autobomba al World Trade Center di New York, in cui persero la vita sei persone
e ne rimasero ferite oltre un migliaio (26 febbraio 1993); l’uccisione di
diciotto militari americani a Mogadiscio (3ottobre 1993); il fallito attentato
contro il presidente egiziano Hosni Mubarak in visita ad Addis Abeba (26 giugno
1995); l’attentato contro la Guardia Nazionale dell’Arabia Saudita, in cui
persero la vita cinque soldati americani e due indiani, con oltre sessanta
feriti (13 novembre 1995); l’autobomba esplosa nel quartier generale
dell’aeronautica statunitense a Khobar, in Arabia Saudita, che uccise diciannove
soldati e ne ferì circa trecento (25 giugno 1996); il già citato massacro di
turisti stranieri a Luxor (17 novembre 1997); l’attentato dinamitardo contro le
ambasciate americane di Nairobi e Dar es-Salaam, in cui persero la vita
complessivamente 258 persone, con migliaia di feriti (7 agosto 1998);
l’attentato contro un cacciatorpediniere statunitense, nel porto di Aden,
condotto da un kommando suicida su un gommone imbottito di esplosivo, che fece
diciassette vittime e una quarantina di feriti (12 ottobre 2000); e infine i
tragici attentati di New York e Washington dell’11 settembre 2001, i più gravi e
spettacolari atti terroristici mai compiuti nella storia, realizzati attraverso
il dirottamento pressoché simultaneo di tre aerei di linea poi proiettati a
folle velocità da kommandos kamikaze contro le Twin Towers a Manhattan e il
Pentagono (un quarto aereo, anch’esso dirottato, precipitò in Pennsylvania prima
di raggiungere il suo obiettivo). Drammatico il bilancio degli attentati: quasi
settemila morti, un numero elevatissimo di feriti, nonché il crollo delle Twin
Towers e la distruzione di un’ala del Pentagono, i simboli del potere economico
e militare degli Stati Uniti. Drammatiche le conseguenze: da un lato, l’inizio
(a partire dal mese di ottobre) di una guerra di vaste proporzioni, sostenuta
peraltro da un ampio consenso internazionale, contro l’Afghanistan dei taleban,
i protettori di Osama Bin Laden e della rete di AI-Qaeda; dall’altro lato,
sempre nel mese di ottobre, l’inizio di una nuova serie di attentati
terroristici negli Stati Uniti realizzati mediante la diffusione del bacillo del
carbonchio (antrace), i quali, pur non risultando quasi mai letali in relazione
all’alto numero di persone esposte al rischio di contaminazione, hanno nondimeno
creato un’ondata di panico senza precedenti nel paese, dando sostanza al timore
di un terrorismo ormai capace e disposto a fare ricorso ad armi biologiche e
chimiche, come era già avvenuto in modo del tutto episodico nel marzo 1995 a
Tokyo, quando membri della setta Aum Shinrikyo ("Suprema Verità") uccisero 12
persone e ne intossicarono migliaia nella metropolitana utilizzando il micidiale
gas sarin.
** 3. Gli attentati
dell’11 settembre 2001 hanno segnato senza dubbio una svolta nella storia del
terrorismo. Alcuni vi hanno letto, forse con qualche esagerazione. il segno
dell’inizio della "terza guerra mondiale", richiamando e sovrapponendo
impressionisticamente due immagini scolpite per sempre nella memoria del
Novecento: quella dell’assassinio dell’arciduca Francesco Ferdinando a Sarajevo
(28 giugno 1914) e quella dell’attacco giapponese a Pearl Harbor (7 dicembre
1941). Di sicuro essi hanno confermato due dati generali di grande rilievo, cui
abbiamo già fatto cenno al principio.
Il primo dato è che, a
fronte di una crisi diffusa dei terrorismi "interni" – naturalmente con le
importanti eccezioni che abbiamo sopra richiamato – Il terrorismo
"internazionale" o "globale" sta mostrando di avere a propria disposizione
risorse straordinarie e una capacità di offendere sempre maggiore e, nel caso
dell’11 settembre, semplicemente impensabile. Una capacità, si deve aggiungere,
che già nel corso del decennio 1990-2000, si era tradotta in un numero molto
elevato di attacchi terroristici: in totale 4247, stando almeno alle statistiche
del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti, con le punte più elevate nel 1991
(565), nel 1993 (431), nel 1995(440) e nel 1996 (423). Se d’altra parte si
confronta il drammatico (e ancora non del tutto definitivo) bilancio delle
vittime del solo 11 settembre 2001 – lo ripetiamo: quasi settemila morti, tra
l’altro per lo più civili e di svariate nazionalità – con quello delle vittime
di attentati terroristici degli anni precedenti (314 nel 1994, 165 nel 1995, 311
nel 1996, 221 nel 1997, 741 nel 1998, 233 nel 1999, 405 nel 2000), il salto di
qualità, del resto già implicito nella scelta stessa degli obiettivi da colpire,
risulta immediatamente evidente.
Questa clamorosa
escalation del potenziale distruttivo e della volontà di distruggere mostra
altresì – ed è il secondo dato – che è sempre più difficile distinguere in modo
chiaro e univoco quelle due forme fondamentali della violenza politica che sono
la guerra e il terrorismo. E ciò perché, come si poteva in parte già intuire
nell’ultimo decennio del XX secolo e come sta diventando sempre più evidente nel
XXI – sia i terrorismi sia le guerre stanno probabilmente mutando in modo
sostanziale la propria natura nel quadro delle profonde trasformazioni della
società e della politica internazionale che hanno segnato il trapasso al terzo
millennio. In un mondo, cioè, in cui gli Stati – e con essi le guerre
tradizionali – cessano sempre più di essere i soggetti decisivi delle relazioni
internazionali; in cui con il tracollo dell’Unione Sovietica è andata
prepotentemente riemergendo la "complessità geopolitica del pianeta"; in cui
potenti processi di globalizzazione delle risorse e dei flussi culturali rendono
le società umane sempre più omogenee e al tempo stesso, per reazione, più
frammentate; in cui agiscono spinte fortissime all’integrazione e nel contempo
alla disgregazione degli spazi politici; in cui permangono profondissimi
squilibri tra le cittadelle ristrette del benessere e dello sviluppo e le
immense periferie della miseria, del sottosviluppo e della disperazione; in cui
può diventare sempre più fertile il terreno su cui fioriscono – e di fatto
stanno fiorendo – le retoriche dello "scontro delle civiltà", di cui ha parlato
sin dal 1993 il politologo americano Samuel P. Huntington; e in cui, di
conseguenza, possono moltiplicarsi le occasioni per l’esplosione di quelle
"guerre asimmetriche" di cui il terrorismo globale – per il momento nella forma
tutt’altro che metaforica della "guerra santa contro MacMondo", secondo
l’espressione di Benjamin R. Barber – è oggi un attore fondamentale.
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