Gianni Riotta
Vasillij Grossman, il libro venuto dal futuro
Lo scrittore russo moriva 50 anni fa. In Vita e destino ha narrato il Lager e il gulag, ma anche la violenza e l’ipocrisia al potere, la forza degli eroi umiliati, le vittime che diventano carnefici: anticipando temi del nostro secolo
La Stampa, 7 settembre 2014
Alla fine degli Anni Cinquanta, mentre gli intellettuali snob piagnucolano la morte del Romanzo a Milano e New York, un gigante russo, solo, poverissimo, malato, senza salario e editore, stende il capolavoro della letteratura del XX secolo, disperando di vederlo mai stampato. La vita e il destino di Vasilij Semënovic Grossman, autore del romanzo monumentale e leggendario Vita e destino (Adelphi), sarebbero da soli trama struggente e simbolica, ma il suo lavoro titanico, tra persecuzione sovietica e solitudine, testimonia del coraggio morale di un artista.
Nato a Berdicev in Ucraina il 12 dicembre 1905, Grossman muore a 58 anni, il 14 settembre 1964, roso dal cancro allo stomaco, senza cure, senza sostegno, certo che il suo romanzo non vedrà la luce. Glielo assicura il Gran Censore del Pcus, Mikhail Suslov («Il tuo libro non potrà esser pubblicato neppure fra 300 anni…»), e gli agenti del Kgb, apparato di repressione che l’ex agente Vladimir Putin riabilita a Mosca, sequestrano nella dacia, la villetta di Grossman, manoscritti, note, perfino i nastri della macchina da scrivere. Una copia singola è affidata a un amico, occultata in un armadio da Semyon Lipkin, trafugata dallo scrittore satirico Voinovich, microfilmata dal fisico dissidente Andrej Sacharov, contrabbandata in Svizzera per la trascrizione degli attivisti Etkind e Markish.
Nulla nella vita di Grossman lasciava prevedere il destino avventuroso e tormentato. Dall’Ucraina della famiglia ebrea, va a lavorare nel Donbass, l’area industriale teatro della guerra 2014 tra russi e ucraini. Decide però di dedicarsi alla scrittura, i suoi racconti attraggono l’attenzione del patriarca delle lettere Gorky e le lodi di Bulgakov, genio sperimentale del Maestro e Margherita. Il timidissimo scrittore, con gli occhiali di tartaruga e i modi ben educati, viene apprezzato nei circoli della capitale, ma sono gli anni terribili delle purghe, l’era di Yezhov, capo della Nkvd, i cui agenti in giacca di cuoio arrestano milioni di innocenti di notte, finendoli poi, dopo grotteschi processi e torture orrende, con un colpo di pistola alla nuca. Così cadono il poeta Mandel’štam, il figlio della poetessa Akhmatova, lo scrittore Babel’, che pure era amico della moglie di Yezhov, e una generazione di contadini, intellettuali, operai, quadri. Il timido Grossman, quando l’ex marito della sua nuova compagna, Olga Mikhailovna, viene arrestato – e lei con lui secondo tragica usanza russa –, non esita a scrivere a Yezhov, chiedendo la liberazione della donna e facendosi affidare i figli. Bastava molto meno per finire al gulag o nella fossa comune. Grossman la scampa, dando la prima prova di coraggio.
Quando poi Hitler attacca la Russia nel 1941, l’intellettuale che non ha mai imbracciato un fucile si arruola e scrive per il giornale dell’esercito. Sfugge per un soffio all’avanzata tedesca, vede Berdicev cadere nelle mani naziste, saprà dopo che la mamma è stata giustiziata, con migliaia di ebrei, nei pogrom. Dalla ritirata dell’Armata Rossa, all’assedio e la controffensiva di Stalingrado, 1942-1943, fino alla battaglia di Kursk, il più grande duello di carri armati della storia, alla liberazione del Lager di Treblinka e la caduta di Berlino 1945, Grossman è in prima linea l’inviato più amato dai soldati. All’ombra di una tenda, accanto a un falò di campo, tra le barelle degli ospedali, vede i soldati, macilenti, stanchi, leggersi a vicenda gli articoli che firma, senza propaganda, fermandosi su un vecchio profugo fiero, una bambina senza casa, la solidarietà di chi divide il rancio congelato. In una pagina, oggi raccolta da Adelphi, fa la storia del mulo italiano, sopravvissuto alla rotta dell’Armir, che si innamora di una cavallina russa e, tra le risate dei soldati, nitrisce felice nella steppa, fiaba nell’orrore.
Tornata la pace, Stalin perseguita gli ebrei. Il Libro nero di denuncia dei pogrom nazisti*, scritto con Il’ja Erenburg (Mondadori), viene censurato e Grossman si vede isolato, ridotto a tradurre dall’armeno il libro di uno scrittorucolo (non conosce la lingua, si fa aiutare da una versione interlineare). Ma non si amareggia, senza livore si impegna su Vita e destino, racconti e reportage, Tutto scorre, La cagnetta, II bene sia con voi! (Adelphi, anche ebook).
Vita e destino è libro del futuro, già del XXI secolo nel contenuto, mentre la forma del romanzo tradizionale tiene testa a Guerra e pace di Tolstoj. Perché nel dar conto della vita del fisico Viktor Štrum, isolato e poi salvato da Stalin con una telefonata, Grossman racconta il totalitarismo, Lager e gulag in un romanzo, Levi con Solzenicyn, ma anche la violenza e l’ipocrisia al potere, la viltà di chi si piega, umano, la forza degli eroi umiliati, i mostri persecutori e le vittime sacrificali, il passaggio repentino, per un caso bizzarro, da un ruolo all’altro. Nel secolo delle masse che cozzano tra loro, Grossman, cronista e scrittore, si ferma sull’individuo dolente e irriducibile, e vive nel nostro tempo, stagione di persone libere, contro l’orrore dell’intolleranza.
Fermatevi, in questo anniversario di mezzo secolo, sulla pagina in cui una mamma, con la sola forza del suo amore, si sforza di levare il figlio caduto in battaglia dall’umile fossa di terra, come Gesù con Lazzaro. La battaglia tra amore e morte, famiglia e mondo terribile, è la morale di Grossman, senza la cadenza solenne di Beethoven che talvolta echeggia in Tolstoj, ma con leggerezza, ironia, sorriso. Dalle ceneri e i roghi del Novecento, con «onore senza gloria» secondo la massima di Benjamin, Vasilij Grossman indica una strada semplice e formidabile: noi persone, la nostra famiglia, la vita domestica, gli amici a cena siamo il luogo profondo delle libertà e delle fedi; nei sentimenti, l’amore, gli affetti, è il vero Sole dell’Avvenire. Augurare il bene al viandante sconosciuto come i contadini in Armenia è manifesto di emancipazione che sopravvive a Lenin, Stalin e ai loro epigoni di un secolo tragico, riscattato dal romanzo che neppure nel 2314 poteva esser pubblicato.
(*) Il libro nero Il genocidio nazista nei territori sovietici 1941-1945, Mondadori 2001 [1993]
David Bidussa
“Vita e destino”, di Vasilij Grossman è un grande libro. Ci sono fonti letterarie che sono in grado di essere piste significative per la comprensione di un contesto che nessun storico sarebbe mai in grado di ricostruire o di trovare in nessuna fonte. Quando i russi vincono la battaglia di Stalingrado, sulla quale il libro è imperniato, Grossman scrive: “Avevano vinto il popolo russo e il regime sovietico, ma questo non migliorava i rapporti tra loro”. Geniale. Semplicemente.
Vasillij Grossman, il libro venuto dal futuro
Lo scrittore russo moriva 50 anni fa. In Vita e destino ha narrato il Lager e il gulag, ma anche la violenza e l’ipocrisia al potere, la forza degli eroi umiliati, le vittime che diventano carnefici: anticipando temi del nostro secolo
La Stampa, 7 settembre 2014
Alla fine degli Anni Cinquanta, mentre gli intellettuali snob piagnucolano la morte del Romanzo a Milano e New York, un gigante russo, solo, poverissimo, malato, senza salario e editore, stende il capolavoro della letteratura del XX secolo, disperando di vederlo mai stampato. La vita e il destino di Vasilij Semënovic Grossman, autore del romanzo monumentale e leggendario Vita e destino (Adelphi), sarebbero da soli trama struggente e simbolica, ma il suo lavoro titanico, tra persecuzione sovietica e solitudine, testimonia del coraggio morale di un artista.
Nato a Berdicev in Ucraina il 12 dicembre 1905, Grossman muore a 58 anni, il 14 settembre 1964, roso dal cancro allo stomaco, senza cure, senza sostegno, certo che il suo romanzo non vedrà la luce. Glielo assicura il Gran Censore del Pcus, Mikhail Suslov («Il tuo libro non potrà esser pubblicato neppure fra 300 anni…»), e gli agenti del Kgb, apparato di repressione che l’ex agente Vladimir Putin riabilita a Mosca, sequestrano nella dacia, la villetta di Grossman, manoscritti, note, perfino i nastri della macchina da scrivere. Una copia singola è affidata a un amico, occultata in un armadio da Semyon Lipkin, trafugata dallo scrittore satirico Voinovich, microfilmata dal fisico dissidente Andrej Sacharov, contrabbandata in Svizzera per la trascrizione degli attivisti Etkind e Markish.
Nulla nella vita di Grossman lasciava prevedere il destino avventuroso e tormentato. Dall’Ucraina della famiglia ebrea, va a lavorare nel Donbass, l’area industriale teatro della guerra 2014 tra russi e ucraini. Decide però di dedicarsi alla scrittura, i suoi racconti attraggono l’attenzione del patriarca delle lettere Gorky e le lodi di Bulgakov, genio sperimentale del Maestro e Margherita. Il timidissimo scrittore, con gli occhiali di tartaruga e i modi ben educati, viene apprezzato nei circoli della capitale, ma sono gli anni terribili delle purghe, l’era di Yezhov, capo della Nkvd, i cui agenti in giacca di cuoio arrestano milioni di innocenti di notte, finendoli poi, dopo grotteschi processi e torture orrende, con un colpo di pistola alla nuca. Così cadono il poeta Mandel’štam, il figlio della poetessa Akhmatova, lo scrittore Babel’, che pure era amico della moglie di Yezhov, e una generazione di contadini, intellettuali, operai, quadri. Il timido Grossman, quando l’ex marito della sua nuova compagna, Olga Mikhailovna, viene arrestato – e lei con lui secondo tragica usanza russa –, non esita a scrivere a Yezhov, chiedendo la liberazione della donna e facendosi affidare i figli. Bastava molto meno per finire al gulag o nella fossa comune. Grossman la scampa, dando la prima prova di coraggio.
Quando poi Hitler attacca la Russia nel 1941, l’intellettuale che non ha mai imbracciato un fucile si arruola e scrive per il giornale dell’esercito. Sfugge per un soffio all’avanzata tedesca, vede Berdicev cadere nelle mani naziste, saprà dopo che la mamma è stata giustiziata, con migliaia di ebrei, nei pogrom. Dalla ritirata dell’Armata Rossa, all’assedio e la controffensiva di Stalingrado, 1942-1943, fino alla battaglia di Kursk, il più grande duello di carri armati della storia, alla liberazione del Lager di Treblinka e la caduta di Berlino 1945, Grossman è in prima linea l’inviato più amato dai soldati. All’ombra di una tenda, accanto a un falò di campo, tra le barelle degli ospedali, vede i soldati, macilenti, stanchi, leggersi a vicenda gli articoli che firma, senza propaganda, fermandosi su un vecchio profugo fiero, una bambina senza casa, la solidarietà di chi divide il rancio congelato. In una pagina, oggi raccolta da Adelphi, fa la storia del mulo italiano, sopravvissuto alla rotta dell’Armir, che si innamora di una cavallina russa e, tra le risate dei soldati, nitrisce felice nella steppa, fiaba nell’orrore.
Tornata la pace, Stalin perseguita gli ebrei. Il Libro nero di denuncia dei pogrom nazisti*, scritto con Il’ja Erenburg (Mondadori), viene censurato e Grossman si vede isolato, ridotto a tradurre dall’armeno il libro di uno scrittorucolo (non conosce la lingua, si fa aiutare da una versione interlineare). Ma non si amareggia, senza livore si impegna su Vita e destino, racconti e reportage, Tutto scorre, La cagnetta, II bene sia con voi! (Adelphi, anche ebook).
Vita e destino è libro del futuro, già del XXI secolo nel contenuto, mentre la forma del romanzo tradizionale tiene testa a Guerra e pace di Tolstoj. Perché nel dar conto della vita del fisico Viktor Štrum, isolato e poi salvato da Stalin con una telefonata, Grossman racconta il totalitarismo, Lager e gulag in un romanzo, Levi con Solzenicyn, ma anche la violenza e l’ipocrisia al potere, la viltà di chi si piega, umano, la forza degli eroi umiliati, i mostri persecutori e le vittime sacrificali, il passaggio repentino, per un caso bizzarro, da un ruolo all’altro. Nel secolo delle masse che cozzano tra loro, Grossman, cronista e scrittore, si ferma sull’individuo dolente e irriducibile, e vive nel nostro tempo, stagione di persone libere, contro l’orrore dell’intolleranza.
Fermatevi, in questo anniversario di mezzo secolo, sulla pagina in cui una mamma, con la sola forza del suo amore, si sforza di levare il figlio caduto in battaglia dall’umile fossa di terra, come Gesù con Lazzaro. La battaglia tra amore e morte, famiglia e mondo terribile, è la morale di Grossman, senza la cadenza solenne di Beethoven che talvolta echeggia in Tolstoj, ma con leggerezza, ironia, sorriso. Dalle ceneri e i roghi del Novecento, con «onore senza gloria» secondo la massima di Benjamin, Vasilij Grossman indica una strada semplice e formidabile: noi persone, la nostra famiglia, la vita domestica, gli amici a cena siamo il luogo profondo delle libertà e delle fedi; nei sentimenti, l’amore, gli affetti, è il vero Sole dell’Avvenire. Augurare il bene al viandante sconosciuto come i contadini in Armenia è manifesto di emancipazione che sopravvive a Lenin, Stalin e ai loro epigoni di un secolo tragico, riscattato dal romanzo che neppure nel 2314 poteva esser pubblicato.
(*) Il libro nero Il genocidio nazista nei territori sovietici 1941-1945, Mondadori 2001 [1993]
David Bidussa
“Vita e destino”, di Vasilij Grossman è un grande libro. Ci sono fonti letterarie che sono in grado di essere piste significative per la comprensione di un contesto che nessun storico sarebbe mai in grado di ricostruire o di trovare in nessuna fonte. Quando i russi vincono la battaglia di Stalingrado, sulla quale il libro è imperniato, Grossman scrive: “Avevano vinto il popolo russo e il regime sovietico, ma questo non migliorava i rapporti tra loro”. Geniale. Semplicemente.
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