domenica 14 settembre 2014
L'estetica della politica in atto: arte totalitaria
Marcello Flores
Architettura totalitaria
Cattedrali profane per il culto del potere
Costringere il cittadino suddito a interiorizzare le indicazioni dell’ideologia nella quale è immersoCorriere della Sera, La Lettura, 14 settembre 2014
L’arte monumentale, soprattutto quella del Novecento, ci appare indissolubilmente legata alla stagione dei regimi totalitari, tanto che proprio sull’anti-monumentalità si è fondata largamente la costruzione di memoriali dedicati alle vittime dei totalitarismi. È anche vero, tuttavia, che non sono state solo l’arte e l’architettura dei totalitarismi a far ricorso alla monumentalità come cifra privilegiata. Eppure la monumentalità totalitaria continua a mantenere — anche nelle vestigia spesso abbandonate che ne rimangono dopo la fine di quei regimi — una sua profonda originalità, che non può ridursi soltanto alla scelta estetica, per quanto forte e incisiva.
Questo non solo perché l’arte totalitaria, nella prima metà del Novecento, ha in qualche modo dialogato incessantemente, sia pure spesso in negativo, con le correnti artistiche contemporanee; ma soprattutto perché le sue Memorie di pietra, come recita il titolo di un bel libro curato da Gian Piero Piretto (Raffaello Cortina, pagine 272, e 25), sono state create non soltanto come autorappresentazione statica del potere ma come elementi dinamici di un percorso di propaganda, indottrinamento, appartenenza identitaria, educazione, ricerca di consenso con cui i regimi totalitari hanno interagito con le masse sulle quali avevano costruito il proprio dominio.
Il monumento totalitario non appartiene soltanto alla schiera degli oggetti intenzionalmente piegati a fini celebrativi, commemorativi, propagandistici, ma è parte di un discorso di costruzione ideologica che intendeva interagire con l’esperienza e la storia passata (come ci spiegano i due saggi sul fascismo inclusi nel volume: uno sull’Ara Pacis e il Mausoleo di Augusto, l’altro sulla riformulazione della memoria della Grande guerra attraverso i sacrari). La grandiosità monumentale, per i regimi totalitari, è il segno della volontà di scrivere e modificare la storia, e solo in quest’ottica rivolta al passato e al futuro ha senso la celebrazione del potere. Il confronto tra il saggio sul nazismo e quello sul mausoleo sovietico a Berlino, voluto da Stalin per celebrare la vittoria, testimonia quanto questa progettualità complessiva rivolta alla costruzione dell’uomo nuovo renda strumentalmente potente la monumentalità estetica privilegiata.
Una monumentalità che si manifesta a volte nell’eccessiva ripetitività e richiamo di elementi che, presi per sé, potrebbero anche non apparire così grandiosi. Dietro questi memoriali, edifici, sacrari, sculture non vi è solo un regime che si autoglorifica, ma la scelta di costringere il cittadino-suddito, che vi si trova immerso spesso nella sua quotidianità, a interagire emotivamente con il potere e a interiorizzare le sue indicazioni ideologiche.
Mattia Cinquegrani
La materia dura delle dittature
il manifesto, 20 agosto 2014
... Decifrare adeguatamente simili oggetti è un processo faticoso, poiché richiede di ricostituire quella trama impercettibile e complessa (a essi sottesa) formatasi dal fitto intrecciarsi di elementi non esclusivamente estetici o storico-artistici. Proprio questa è l’operazione felicemente intrapresa in Memorie di pietra. I monumenti delle dittature, a cura di Gian Piero Piretto (Raffaello Cortina, pp. 276, euro 25,00). Nel corso del libro (articolato in dieci saggi critici) il rapporto tra produzione monumentale e costruzione della memoria collettiva viene analizzato nel contesto particolare dei regimi «totalitari» novecenteschi, che – relativamente a questa tematica – rappresentano, senza ombra di dubbio, un oggetto di studio privilegiato. Facendo uso di un approccio fortemente interdisciplinare (che spazia dall’architettura all’antropologia, dalla filosofia alla storia, dagli studi visuali a quelli letterari) e senza alcuna pretesa di esaustività o di completezza, i diversi contributi analizzano efficacemente tanto i progetti e le opere realizzate, quanto specifiche politiche architettonico-monumentarie che hanno vista la luce nell’Italia fascista, nella Germania nazista e nella Repubblica Democratica Tedesca, nell’ex Unione Sovietica e nella Jugoslavia di Tito, come a Cuba o nella Corea del Nord. «I Paesi coinvolti non coprono, per ovvi motivi, tutte le possibilità che la situazione universale offre a chi si voglia occupare di rovine o macerie architettoniche, estetiche della politica, ideologie manifeste o criptate, riscontri socioculturali legati a globalizzazioni, nazionalismi, derive post-totalitarie e rimpianti più vicini a mitologie emotive e personali che alla storia».
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