domenica 26 settembre 2021

Enea e Creusa: l'addio

Creusa si smarrisce la notte della caduta di Troia. Enea riempie di richiami le strade per ricercare la moglie quando scorge il suo fantasma. L’eroe tace per l’orrore, i capelli irti sul capo. Creusa parla ribadendo che gli dèi avevano voluto che essa non seguisse il marito nei suoi viaggi ma fosse assunta in cielo per servire Cibele, la Grande Madre. In un estremo, toccante addio, l’ombra della donna ripone in Enea il suo amore per il figlioletto Ascanio. Enea protende gemendo le braccia per abbracciare il collo di Creusa, ma per tre volte egli stringe aria, e il fantasma si dissolve come un soffio di vento. Eneide II, 768-798 traduzione di Luca Canali Osando persino lanciare grida nell’ombra riempii di clamore le vie e mesto chiamai invano ripetendo ancora ed ancora Creusa. Mentre deliravo così e smaniavo senza tregua tra le case della città, mi apparve davanti agli occhi l’infelice simulacro e l’ombra di Creusa, immagine maggiore di lei. Raggelai, e si drizzarono i capelli e la voce s’arrestò nella gola. Allora parlò così confortando i miei affanni: Perché abbandonarsi tanto ad un folle dolore o dolce sposo? Ciò accade per volere divino; non puoi portare via con te Creusa, no, non lo permette il sovrano del superno Olimpo. Lunghi esilii per te, e da solcare la vasta distesa marina; in terra d’Esperia verrai, dove tra campi ricchi d’uomini fluisce con placida corrente l’etrusco Tevere; là ti attendono lieti eventi, e un regno e una sposa regale. Raffrena le lagrime per la diletta Creusa: non vedrò le superbe case dei Mirmidoni o dei Dolopi, non andrò a servire donne greche, io, dardana, e nuora della dea Venere la grande Madre degli dei mi trattiene in queste terre. E ora addio, serba l’amore di nostro figlio”. Com’ebbe parlato così, mi lasciò in lagrime, desideroso di dirle molto, e svanì nell’aria lieve. Tre volte tentai di cingerle il collo con le braccia: tre volte inutilmente avvinta l’immagine dileguò tra le mani, pari ai venti leggeri, simile a un alato sogno*. Così, consunta la notte, ritorno a vedere i compagni. E qui trovo con meraviglia che era affluita una moltitudine di nuovi compagni, donne e uomini, popolo radunato all’esilio, miserevole turba. Si raccolsero da tutte le parti, pronti d’animo e di forze, in qualunque terra volessi condurli per mare. E già Lucifero sorgeva dagli alti gioghi dell’Ida, e portava il giorno; i Danai presidiavano le porte, e non v’era speranza di aiuto; mi mossi, e levato il padre sulle spalle mi diressi verso i monti. °°° (*) Il topos dell’abbraccio tre volte ripetuto compare in Omero Tre volte mi avvicinai: l’animo mi spingeva a stringerla; tre volte volò via dalle mie mani, simile a un’ombra o a un sogno: e a me un dolore acuto nacque più forte in fondo al cuore. (Odissea, XI, 206-208) e torna in Dante e in Tasso.

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