martedì 23 ottobre 2018

Aris Accornero sulla cogestione


 
 
Aris Accornero, Perché non ce l’hanno fatta? Riflettendo sugli operai come classe, Quaderni di sociologia, 17/1998

Questa riflessione non può concludersi senza un cenno alla prospettiva di assimilazione degli operai all’imprenditore attraverso forme di comproprietà e di corresponsabilità che mettessero ambedue le classi in condizioni di dirigere insieme l’azienda e, per questa strada, di gestire insieme la comunità o la società. Qualcosa è stato attuato, e la forma forse più nota è il sistema tedesco della co-determinazione (Mitbestimmung), introdotta per legge nell’industria siderurgica tedesca del secondo dopoguerra proprio per bilanciare un potere di classe che aveva fomentato il bellicismo. Un’altra forma, più diffusa ma con minore impatto, è stata in vari paesi la distribuzione di azioni gratuite da parte di grandi impreseconcession agreement che aveva salvato l’azienda).
. Questa partnership fondata su un titolo di proprietà ha manifestato un limite già presente fin dall’Ottocento: la dimensione esclusivamente aziendale; né le leggi hanno premiato una rappresentanza «di classe» del lavoro nel capitale anche dove i lavoratori hanno scambiato le proprie spettanze con azioni della compagnia, come nel caso della United Airlines e dell’Alitalia in crisi. Poche imprese sono del resto disposte a far entrare i sindacalisti nei consigli di amministrazione, mentre i sindacati cercano di scansare rischi e responsabilità accettando soltanto di entrare in organi di sorveglianza. (Clamoroso fu il caso Crysler: il leader della Uaw uscì traumatizzato e il sindacato deluso dall’organo dov’era stato portato dal
Quel che va rilevato è l’inconsistenza degli approcci ispirati anni addietro a un progresso tecnologico che pareva alle soglie della fatidica automazione, e alle conseguenti aspettative sull’operaio-tecnico, la cui «frazione più avanzata» S. Mallet credette di vedere in azione alla Caltex dove i sindacalisti studiavano i bilanci come «azionisti coscienziosi», e alla Thomson-Houston, dove la nuova classe operaia gli appariva «idonea alla gestione» perché uno degli interpellati gli aveva detto: «Io me ne frego delle storie di paga, qui è la tecnica che mi interessa». Sta di fatto che in tutti questi anni una domanda di cogestione non è salita dal mondo del lavoro, nonostante le dotazioni culturali offerte agli operai da intellettuali e politici che credevano nella prospettiva integrazionista. Anche se questa è tornata da poco in auge, in termini teorici con la «economia della partecipazione» e con la «fine della società dei salariati», e in termini pratici con i fondi di investimento dei lavoratori (qui in Italia tramite la previdenza integrativa con fondi attinti dal trattamento di fine rapporto), non pare che gli operai ne siano finora usciti con il profilo di una ruling class, nemmeno in termini di gestione tecnico-produttiva, neppure con la Mitbestimmung nelle imprese tedesche, e tanto meno con la collaborazione aziendale nelle giapponesi, dove il clima è di deferenza più che di parità. Può essere che il quadro di partecipazione e di commitment contestuale al superamento del modello taylor-fordiano schiuda qualche spiraglio: se son rose fioriranno. Ma per adesso, il bilancio resta quello tratteggiato più sopra.

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