sabato 31 dicembre 2016

In principio fu il trauma



Paolo Salza, Rimozioni forzate, David and Matthaus, 2016

"Una mano secca e ruvida, come le carezze di mia madre. O come i suoi schiaffi, seguiti da un bruciore alieno. Mi trascina per umidi corridoi e per scale ripide e buie, fino a una porta peggio che cigolante": comincia così la vicenda raccontata da Paolo Salza nel suo romanzo d'esordio, Rimozioni forzate, uscito da poco e da poco presente nelle librerie. Al centro della vicenda c'è la violenza subita da un ragazzino di dieci anni, a Roma, nel corso di un viaggio organizzato dall'Azione cattolica. Da una parte la vittima inconsapevole che, pur risentendo dei maltrattamenti, non arriva neppure a concepire l'idea di una pubblica denuncia, dall'altra la Chiesa che prima si rende responsabile del misfatto e poi tende a cancellare l'accaduto con strategie di aggiramento e di abile sottovalutazione. La vita continua mentre il bubbone invece non sparisce mai del tutto, riaffiora in epoche successive e motiva la ricerca di qualche riscontro, di una conferma, di una certezza finale. L'alter ego del protagonista ritiene di trovarsi di fronte a una tragedia, "oppure a una fantasia sinistra. In ogni caso a un problema" (p. 28). Scrivere allora per il ragazzo che si fa adulto diventa "un buon modo per ricordare, analizzare, conoscersi di più" (p. 79). La ricerca della verità diventa un percorso iniziatico, che coinvolge due personaggi in realtà. Forse la cosa ha a che vedere con la frammentazione dell'Io un fenomeno che si verifica secondo gli psicologi nelle sindromi da stress posttraumatico. Fatto sta che dopo le prime due pagine nel testo a parlare sono in due, la vittima che qualcosa ricorda e il suo amico Simone, che in un primo tempo nega tutto per poi scoprire di essere stato coinvolto anche lui nella vicenda, anche se solo in modo parziale. Il gioco di specchi conduce a una visione meno netta dell'evento traumatico. Simone si presenta come un credente, ha un figlio prete, e mostra di avere fede nella possibilità di un ritorno al messaggio evangelico. Davide invece è approdato a una visione assai più disincantata del mondo: "chi è al potere ambisce al possesso senza limiti di beni e di corpi". Marx, Rousseau e Kant hanno guardato a un diverso tipo di orizzonte e però "non abbiamo imparato la lezione e forse è troppo tardi per farlo" (p. 102).
Alla fine troviamo la reazione di Davide alle conferme ricevute dall'amico. L'intreccio non si scioglie del tutto. C'è per Davide ancora parecchia strada da percorrere. Intanto una parte di verità è emersa  nel dialogo tra uomini capaci di cercare sempre oltre. 

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