Durante la festa da lei organizzata Mrs Dalloway sembra accorgersi della
maschera che da sempre indossa e che si è imposta nel momento in cui ha
sposato Richard Dalloway: una signora dell'alta società, educata e
controllata. Si accorge che sposando Mr Dalloway oltre al cognome ha
perso anche la propria identità individuale, o forse si rende conto di
aver sempre nascosto la sua vera identità a causa delle imposizioni della
società. Da qui scaturisce il ricordo dell'amicizia con Sally, intensa,
profonda e autentica, in cui forse solo per poco è emersa la vera
Clarissa. Proprio per questo Mrs Dalloway ha timore di questa vecchia
amicizia con una donna forte, libera e indipendente che ha sposato un
uomo di basso rango, Sally incarna tutto quello che lei non riesce ad
essere e che vorrebbe essere, o meglio che forse un tempo voleva essere.
Ed è qui che interviene la catarsi, durante la festa la moglie del Dr
Bradshaw racconta del suicidio di un uomo, Septimus (altro protagonista
del romanzo), sconosciuto a Clarissa. Sentendo la storia, la donna prova
una specie di empatia, riconoscendosi nel gesto di liberazione
dell'uomo. Questo è il punto di connessione tra Clarissa e Septimus, e
culmine del romanzo.
Alessandro Cane
Come viene propriamente raccontato il suicidio di Septimus? Il romanzo è scritto in terza persona, ma non c'è una sola voce narrante. Normalmente il discorso riflette un punto di vista che è quello del personaggio principale, Clarissa Dalloway. Septimus Warren Smith è l'altro personaggio di assoluto rilievo. E' lui a parlare del suo suicidio, prendendo la parola a un certo punto. Una trentina di pagine più in là, assistiamo a una ripresa del medesimo fatto in forma di notizia. La signora Dalloway si confronta con il tema della morte.
Giovanni Carpinelli
Il suicidio di Septimus
Septimus la sentì che parlava a Holmes dalle scale.
"Ma, cara signora, sono venuto da amico" diceva Holmes.
"No, Non le permetterò di vedere mio marito", disse lei.
La vedeva, era una chioccia con le ali spiegate a sbarrare il passaggio. Ma Holmes insisteva.
"Ma cara signora, mi permetta... " diceva Holmes, e la spingeva da parte. Holmes avrebbe detto: "Ha paura, eh?". Holmes l'avrebbe raggiunto. No: né Holmes, né Bradshaw. Si tirò su, incerto sulle gambe, e barcollando da un piede all'altro, prima prese in considerazione il coltello della signora Filmer con la scritta "Pane" incisa sul manico. No, meglio non sciuparlo. Il gas? Era troppo tardi. Holmes stava arrivando. Avrebbe potuto prendere il rasoio, ma Rezia [la moglie], che pensava sempre a queste cose, lo aveva già impacchettato. Non rimaneva che la finestra, l'ampia finestra della casa di Bloomsbury; la faticosa, incresciosa e piuttosto melodrammatica faccenda di aprire la finestra e buttarsi di sotto. Era la loro idea di tragedia, non la sua, né di Rezia (perché lei era dalla parte sua). A Holmes e Bradshaw piacevano quel genere di cose. (Si sedette sul davanzale.) Avrebbe aspettato fino all'ultimo momento. Non aveva voglia di morire. La vita era bella. Il sole caldo. E gli esseri umani? Un uomo che scendeva dalla scala di fronte si fermò, e lo fissò sbalordito. Holmes era ormai alla porta. "Lo volete voi!" gridò, e si buttò di sotto con tutte le sue forze, con violenza, giù sulla cancellata del giardinetto della signora Filmer. (traduzione di Nadia Fusini, come per il brano successivo).
La reazione di Clarissa
Con la voce abbassata, attirando la signora Dalloway nel rifugio della comune femminilità, del comune orgoglio che entrambe provavano per le illustri qualità dei loro mariti, e la loro tendenza a lavorare troppo, Lady Bradshaw (povera oca - in fondo non era così male) le sussurrò che proprio mentre stavano per uscire, era stato chiamato al telefono; un caso molto triste. Un giovane uomo (è quello che Sir William sta raccontando alla gente o al signor Dalloway) si è ucciso. Era stato in guerra. “Oh… Nel bel mezzo della mia festa, ecco la morte” pensò.
[...] Che bisogno avevano i Bradshaw di parlare della morte alla sua festa? Un giovane s'era ucciso. E ne vengono a parlare alla mia festa i Bradshaw parlavano della morte. S'era ucciso - ma come? Reagiva sempre così, quando d'improvviso qualcuno le raccontava una disgrazia: il vestito andava in fiamme, , il corpo le bruciava. Si era buttato dalla finestra.. D'un lampo il suolo era sfrecciato in alto; alla cieca, le punte rugginose dell'inferriata l'avevano infilzato, trafitto. Giaceva lì per terra col cervello che batteva, bun, bum, e poi un gran nero lo soffocò. Lei lo vide così. Ma perché l'aveva fatto? E i Bradshaw ne venivano a parlare alla sua festa!
Lei una volta aveva buttato uno scellino nella Serpentine, niente di più. Ma lui aveva scaraventato via tutto. Loro (aveva pensato tutto il giorno a Bourton, a Peter, a Sally), loro invecchiavano. Ma una cosa c'era che contava, una cosa infestata di chiacchiere, sfigurata, offuscata nella sua stessa vita, che ogni giorno lei lasciava cadesse nella corruzione, nella menzogna, nelle chiacchiere. Questa cosa lui l'aveva preservata. La morte è una sfida. La morte è un tentativo di comunicare: la gente sente l'impossibilità di raggiungere il centro che misticamente ci sfugge; così ciò che è vicino si allontana; l'estasi svanisce; si resta soli. Nella morte c'è un abbraccio.
Ma quell'uomo giovane s'era ucciso . s'era buttato tenendo stretto il suo tesoro? "Se dovessi morire ora sarebbe la perfetta felicità" s'era detta una volta, scendendo le scale vestita di bianco.
[...] Strano, incredibile. Non era mai stata tanto felice. Non c’era niente che fosse abbastanza
lento, niente che durasse abbastanza a lungo. Non c'era piacere, pensò,
raddrizzando le sedie, rimettendo a posto un libro nello scaffale, che
eguagli il senso di averla fatta finita coi fasti della giovinezza, di
essersi perduta nel corso della vita, per ritrovarla ora, con un brivido
di gioia, al sorgere del sole, al calare del giorno.