Elisabetta Pagani, A Torino l'archivio di Leone Ginzburg, "Dobbiamo difendere l'antifascismo, La Stampa, 25 novembre 2022
«Il russo di Torino». Così era stato
affettuosamente soprannominato Leone Ginzburg dai suoi amici. «Un
soprannome eloquente» osserva il figlio Carlo. Un soprannome in cui è
condensato il suo fortissimo legame con la città. «Perché Torino fu
decisiva per la sua formazione, per la rete di amicizie costruite, per
la partecipazione alla fondazione della casa editrice Einaudi». E fu
centrale «nella sua attività politica clandestina contro il Fascismo e
nella sua attività intellettuale». Ecco perché, ora, Leone Ginzburg
"torna" a Torino.
I figli Carlo e
Alessandra hanno deciso di donare l'archivio del padre - composto da
lettere, manoscritti e documenti «in gran parte inediti» finora
custoditi dalla famiglia - alla Fondazione Polo del '900, che già ospita
quelli di altri protagonisti del Novecento come Primo Levi e Piero
Gobetti.
Il nucleo più consistente
riguarda il carteggio tra Leone Ginzburg e la moglie e scrittrice
Natalia Levi. «Sono le lettere che si scrissero prima e dopo il
matrimonio - racconta il figlio Carlo, che aveva 5 anni quando nel 1944
il padre morì nel carcere di Regina Coeli -. Lettere di quando era in
prigione, degli anni della promulgazione delle leggi razziali che gli
tolsero la cittadinanza (ottenuta nel '31), del confino a Pizzoli, in
Abruzzo. Presto dovrebbero essere pubblicate» aggiunge sottolineando i
contatti avuti con Domenico Scarpa del Centro Studi Primo Levi.
A
questo prezioso materiale si sommano le missive scritte a Norberto
Bobbio, le cartoline inviategli da Benedetto Croce, un quaderno di
appunti del 1921 e una novella inedita del 1925 «che gettano luce sulla
sua sorprendente precocità», oltre alla traduzione di Taras Bul'ba di
Nikolaj Gogol' e ad appunti su saggi come La tradizione del
Risorgimento, che «mostrano le correzioni che apportava, il suo modo di
lavorare».
«Donare questo archivio
nell'Italia di oggi, che per la prima volta dal Dopoguerra ha un governo
di destra, significa difendere la Repubblica nata dalla Resistenza, nel
presente e nel futuro - spiega Carlo Ginzburg -. Un punto va subito
chiarito: non siamo di fronte a un risorgere del fascismo, ma non
possiamo nascondere che l'antifascismo rischia di essere cancellato e di
sparire dalla coscienza delle prossime generazioni. Mi pare - prosegue
lo storico - che ci sia un processo che è già cominciato da parte della
destra per cancellare questo legame e a cui bisogna guardare con vera
preoccupazione. Il ruolo di Mattarella è fondamentale. Vedo quello che
vediamo tutti, una sinistra fragile e senza idee e un rischio per
l'antifascismo. La situazione è grave. E il peggio secondo me deve
ancora arrivare».
Leone Ginzburg
dell'antifascismo è un simbolo. Nato nel 1909 a Odessa in una famiglia
ebrea, colta, agiata e cosmopolita, arriva in Italia nel 1914, e a
Torino negli Anni 20, quando frequenterà i licei Gioberti e poi
D'Azeglio, con compagni come Bobbio e dove per l'acutezza e la cultura
verrà definito discepolo maestro. E poi le facoltà di Legge e
soprattutto Lettere. Più avanti, da docente, rifiuterà di giurare
fedeltà al Fascismo. Vivrà anni da sorvegliato speciale, verrà arrestato
due volte, la seconda nel 1943. «Morì in seguito alle torture. In
carcere venne torturato dai nazisti. C'è la testimonianza di Sandro
Pertini che lo incontrò con il volto sfigurato e a cui mio padre disse:
"guai a noi se domani nella nostra condanna investiremo tutto il popolo
tedesco. Dobbiamo distinguere tra popolo e nazisti"». Una frase che
risuona ancora più forte in tempi di guerra tornata nel cuore
dell'Europa. «C'è solo un modo per leggere quella frase - sottolinea il
figlio Carlo - ed è pensando al futuro dell'Europa. Mio padre si sentiva
cittadino europeo. Partecipò alla diffusione del Manifesto di
Ventotene. E si sentiva italiano. Come ricordò Vittorio Foa entrò in
clandestinità solo dopo aver ottenuto la cittadinanza».
Ora
l'archivio di Ginzburg prenderà forma al Polo del '900, che vuole
condividerlo e valorizzarlo. «Abbiamo iniziato il riordino del
materiale. In tutto sei scatoloni - racconta il figlio Carlo - e presto
lo porteremo qui. Con questo passaggio non si chiude un cerchio ma si
apre una spirale. Che continuerà con la pubblicazione del carteggio fra i
miei genitori e proseguirà con altri progetti». —
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