domenica 13 novembre 2022

Kherson ucraina

 

 


Paolo Brera, Kherson torna in Ucraina. L'arrivo dei soldati di Kiev festeggiato nelle strade, La Repubblica, 12 novembre 2022

Centinaia di bandiere gialle e blu sventolano in piazza Svobody, “libertà”. Kherson, per otto mesi occupata, ieri è tornata libera. La gente esce incredula dagli scantinati, dagli appartamenti in cui ha vissuto blindata, e si aggrappa alle divise dei primi incursori ucraini, sbucati in centro con una jeep militare. Sono sempre di più. La folla solleva di peso una soldatessa, urlando di gratitudine e di gioia. L’incubo è finito. Internet era bloccato e censurato, nella Kherson russa; ma i primi incursori che perlustrano le strade per non far rischiare un’imboscata alle retrovie riversano sui social le immagini della folla impazzita. Le auto strombazzano i clacson, ovunque rispuntano le bandiere ucraine. A ogni minuto qualcuno in più si convince che è proprio vero: i russi se ne sono andati, ora sono liberi. Dalle tre locali di ieri mattina, come ha ufficialmente annunciato la Difesa russa, «le nostre forze armate hanno completato il ripiegamento» attraversando il fiume Dnipro e abbandonando interamente la riva destra. La grande controffensiva attesa da mesi, negata come «propaganda» dagli scettici, è finita con la debacle di un completo ritiro. Così ordinato, però, da lasciare molte domande senza risposta. Quarantamila soldati russi intrappolati, con le linee di rifornimento tagliate e i ponti sul fiume sotto tiro degli Himars, erano l’occasione militare per una vittoria eclatante sul campo di battaglia, con la distruzione di armi e attrezzature e la minaccia di un bagno di sangue se non si fossero arresi. Invece i russi se ne sono andati senza perdite, dice il Cremlino. Il ponte Antonovsky e il suo sostituto di chiatte all’ombra dei piloni sono saltati in aria, ma sono stati i russi a demolirli una volta passati. Ora quei soldati specializzati, con una capacità offensiva quasi intatta, possono essere schierati su altri fronti, senza alcun vantaggio tattico per l’Ucraina. Se Kiev lo ha consentito, è probabile esista davvero un tracciato per uscire da questa guerra folle, o almeno per avviare una de-escalation. Ma qui e ora ci sono le centinaia di bandiere che sventolano a Kherson mostrando la bellezza, la dignità e l’orgoglio di questa gente che non si è mai arresa. Erano qui anche il 6 marzo: tre giorni dopo l’arrivo in città dei russi, entrati senza sparare un colpo per il tradimento di chi ha aperto loro le porte della città. Era domenica, gli ucraini le sventolavano davanti ai blindati e ai Kalashnikov che osavano violare le loro strade: «A casa, a casa», urlavano, «soldato russo vai all’inferno». Una settimana dopo “U-cra-i-na! U-cra-i-na!”, urlava la folla, e «soldato russo, occupante fascista». I primi spari, il primo gambizzato. Ma rieccoli la domenica successiva, il 21; solo un po’ meno perché il lupo ora li azzannava davvero. Arrivarono l’imposizione del russo come lingua ufficiale, il rublo come moneta di scambio, la caccia ai dissidenti. Eppure erano sempre lì, il 27 marzo, in piazza con le bandiere gialle e blu. E allora figurati se oggi potevano lasciarle a casa. Le hanno conservate ben nascoste, i deportati in Crimea di queste ultime settimane raccontano il terrore e le sparizioni, le perquisizioni e l’ansia di essere il contatto sul cellulare di un altro patriota acciuffato. Eppure non si piegarono, è in questa città che i partigiani hanno alzato la testa: hanno ucciso il deputato “traditore” Alexej Kovalov, un blogger propagandista, un attivista filorusso... Dietro i primi incursori, il grosso delle truppe avanza cautamente nelle stradine polverose e minate. Almeno due auto saltano in aria. In ogni paesino distrutto da mesi di guerra durissima spuntano come bucaneve i sopravvissuti, anziane babushke baciano i marcantoni in divisa, i bambini saltellano felici vedendo arrivare i Robocop in mimetica armati fino ai denti. La riconquista sarebbe velocissima, se non pagasse tributo a felicità incontenibili. Tutto il Paese è in festa, anche se non c’è un solo giorno davvero
sereno: ieri un missile russo ha centrato un palazzo a Mykolaiv, sette morti. Non è finita; tutti sanno che si chiude un capitolo, non il libro. Ma oggi è oggi: Konstantin Ryzhenko, giornalista di Kherson, lancia sui social la maratona della gioia: «Ragazzi postate la foto di come festeggiate la liberazione», ed è uno stupendo brindisi collettivo, prosecco e vino bianco, whisky e “Sangue degli orchi”. Sorrisi e ottimismo per tutti. A Odessa il centro è pieno di gente e slogan, di canti e bandiere. A Kherson si balla di notte. Ma è ora di voltare pagina, mentre sminatori e procuratori cercheranno di ripulire città e villaggi senza perdere traccia dei crimini. È già ora di tremare per la diga di Nova Kakovka, fortemente danneggiata: se venisse abbattuta, Kherson sarebbe allagata da uno tsunami.

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