Paolo Brera, Kherson torna in Ucraina. L'arrivo dei soldati di Kiev festeggiato nelle strade, La Repubblica, 12 novembre 2022
Centinaia di bandiere gialle e blu sventolano in piazza Svobody, “libertà”. Kherson, per otto mesi
occupata, ieri è tornata libera. La
gente esce incredula dagli scantinati, dagli appartamenti in cui ha vissuto blindata, e si aggrappa alle divise
dei primi incursori ucraini, sbucati
in centro con una jeep militare. Sono sempre di più. La folla solleva di
peso una soldatessa, urlando di gratitudine e di gioia. L’incubo è finito.
Internet era bloccato e censurato,
nella Kherson russa; ma i primi incursori che perlustrano le strade
per non far rischiare un’imboscata
alle retrovie riversano sui social le
immagini della folla impazzita. Le
auto strombazzano i clacson, ovunque rispuntano le bandiere ucraine.
A ogni minuto qualcuno in più si
convince che è proprio vero: i russi
se ne sono andati, ora sono liberi.
Dalle tre locali di ieri mattina, come ha ufficialmente annunciato la
Difesa russa, «le nostre forze armate
hanno completato il ripiegamento»
attraversando il fiume Dnipro e abbandonando interamente la riva destra. La grande controffensiva attesa da mesi, negata come «propaganda» dagli scettici, è finita con la debacle di un completo ritiro. Così ordinato, però, da lasciare molte domande senza risposta.
Quarantamila soldati russi intrappolati, con le linee di rifornimento
tagliate e i ponti sul fiume sotto tiro
degli Himars, erano l’occasione militare per una vittoria eclatante sul
campo di battaglia, con la distruzione di armi e attrezzature e la minaccia di un bagno di sangue se non si
fossero arresi. Invece i russi se ne sono andati senza perdite, dice il
Cremlino. Il ponte Antonovsky e il
suo sostituto di chiatte all’ombra
dei piloni sono saltati in aria, ma sono stati i russi a demolirli una volta
passati. Ora quei soldati specializzati, con una capacità offensiva quasi
intatta, possono essere schierati su
altri fronti, senza alcun vantaggio
tattico per l’Ucraina. Se Kiev lo ha
consentito, è probabile esista davvero un tracciato per uscire da questa
guerra folle, o almeno per avviare
una de-escalation.
Ma qui e ora ci sono le centinaia
di bandiere che sventolano a Kherson mostrando la bellezza, la dignità e l’orgoglio di questa gente che
non si è mai arresa. Erano qui anche
il 6 marzo: tre giorni dopo l’arrivo in
città dei russi, entrati senza sparare
un colpo per il tradimento di chi ha
aperto loro le porte della città. Era
domenica, gli ucraini le sventolavano davanti ai blindati e ai Kalashnikov che osavano violare le loro strade: «A casa, a casa», urlavano, «soldato russo vai all’inferno». Una settimana dopo “U-cra-i-na! U-cra-i-na!”, urlava la folla, e «soldato russo, occupante fascista». I primi spari, il primo gambizzato. Ma rieccoli la domenica successiva, il 21; solo un po’ meno perché il lupo ora li azzannava davvero.
Arrivarono l’imposizione del russo come lingua ufficiale, il rublo come moneta di scambio, la caccia ai
dissidenti. Eppure erano sempre lì,
il 27 marzo, in piazza con le bandiere gialle e blu. E allora figurati se oggi potevano lasciarle a casa. Le hanno conservate ben nascoste, i deportati in Crimea di queste ultime settimane raccontano il terrore e le sparizioni, le perquisizioni e l’ansia di
essere il contatto sul cellulare di un
altro patriota acciuffato. Eppure
non si piegarono, è in questa città
che i partigiani hanno alzato la testa: hanno ucciso il deputato “traditore” Alexej Kovalov, un blogger
propagandista, un attivista filorusso...
Dietro i primi incursori, il grosso
delle truppe avanza cautamente
nelle stradine polverose e minate.
Almeno due auto saltano in aria. In
ogni paesino distrutto da mesi di
guerra durissima spuntano come
bucaneve i sopravvissuti, anziane
babushke baciano i marcantoni in divisa, i bambini saltellano felici vedendo arrivare i Robocop in mimetica armati fino ai denti. La riconquista sarebbe velocissima, se non pagasse tributo a felicità incontenibili.
Tutto il Paese è in festa, anche se
non c’è un solo giorno davvero
sereno: ieri un missile russo ha centrato
un palazzo a Mykolaiv, sette morti.
Non è finita; tutti sanno che si chiude un capitolo, non il libro. Ma oggi
è oggi: Konstantin Ryzhenko, giornalista di Kherson, lancia sui social
la maratona della gioia: «Ragazzi postate la foto di come festeggiate la liberazione», ed è uno stupendo brindisi collettivo, prosecco e vino bianco, whisky e “Sangue degli orchi”.
Sorrisi e ottimismo per tutti. A Odessa il centro è pieno di gente e slogan, di canti e bandiere. A Kherson
si balla di notte. Ma è ora di voltare
pagina, mentre sminatori e procuratori cercheranno di ripulire città e
villaggi senza perdere traccia dei
crimini. È già ora di tremare per la
diga di Nova Kakovka, fortemente
danneggiata: se venisse abbattuta,
Kherson sarebbe allagata da uno
tsunami.
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