l'Indice, gennaio 1995
titolo originale: In lotta contro i mostri meccanici
Nel
paese di Gaomi, attraversato dal fiume Moshui, cresce un cereale, il
sorgo rosso, o meglio cresceva ai tempo dei banditi e degli eroi, in
quello che Hegel avrebbe chiamato lo "stato epico del mondo",
mentre ora ci sono dei "mostruosi fusti" che usurpano lo
stesso nome "ma non sono alti e diritti, non hanno un colore
splendente". In Cina le due epoche, quella degli eroi e quella
della "prosa del mondo", sono molto vicine, e la guerra
cino-giapponese, costringendo pacifici coltivatori del sorgo a
difendersi contro i mostri meccanici dei "diavoli giapponesi"
(c'è una pagina molto bella in cui si descrive lo stupore dei
contadini alla vista di una fila di camion), le rende ancora più
vicine.
Il romanzo si svolge appunto durante questa guerra (1937-45),
con carrellate all'indietro e in avanti. La storia è nota attraverso
l'eccellente film di Zhang Yimou. Ma per il rapporto tra narrativa e
cinema vale la barzelletta di Pirandello quando qualcuno voleva
accendergli la sigaretta senza riuscirci: "Che successo avrebbe avuto
l'inventore del fiammifero se fosse venuto dopo quello
dell'accendino!"
La storia abbraccia tre generazioni: quella
dell'autore, nelle sue memorie d'infanzia, quella di suo padre e
quella dei suoi nonni. Non c'è né ci deve essere verosimiglianza
craonachistica. Ci sono sfasamenti e inversioni temporali, ma si
torna sempre al centro immobile della vicenda: la distruzione del
villaggio e dei suoi abitanti ad opera dei giapponesi, e siccome
questi abitanti sono dominati dalla potente personalità del nonno,
il grande bandito, hanno tutti lo spirito del bandito e non si
identificano mai del tutto con i comunisti, che accusano di averli
abbandonati al momento buono, né meno che mai con i nazionalisti.
Del resto la storia è tanto più persuasiva quanto più si
allontana, sfumando nel mito, in cui può rientrare ogni momento come
nella terribile battaglia tra uomini e cani verso la fine. La
continuità del mito è assicurata dalla continuità del sorgo, che
appare nel titolo di tre sui cinque libri che compongono il romanzo
(gli altri due parlano dei non meno mitici cani). Per parte sua, il
vino di sorgo, che dà una sottile ebbrezza, è parente stretto del
sangue, con cui si mescola spesso e volentieri. E qui il sangue non
manca.
All'inizio c'è l'omicidio del ricco proprietario della
distilleria di sorgo, il cui figlio lebbroso dovrebbe sposare la
nonna del narratore, la bellissima Fenglian. Ma il portatore e
bandito Zhan'ao, che si è innamorato della donna alla vista del suo
microscopico piedino, la libera col pugnale dal brutto marito e dal
ricco suocero, di cui eredita la distilleria. Su questa famiglia
relativamente tranquilla anche dopo l'avvento della "secondo
nonna", una nuova compagna di Zhan'ao, si scatena l'offensiva
giapponese, che trasforma Zhan'ao nel mitico "comandante Yu"
e la nonna Fenglian in un'eroina nazionale, che prima di morire trova
il modo di fermare i giapponesi. Per conto suo, il figlio del
comandante (e padre del narratore) si copre di allori uccidendo con
una fucilata un generale giapponese. Ma questo non diminuisce la
ferocia dei nemici, che lasciano vivi solo pochi abitanti del
villaggio e uccidono gli altri magari scuoiandoli vivi, come accade
all'inizio allo zio Liu, un operaio che aveva rimesso in uso la
distilleria dopo la morte del proprietario e continuava a dirigerla.
Ma la morte non viene solo dagli uomini. Contro i pochi superstiti,
già scoraggiati, feriti e denutriti, si scatena la furia dei cani,
che colgono l'occasione per ribellarsi alla tirannia dell'uomo. Sono
forse le pagine più straordinarie di un libro che è tutto
straordinario.
L'impassibilità epica, che aveva reso possibile la
descrizione della fine atroce dello zio Liu, qui appare
nell'obiettività con cui è trattato quest'ultimo conflitto. I cani
sono guidati dai tre cani della famiglia del comandante Yu, Fulvo,
Verde e Nero, tra cui soprattutto Fulvo aveva sviluppato tali qualità
strategiche che "neanche l'intelligente genere umano avrebbe
potuto criticarlo". La lotta diventa quindi una lotta tra pari,
tanto che l'esito è a lungo incerto e due poveri cinesi subiscono
una fine se possibile peggiore dello zio Liu, cioè sono divorati
vivi brano a brano. Non credo che ci siano opere, se non di
fantascienza, in cui la superiorità della razza umana è messa così
radicalmente in questione. Non a caso questo avviene in un paese come
la Cina umiliato per secoli da vecchi e nuovi imperialisti e trattato
veramente "da cane". Quarantasei anni dopo un fulmine apre
la fossa comune in cui sono sepolti alla rinfusa uomini, cinesi e
giapponesi, banditi e regolari, e cani, le cui ossa tirate a lucido
quasi non si distinguono da quelle umane. Il tempo e la morte
eguagliano tutto.
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