martedì 10 ottobre 2023

La fine di Netanyahu

 La fine di Netanyahu 



Francesca Mannocchi,  I civili intrappolati senza via di scampo così Israele punisce i miliziani di Hamas, La Stampa, 10 ottobre 2023

Il quotidiano israeliano Haaretz, ieri mattina, titolava un durissimo editoriale con queste parole: «Netanyahu è responsabile di questa guerra tra Israele e Gaza». Si legge: «Il primo ministro, che si vantava della sua vasta esperienza politica e della sua insostituibile saggezza in materia di sicurezza, non è riuscito a identificare i pericoli verso i quali stava consapevolmente conducendo Israele quando ha istituito un governo di annessione ed esproprio, quando ha nominato Bezalel Smotrich e Itamar Ben-Gvir a posizioni chiave, abbracciando al tempo stesso una politica estera che ignorava apertamente l’esistenza e i diritti dei palestinesi». Tesi rafforzata anche da Anshel Pfeffer, corrispondente da Israele per The Economist, che ieri scriveva: «Netanyahu ha cercato di ignorare Gaza durante i suoi molti anni in carica. Non ha mai fatto progetti per il suo futuro e dopo ogni round di combattimento si è affrettato ad occuparsi di altro. Ora sarà ricordato per sempre dagli israeliani per questo disastro. Questa è la sua eredità».

Marco Travaglio, Dagli amici li guardi Iddio, Il Fatto, 10 ottobre 2023

Chi ama Israele perché è l’unica democrazia del Medio Oriente, per quanto sfigurata da 16 anni di governi Netanyahu (salvo brevi intervalli), dovrebbe leggere i suoi principali quotidiani e prendere esempio. Da quelli conservatori a quelli progressisti, dal Jerusalem Post ad Haaretz al Time of Israel, sono unanimi nel puntare il dito sull’unico vero responsabile politico della débâcle che ha regalato ad Hamas una vittoria insperata quanto inedita: “Bibi”, il premier più corrotto e più incapace, ma anche più longevo della storia dello Stato ebraico. Il “Mister Security” che non ha saputo garantire la sicurezza del suo Paese e del suo popolo, mettendo la firma sulla più cocente sconfitta dai tempi delle due guerre in Libano. Forse che la stampa israeliana se la fa con i terroristi di Hamas? O non sa distinguere fra aggressore e aggredito? O è al soldo dell’iran? No, assolve semplicemente al primo dovere dell’informazione libera: raccontare, analizzare e commentare i fatti senza sconti per nessuno. E i fatti dicono che Israele ha tutto il diritto di esistere nei confini tracciati dall’onu nel 1948; ha tutto il diritto di difendersi dalle aggressioni; merita tutta la solidarietà per le stragi e i sequestri di innocenti subiti nell’attacco terroristico di sabato. Ma oggi, trent’anni dopo gli accordi di Oslo fra Rabin e Arafat, non regge più la giustificazione dei territori occupati in attesa di restituirli in cambio del riconoscimento dai Paesi arabi, come Begin fece con Sadat a Camp David nel 1978. Anche perché, diversamente da allora, nessun vicino di Israele può (anche se volesse) distruggerlo. E della causa palestinese i Paesi arabi si sono sempre bellamente infischiati.

Persino un falco e un eroe di guerra come Ariel Sharon si era rassegnato all’idea dei due Stati, ritirandosi da Gaza e iniziando a farlo dalla Cisgiordania, e poi mollando la destra del Likud col fido Olmert per fondare il partito centrista Kadima. Non per bontà, filantropia o irenismo, ma per pragmatismo: non puoi convivere a lungo con milioni di palestinesi che ti odiano in casa tua o alla tua porta, reprimendoli dalla culla alla tomba e violando le risoluzioni Onu. I dati demografici sono impietosi: Israele ha 10 milioni di abitanti, di cui 7,5 ebrei, 2 palestinesi e il resto di altre etnie (tutti cittadini con diritto di voto); in Cisgiordania i palestinesi sono 3,5 milioni e a Gaza altri 2. Ebrei e palestinesi ormai si equivalgono e, siccome i primi fanno molti più figli dei secondi, il sorpasso è vicino. Annettere la Cisgiordania significherebbe consegnare in pochi anni parlamento e governo ai rappresentanti degli arabi: la fine dello Stato ebraico. Sharon e Olmert l’avevano capito vent’anni fa. Netanyahu neppure oggi.

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