sabato 16 settembre 2023

Schlein nella palude

 
 
A Schlein non manca il dono della parola. Si destreggia molto bene con le frasi. le allinea una dietro l'altra con disinvoltura ed esattezza. Come mai, allora, di fronte a certe questioni la macchinetta si inceppa? Questione di repertorio. Se il tema sul tappeto è sgradito, o scivoloso, le risorse vengono meno, le possibilità si restringono. Elly a quel punto non si vuole scoprire. Perché vuole accontentare tutti. Vuole restare al suo posto senza correre rischi. "Io ho un mandato di quattro anni". "Ce ne occuperemo quando saremo al governo".
Altro che nuovo Pd. Altro che spostamento a sinistra. Il campo largo è una scelta obbligata e per il resto si vedrà. Abbiate fiducia in noi: Bersani e Zingaretti non dicevano altro, Letta si è perso dietro l'agenda Draghi, trovando appena
il coraggio di scegliere la pancetta contro il guanciale. Nessuno è stato capace di prosciugare la palude. Anzi, la palude regna, continua a regnare.

Maria Teresa Meli, La Schlein e l'imbarazzo in diretta tv da Gruber tra esitazioni e slalom, Corriere della Sera, 16 settembre 2023

Puntata alquanto movimentata quella dell’altro ieri sera di Otto e mezzo. L’ospite di Lilli Gruber su La7 era Elly Schlein, affiancava la conduttrice il direttore de La Stampa Massimo Giannini. La segretaria del Pd, che aveva appena disdetto l’intervista programmata con Francesca Fagnani sulla Rai, temendo domande personali troppo aggressive, si è trovata più volte in difficoltà durante la trasmissione, mentre sia Gruber sia Giannini la incalzavano con le loro domande. La puntata di mercoledì è partita dai migranti, tema caro alla segretaria dem.

A un certo punto la conduttrice ha chiesto a Schlein: «La interrompo subito, lei oggi ha detto, parlando di Lampedusa, che è la dimostrazione del fallimento delle politiche di esternalizzazione del governo. Ma chi la capisce se parla così?». La leader pd ha avuto un trasalimento e poi ha spiegato che cosa intendesse: «Vuol dire che pagare i dittatori per tentare di bloccare i flussi non solo vìola i diritti delle persone, ma non blocca nemmeno i flussi». Quindi Gruber e Giannini hanno chiesto a Schlein se andrà avanti sulla riduzione delle spese militari. «Ce ne occuperemo quando saremo al governo», ha glissato la segretaria. Ma Giannini non ha voluto mollare l’argomento: «Lei non dice una parola chiara. Io penso che questo sia il vero limite della sua segreteria: non è che è troppo di sinistra, è che non è chiara su alcune questioni fondamentali». 

Altra domanda, altro siparietto. Viene chiesto a Schlein se sarà capolista in tutte le circoscrizioni alle Europee. «L’argomento non è all’ordine del giorno». «No, no, non ci risponde», è stata la replica corale di Gruber e Giannini. Cambio di argomento: forse meglio parlare di «colore» (in tutti i sensi). «Per vestirsi usa ancora la sua armocromista?», ha chiesto Gruber. «Si sono scritte un sacco di fake news. Ho letto di camicie da 2.500 euro di Dior, che in realtà erano scontate a 82 euro sulla Rete», è stata la replica. «Rifarebbe quell’intervista a Vogue?», è intervenuto a quel punto Giannini. Sì, Schlein la rifarebbe: «Io non devo andare dove già mi conoscono ma come Pd dobbiamo ricostruire la nostra credibilità presso mondi che non ci hanno più guardato». Comunque c’è stata una domanda a cui la segretaria ha dato una risposta inequivocabile. Quando Giannini le ha fatto osservare che se va sotto il 20% alle Europee rischia di perdere la segreteria, Schlein è stata netta: «Io ho un mandato di quattro anni».

Claudio Marazzini intervistato da Tommaso Rodano per il Fatto Quotidiano

Secondo Claudio Marazzini, professore emerito di linguistica e presidente onorario dell’accademia della Crusca, il problema di Elly Schlein “non è la chiarezza delle parole che usa”. Ma un altro, forse peggiore. Lilli Gruber l’ha bacchettata per termini oscuri come “esternalizzazione”. E ha aggiunto: “Così chi la capisce?”

Al di là di quella parola infelice, a me sembra che gli interventi di Schlein abbiano una certa dose di prevedibilità e semplicità. La questione è un’altra: la reticenza. Si manifesta quando il politico non può o non vuole dire in maniera esplicita quello che pensa. Quando Gruber le fa una domanda diretta sulla spesa per le armi, lei non risponde. Lo stesso, per esempio, sul termovalorizzatore di Roma, su cui il Pd è diviso. Nessuna oscurità, semplice reticenza: è un problema di natura retorica.

Politica, non linguistica.

Esatto, anche se i linguisti si occupano di retorica, a partire da Aristotele e Platone. Un altro esempio di reticenza: Schlein parla di “redistribuzione”, ma non spiega in cosa consista: si può immaginare che intenda una tassazione dell’asse ereditario o una patrimoniale; ma se parli di tasse invece che di “redistribuzione” perdi una valanga di voti. Retorica, quindi.

Come parla invece Giorgia Meloni?

Ha un problema ricorrente: il salto a cui è costretto un politico quando raggiunge il potere. Basti confrontare la popolaresca vivacità di Meloni quando guidava un partito di opposizione con la cautela che manifesta adesso che è al governo. Negli ultimi giorni è tornata a battere su parole care alla destra tradizionale.

Ci sono delle spie lessicali – “famiglia”, “Dio”, “patria” –, parole che appartengono alla sfera semantica tipica dell’area culturale di Meloni. Oggi deve contendere i voti dell’elettorato di destra alla Lega di Salvini, deve rivendicare un’identità conservatrice e queste spie riemergono con forza. La moderazione e l’epurazione linguistica a cui si è sottoposta da quando è presidente del Consiglio hanno aperto uno spazio in cui qualcuno si può inserire per occupare aree che prima presidiava lei.

Il controllo del linguaggio e delle parole è un campo di battaglia per la conquista del potere.

La parola è importante ma non è tutto: conta la verità, non solo la risonanza. Nella politica italiana il peso delle parole è troppo leggero: le promesse di quasi tutti i politici non corrispondono alle loro azioni. Cito ancora Meloni e la promessa retorica del blocco navale. Gli elettori hanno un basso livello di memoria: sarebbe auspicabile una società nella quale si parlasse di meno e ci si ricordasse di più di ciò che è stato detto.

A Giuseppe Conte viene rimproverato il lessico da professore, una retorica a volte legnosa, avvocatizia. Pesa il suo passato accademico, come pure per Mario Draghi: sono politici che usano una lingua “aristocratica” rispetto ad più diretti nel parlare al popolo, come Meloni e Salvini. Penso che sia una caratteristica a cui non potrebbero rinunciare nemmeno se volessero.

 

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