Stefano Folli, Schlein e le piazze: rischi di ambiguità, La Repubblica, 21 marzo 2023
La piazza
arcobaleno è gioiosa nei suoi colori e nei suoi propositi, ma Elly
Schlein non può aver pensato che sia questa la fotografia della politica
che l’attende nei prossimi mesi: una permanente festa di popolo in
cerca di diritti, dove le contraddizioni svaniscono e i Cinque Stelle
restano sullo sfondo a sfruttare il tema dell’Ucraina con innegabile
cinismo. La situazione è più complessa, dal momento che la questione dei
diritti delle coppie omosessuali è traslata in una questione di
desideri individuali da affermare modificando, quando è il caso, la
legislazione.
Il
desiderio di paternità si può esaudire attraverso lo strumento
dell’adozione: e qui la strada non è senza ostacoli, ma può condurre a
un risultato. Oppure può imporsi, quel desiderio, attraverso la
“maternità surrogata”, il cosiddetto “utero in affitto”: e qui la via
sembra sbarrata. Non certo da oggi, visto che la destra al governo non
ha dovuto abolire una legge in vigore, che non c’era. Al contrario, il
divieto di questa e altre pratiche non è mai stato rimosso negli anni in
cui il centrosinistra aveva, sulla carta, la forza parlamentare
sufficiente per prendere un’iniziativa. Se non lo ha fatto è per la
buona ragione che solo una minoranza era e resta favorevole alla
“maternità surrogata”.
Di ciò Schlein è certo consapevole. Ma la piazza arcobaleno, pur
entusiasmante, è un fiume in piena. Non è facile addomesticarla dopo
averla convocata, stabilire delle sottili distinzioni. La registrazione
dei figli nati all’estero da madri “surrogate” è un principio in sé
indiscutibile, sul quale tanti sono d’accordo, ma può essere anche lo
spiraglio per arrivare comunque alla legittimazione “dell’utero
affittato”. In materie etiche così delicate conta anche la percezione,
dunque la ferita al senso comune posto di fronte a una novità che la
maggioranza degli italiani respinge.
Non a caso sul rifiuto dell’equazione “desideri uguali diritti” trovano
un’intesa democristiani (poi Margherita) come Giuseppe Fioroni e
comunisti d’antan come Marco Rizzo, per citarne solo due. Vuol dire che
si tratta di personaggi d’altri tempi, poco rappresentativi? In questo
caso può essere vero l’opposto. È l’elettorato del Pd, o se si vuole del
centrosinistra in un’ampia accezione, che rimane perplesso di fronte
all’ambiguità. La neosegretaria, politica attenta, non si è detta
favorevole alla maternità surrogata, ma non ha mai nemmeno pronunciato
un “no” perentorio. E sembra di capire che il richiamo delle piazze
(giorni fa quella antifascista di Firenze, adesso quella arcobaleno di
Milano) sia un tentativo di rafforzarsi rispetto a un partito che lei
sente di non controllare ancora a sufficienza.
C’è il rischio però dell’errore di valutazione.
Forse è stato già commesso. Se l’antifascismo, sia pure talvolta di
maniera, è spesso un argomento unificante, i temi etici possono urtare
varie sensibilità. Il mondo cattolico che si riconosce nel
centrosinistra ed è stato protagonista di una lunga stagione, cominciata
con l’Ulivo, oggi è perplesso di fronte alla spinta radicaleggiante.
Potrebbe accettarla se si trattasse di essere intransigenti sui diritti
sociali e sul lavoro; ma qui si sta entrando in una foresta eticamente
inesplorata che suscita ansia. Per molti cattolici, e non solo per loro,
la ricerca di un’identità più netta non può cancellare valori
essenziali. E l’idea di un mercato che in un modo o nell’altro coinvolga
i bambini va al di là di ciò che è accettabile agli occhi di tanti.
Elly Schlein non ha quindi solo il problema di tenere a bada Conte e
sottrargli voti. Deve soprattutto trovare il modo di entrare in altri
settori della società, di incuriosire e conquistare un elettorato molto
più vasto. Il sentiero imboccato può produrre l’effetto opposto e
spaventare non la destra — che può anzi ricavarne un vantaggio — bensì i
numerosi indecisi.
Lucetta Scaraffia, Se l'utero vale 15 mila dollari, La Stampa, 17 marzo 2023
Ho incontrato Consuelo, una giovane donna
ispanica di una trentina d'anni, in un albergo della California dove
faceva la cameriera. È lì che mi ha raccontato la sua storia. Aveva
ripreso a lavorare sei mesi dopo il momento in cui aveva partorito un
figlio per una coppia di omosessuali di Chicago, e ne era ancora
sconvolta. Quando ha deciso di accettare questa proposta, due anni
prima, pensava che sarebbe stato facile e poco faticoso: aveva già avuto
due gravidanze normali, e l'idea di potere per un po' non lavorare
fuori, ma stare in casa con i figli ancora piccoli le sembrava una
meraviglia. E soprattutto le piaceva la possibilità di guadagnare 15.000
dollari praticamente non facendo niente. Sarebbero serviti molto alla
sua famiglia, avrebbero risolto molti problemi.
Era
quindi andata a parlare per proporsi a una agenzia apposita che le
avevano indicato: uffici modernissimi, impiegati un po' distanti ma
cortesi. Il contratto che le avevano fatto firmare parlava chiaro: per
nove mesi avrebbero avuto la possibilità di arrivare inaspettati a casa
sua, per controllare se le regole di ingaggio erano rispettate. Regole
di alimentazione, di riposo, di controlli medici – tutto pagato
dall'agenzia – e di incontri con uno psicologo se fossero sorti
problemi.
Ma per questi in realtà non
c'era spazio. Consuelo, ad esempio, non sarebbe stata libera di
abortire qualora avesse cambiato idea, e al contrario sarebbe stata
costretta ad abortire se la coppia committente lo avesse deciso. Ma in
un primo momento questa clausola, questa limitazione così forte della
sua libertà, non le era sembrata così grave, così come non aveva capito
bene cosa significassero i controlli medici. Pensava si trattasse di un
monitoraggio della sua salute e quella del bambino. Si trattava invece
di un controllo minuzioso del suo corpo. A cominciare da tre mesi prima
dell'inseminazione, aveva dovuto assumere dosi massicce di ormoni, per
garantire l'insediamento e poi la crescita di un embrione estraneo al
suo utero. Il che aveva voluto dire, per un anno, nausee, pesantezza,
gonfiore, spossatezza. E naturalmente nessuno l'aveva informata, nessuno
le aveva detto che questa dose massiccia di ormoni avrebbe aumentato di
otto volte le sue probabilità di ammalarsi di cancro, e che la stessa
cosa sarebbe valsa per il feto-bambino che portava dentro di sé. Ma
questa, come avrebbe capito dopo, era una informazione che l'agenzia
preferiva sempre omettere.
Era stato
difficile poi far capire ai bambini, i suoi figli, che quel fratellino
che stava crescendo nella sua pancia, dove erano stati a suo tempo anche
loro, non sarebbe rimasto a far parte della famiglia. Ben più
difficile, anzi decisamente straziante, era stato ascoltare i primi
movimenti del feto, sentire quel legame speciale che si crea fra una
donna e il figlio che porta dentro, consapevole tuttavia che lui sarebbe
andato a lungo in cerca del suono della sua voce, del suo odore, e lei
però non ci sarebbe stata. Sapere già da ora che avrebbe dovuto
separarsene: e sempre per quei 15.000 dollari. Consuelo non immaginava
che sarebbe stato così doloroso, così come del resto era stato difficile
e doloroso affrontare il parto – che è sempre un'incognita, e
un'incognita accompagnata dal dolore fisico – ma sapendo già che non
avrebbe mai visto suo figlio.
Perché
questo Consuelo non aveva messo in conto: che durante quei mesi quel
piccolo era diventato suo figlio. Come succede del resto a ogni madre.
Non era come cuocere una torta nel forno per poi regalarla, come avevano
voluto farle credere.
Parlando con
altre donne e informandosi meglio in giro, aveva poi saputo che quei
15.000 dollari in realtà non costituivano che un quinto della somma
complessiva pagata dai committenti. Molto di più era andato ad avvocati,
medici, impiegati dell'agenzia: per loro sì che era stato un buon
affare. Consuelo lo raccontava a tutti, voleva avvertire altre donne che
rischiavano di venire coinvolte in questo mercato. Era venuta a sapere
però che molte nascondevano di averlo già fatto, di avere già venduto la
loro capacità di essere madri, ma che si vergognavano e preferivano non
dirlo a nessuno.
Questa è la storia
di Consuelo, così mi è stata raccontata. Mi rincresce se trascrivendola
ho forse turbato la felicità di tanti genitori, come le coppie
omosessuali, che si sono serviti della pratica dell'utero in affitto. Ma
così come è rispettabile e vero il loro dolore per non avere figli è
forse egualmente vero il dolore oggi di Consuelo per avergliene fornito
uno. —